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Franco Maresco arriva a chiudere la selezione ufficiale del Festiva di Venezia. O meglio, arriva il suo film. Il produttore Andrea Occhipinti ha sperato fino all’ultimo che il regista si presentasse al Lido, ma, come da copione, Maresco ha cominciato dapprima a nicchiare: “Ma che ci vengo a fare? Ma che c’entro io con il tappeto rosso?” e poi a smettere di rispondere ai suoi messaggi.
Poco importa, perché il film che ha realizzato è un capolavoro ferocissimo e geniale, che contiene una vitalità estrema, un nichilismo prossimo al suicidio e un’indagine originalissima su di sé, in cui, partendo dalle ceneri di un film non finito, Maresco scoperchia la sua stessa personalità, dando vita a un’opera in cui il regista si interroga su dove sia finito Maresco stesso. Un film che contiene situazioni paradossali, grottesche, tragicomiche, e il loro intersecarsi con la realtà provoca una prodigiosa vertigine nello spettatore.
Il produttore Andrea Occhipinti decide di fermare la lavorazione del film che Maresco sta realizzando su Carmelo Bene, esasperato dai continui incidenti e ritardi sul set. A quel punto Maresco reagisce accusando la produzione di “filmicidio” e si rende irreperibile. Umberto Cantone, amico e co-sceneggiatore, avvia un’indagine per ricostruire gli eventi, interpellando tutti i membri della troupe. A parlare di Maresco ci sono dunque i collaboratori, il produttore, gli attori che raccontano la sua difficile personalità, le ossessioni e le fissazioni assurde. Sono tutti soggetti che vengono fatti parlare dallo stesso regista in una geniale operazione di narrazione ricorsiva. È così che Maresco, interponendo un altro Maresco tra sé e il soggetto, riesce a parlare di sé stesso e a ripercorrere il suo percorso cinematografico: dagli esordi con Daniele Ciprì e Cinico TV, il programma satirico che diede “un calcio in culo al linguaggio” e che andava (incredibilmente) in onda su Rai3, alla rottura e alla successiva e seconda fase della carriera; quando tutti lo davano per spacciato, realizza il dittico Belluscone. Una storia siciliana e La mafia non è più quella di una volta, che vincono rispettivamente il Premio Speciale della Giuria Orizzonti ed il Premio Speciale della Giuria alla 71 e 76esima Mostra del Cinema qui a Venezia.
E così Maresco, tramite le sue marionette, definisce la sua pazzia, le sue manie, le sue ossessioni, le scene ripetute decine di volte fino a esasperare gli attori. Ed è così che comincia a capire che non vuole finire questo film, non vuole più farlo. Sta deliberatamente sabotando i tentativi degli altri di portarlo a termine. Maresco sa, infatti, che solo attraverso la manomissione di ogni premessa iniziale è possibile vedere la luce. “Di un film so sempre come inizia, mai come finisce.” dice, ma aggiunge “Ogni mio film non è stato altro che una trappola in cui mi andavo a infilare con impietoso autolesionismo.”
Pare che questa forma di linguaggio sia l’unico modo possibile rimasto a Maresco di esprimersi. Già dai tempi di Belluscone e Il ritorno di Cagliostro proviene l’idea di concepire il film come indagine metanarrativa, in questo caso anche autobiografica, di cosa sia accaduto al film che doveva essere.
Si ride tantissimo, fino alle lacrime, mentre Maresco fa a pezzi sul set del film, uno dopo l’altro, i suoi attori, costringendoli a umiliazioni, esercizi di depensamento, definendoli “il minimo sindacale del pensiero“. Teatri affittati per due giorni e tenuti in ostaggio per settimane, stunt che finiscono rovinosamente. Le scene realizzate del film su Bene sono dei piccoli e sublimi tableaux: San Giuseppe e un Pulcinella nano che eseguono danze indiane intorno a un fuoco; un omaggio a Il settimo sigillo in cui la Morte (Antonio Rezza in uno splendido cameo) attende, esasperata, la mossa del suo avversario. Una esilarante cena in cui Carmelo Bene (l’attore che lo interpreta) siede a capotavola e pontifica, girata e rigirata con decine di inquadrature.

Alcune parti rappresentano attacchi diretti contro precisi obiettivi o personaggi che Maresco innalza a rappresentanti di determinate aberrazioni del pensiero e della cultura. È il caso di Francesco Puma, portato sul set da Maresco con un sordido inganno e trasformato in emblema della mediocrità italiana: è meraviglioso il sadismo con cui Maresco lo tortura letteralmente durante le riprese: quando questi necessita di un bagno, gli viene negato e gli viene portato in alternativa un secchio, con Maresco serissimo che gli suggerisce di aspettare per poi seguirlo anche in bagno e parlargli attraverso la porta. La brutalità e la comicità racchiuse in questa scena non si possono spiegare a parole: va vista per capire.
L’invettiva più aggressiva di Maresco si rivolge al cinema stesso: Questa puttana morente e putrefatta. Questa industria che è il simbolo vivente del nulla in cui siamo sprofondati, in mano a persone mediocri, che sono state riscattate dalla tecnologia, dove chiunque può sentirsi regista e autore. D’altronde, in questi tempi un film non si nega a nessuno.
Poter vedere questo film è letteralmente un miracolo, e per questo dobbiamo ringraziare anche e forse soprattutto il produttore Andrea Occhipinti che, nel prevedibile momento di crisi in cui Maresco è divenuto instabile, è riuscito a costringerlo a chiudere questa pellicola, convinto che la sua perdita sarebbe stata troppo grande per il cinema italiano.
Forse, in realtà, il nostro vorrebbe semplicemente smettere di fare film. Forse, come dice lui, ha vissuto troppo a lungo. Forse questi riconoscimenti sono da lui interpretati come fallimenti, ed è perfettamente coerente che non venga in conferenza a presentare il suo film. Dibattersi in un teatrino di commenti vuoti, ricevere complimenti per un film che lui stesso non avrebbe voluto finire e che era il solo modo per dare forma alla rabbia e all’orrore che provo per questo mondo di merda, non fa per lui. Non può e non deve far parte di un mediocre copione che non può dirigere, deridere o sabotare.
Ma l’ultimo incredibile piano sequenza del suo film ci fa pensare, mentre vediamo la meraviglia che si staglia oltre le nuvole della sua Palermo, che ormai è tardi per morire e che il cinema di Maresco debba assolutamente continuare a vivere per molti anni ancora.
In Concorso alla Mostra di Venezia 2025.
In sala dal 5 settembre 2025.
Un film fatto per Bene – Regia: Franco Maresco;sceneggiatura: Franco Maresco, Claudia Uzzo, con Umberto Cantone, Francesco Guttuso; fotografia: Alessandro Abate; montaggio: Paola Freddi, Francesco Guttuso; musica: Salvatore Bonafede; scenografia: Cesare Inzerillo, Nicola Sferruzza; interpreti: Franco Maresco, Umberto Cantone, Bernardo Greco, Francesco Conticelli, Marco Alessi, Francesco Puma, Antonio Rezza; produzione: Andrea Occhipinti per Lucky Red, Dugong Films; origine: Italia, 2025; durata: 100 minuti; distribuzione: Lucky Red.
