Con le sue due ore e trentacinque minuti, il nuovo film di Fabrice Du Welz, un pachidermico poliziesco basato su fatti realmente accaduti, imponente e strabordante, conferma due elementi: il talento visivo di Du Welz e la sua scarsa dimestichezza con i polizieschi, un genere che si ostina a frequentare nonostante i suoi risultati più felici (Calvaire, Inexorable, Alleluia) li abbia raggiunti standone alla larga.
Malgrado la durata, ciò che difetta al film non è certo il ritmo; le scene sono ben scandite, e il film ticchetta come un orologio dall’inizio alla fine. Maldoror non è affatto un cattivo prodotto, ma sapendo di cosa è capace Du Welz, ci saremmo aspettati qualcosa di più e di diverso.
La prima parte è compatta e avvincente. Ritroviamo Alba Gaïa Bellugi, la lunatica di Inexorable, che qui interpreta una solare ragazza siciliana che ha la sfortuna di innamorarsi, sposarsi e avere un figlio con il protagonista, Paul Chartier, interpretato da Anthony Bajon. Costui è un poliziotto in erba, aggressivo e con un passato familiare malavitoso, al quale viene assegnato un caso delicato riguardante la scomparsa di due bambine. Non ci convince troppo la scelta dell’attore; l’aria da duro e la faccia da orsetto bastonato non si sposano benissimo, i baffetti peggiorano la situazione e nonostante il suo prodigarsi in espressioni torve per tutta la durata del film, si fatica a prenderlo del tutto sul serio.
Il film, dicevamo, si basa su fatti reali, e trae spunto dagli atti criminali compiuti da Marc Dutroux, soprannominato il Mostro di Marcinelle, ma l’agente protagonista, Paul Chartier, è un’invenzione. Il regista cita il Tarantino di C’era una volta a… Hollywood come principale fonte di ispirazione in questo senso: inizialmente, infatti, Du Welz aveva pensato di realizzare un film dall’impianto fortemente cronachistico, senza nulla di difforme rispetto alla reale versione dei fatti e alle azioni compiute dalla polizia, ma capì che sarebbe stato complicato, a livello legale, realizzare un film del genere in Belgio.
E così abbiamo una vicenda di contesto che si attiene all’accaduto, e vicende personali che utilizzano strategie narrative finzionali, esattamente come accadeva nel film di Tarantino: la vicenda della cornice è reale, quelle del contenuto no.
Il nostro “eroe”, dicevamo, indaga sulla scomparsa delle due ragazzine. Il suo fare aggressivo e irrispettoso delle regole, però, lo porta ai ferri corti con il suo superiore. Il suo coinvolgimento nel caso si fa sempre più ossessivo, e anche dopo che questo viene chiuso, intuisce che dietro alla cattura del colpevole c’è un enorme giro di racket pedopornografico, che viene insabbiato a causa dell’operato opaco e colluso delle varie fazioni in cui sono suddivise le forze dell’ordine. Il caso lo ossessiona a tal punto che comincia a comportarsi come un alienato, in una vera e propria deriva mentale, fino a giungere al punto di non ritorno.
Il film è costellato da lampi di genio, sequenze tese e passaggi brillanti, arricchiti da un utilizzo della musica e degli effetti sonori magistrale, volti tutti a tenere alta la tensione. Questa è senza dubbio l’opera più complessa e impegnativa del regista sinora. I momenti allucinatori, inutile dirlo, sono i più riusciti, ma le varie sezioni si annodano in maniera maldestra, e il complesso disegno generale, dopo numerosi passaggi, si perde.
Ed è proprio la natura della vicenda che smonta e non valorizza quelli che sono, a nostro avviso, i veri talenti del nostro autore, che emergono maggiormente dinanzi ad operazioni dal respiro più corto, meno dispersive e con meno personaggi.
A proposito di questi ultimi, oltre ad Alba Gaïa Bellugi, ritroviamo con piacere anche il bravo Jackie Berroyer e Mélanie Doutey, già visti nella filmografia precedente del regista, in questo caso però poco sfruttati nei loro punti di talento.
Du Weltz ha affermato, a proposito di questo film: “Volevo che sembrasse estremamente realistico e la prima parte è stata girata sul posto per frenare la mia naturale inclinazione verso l’eccentricità o il genere del racconto horror.” Invece noi ci auguriamo che, per il futuro, sia proprio tale inclinazione ad esprimersi nella maniera più completa e libera possibile.
Maldoror – Regia: Fabrice du Welz; sceneggiatura: Domenico La Porta, Fabrice du Welz; fotografia: Manu Dacosse; montaggio: Nico Leunen; scenografia: Emmanuel De Meulemeester; costumi: Laurence Benoît; musiche: Vincent Cahay; suono: Dirk Bombey, Julie Brenta, Héléna Réveillère, Hélène Lamy Au Rousseau, Emmanuel De Boissieu; effetti visivi: Benjamin Ageorges; interpreti: Anthony Bajon, Alba Gaïa Bellugi, Alexis Manenti, Sergi López, Laurent Lucas, David Murgia, Béatrice Dalle, Lubna Azabal, Jackie Berroyer, Mélanie Doutey, Félix Maritaud; produzione: Frakas Productions (Jean-Yves Roubin, Cassandre Warnauts), The Jokers Films (Manuel Chiche, Violaine Barbaroux); origine: Belgio/Francia, 2024; durata: 155 minuti.