«“How can a man who sees and feels be other than sad?” si chiede William Burroughs nel suo diario personale l’ultima volta che vi scrive prima di morire. Nell’adattare il suo secondo romanzo, … abbiamo cercato di rispondere a questa invocazione pudica del grande iconoclasta della beat generation. Lee ama Allerton, Allerton ama Lee: saranno in grado di incontrarsi nonostante tutti i passi falsi e le paure che agiscono su entrambi nel loro viaggio picaresco nel Sud America proiettato dalla mente di Burroughs?»
Bertolucci (Il tè nel deserto principalmente ma anche l’inizio de Il conformista con la stanza in cui si vede fuori la scritta verticale dell’hotel), Lynch, Cronenberg (Il pasto nudo/Naked Lunch, 1991), Roger Corman (Il serpente di fuoco/The Trip, 1967), forse anche Drugstore Cowboy film del 1989 di Gus Van Sant a cui William S. Burroughs (1914-1997) ha partecipato non accreditato allo script. Sono questi i primi riferimenti diretti o indiretti che mi sono venuti in testa (ma ce ne sono, di sicuro, tantissimi altri) vedendo Queer di un regista ultra cinefilo come Luca Guadagnino che ha adattato per il grande schermo, su sceneggiatura di Justin Kuritzkes, l’omonimo romanzo di William S. Burroughs. Il libro venne scritto, com’è noto, tra il 1951 e il 1953, ma pubblicato solo nel 1985 ed è il seguito della prima opera dello scrittore americano Junkie (1953).
Dunque, ricerca interiore di se stessi, uso della droga anche in funzione esperienziale e non solo di sballo, ma anche molto altro, quanto, cioè, in sintesi, ha costituito le gioie e i dolori della beat generation e di quella successiva nell’era delle grandi domande, delle grandi utopie sino alla cosiddetta “rivoluzione” del 68’. Un impegno quindi difficile, quello di cercare di ricreare quelle tensioni e tante speranze, a partire da un testo che rappresenta l’unica storia d’amore realistica del principale rappresentante della Beat Generation ma che poi sullo schermo ha dato vita a un risultato abbastanza diverso.
Di seguito, il plot del film suddiviso in tre capitoli e un epilogo: siamo nel 1950 o giù di lì. William Lee (Daniel Craig) è un americano benestante sulla soglia dei cinquanta espatriato a Città del Messico. Trascorre le sue giornate quasi del tutto da solo e la sera frequenta il giro di un paio di bar frequentati dai gay, intrattenendo poche relazioni con gli altri membri della piccola comunità americana. A cambiare una esistenza abbastanza monotona e annoiata, giunge il colpo di fulmine dell’incontro con Eugene Allerton (Drew Starkey), un giovane studente appena arrivato in città, con cui riesce a fare amicizia e a portarlo a letto, dopo un certo tempo, in un tiramolla, in una relazione abbastanza turbolenta dato che il ragazzo vuole preservare la sua indipendenza e varietà, forse, di gusti sessuali. Dopo un continuo stop and go, momenti di esaltazione uniti all’esatto contrario, Lee propone al giovine un viaggio, di cui lui paga tutte le spese, nei paesi del Sud America, guarantendogli che lui potrà andar via quando vuole. Fine del primo capitolo.
I due continuano la loro relazione nei vari luoghi visitati dell’America latina ma non sembra cambiare una condizione che continua e sembra basarsi su una continua alternanza di alti e di bassi. Fine del capitolo due.
La svolta avviene quando, soprattutto su impulso e volontà di Lee, la coppia parte alla ricerca dello yage (l’ayahuasca la “liana degli spiriti” o “liana dei morti”), una pianta amazzonica in grado di produrre telepatia ma in realtà è una droga con un effetto altamente lisergico e stupefacente. I due allora si inoltrano nella giungla – quasi fossimo dalle parti di Apocalypse Now – per cercare una scorbutica dottoressa americana, Alice Cochran (Lesley Manville, vista anche nella serie Disclaimer dove interpetra la moglie di Kevin Kline) che sanno essere una specialista della yage. E così si trovano a provare questa esperienza con cui Lee vorrebbe entrare sempre più nella mente del compagno, ma le cose andranno invece differentemente. Infine, l’epilogo della storia, due anni dopo, con il ritorno di Lee a Città del Messico, è ovvio ciò potrà accadere ma non vogliamo raccontarlo al nostro spettatore.
A partire da un sontuoso impianto visivo (per l’ottima fotografia di Sayombhu Mukdeeprom) in cui si sono ricostruiti gli anni Cinquanta nel Centro e nel Sud America, Guadagnino crea un film che decolla veramente quando la coppia Lee& Allerton lascia Città del Messico per intraprendere un viaggio iniziatico culminato, nella terza parte, nella giungla. E qui la ricerca introspettiva della coppia – resa in modo eccellente da Daniel Craig e anche da Drew Starkey – da dei buoni frutti a partire dalla resa visiva – diciamo lynciana/cronenberghiana – che viene a sostituire l’impianto sostanzialmente realistico della narrazione precedente, tra l’altro intessuta da alcune scene di sesso abbastanza forti (e forse non indispensabili al corpo del film).
Nel complesso dunque Queer ci è risultato sempre bello ma meno convincente del precedente Challengers (2024) o di Bones and All con cui il regista palermitano aveva vinto nel 2022 un Leone d’argento. Pur riconoscendogli tutti i meriti che gli vanno riconosciuti, Queer pur trattando una materia forte, calda, a tratti bollenti, nel rapporto d’amore (con le sue sfumature e conseguenze) tra i due protagonisti, risulta più cinematograficamente inerte e fredda rispetto a quanto Guadagnino ci aveva abituato nelle sue due ultime opere. Forse il peso dell’impegnativo testo letterario di base, forse la mancanza di una conoscenza diretta (è classe 1971) dell’epoca storica della rivoluzione beat, può aver costituito un ostacolo ad un pieno sviluppo di un talento cinematografico di prima grandezza. Ma anche in considerazione del suo stile cinefilo, non possiamo non concedergli tre stelle e mezzo, per quanto valgano le nostre opinioni o perplessità. Più importante sarà il giudizio del pubblico quando uscirà in sala, speriamo presto, con Lucky Red.
Queer – Regia: Luca Guadagnino; sceneggiatura: Justin Kuritzkes dal romanzo Queer di William S. Burroughs; fotografia: Sayombhu Mukdeeprom; montaggio: Marco Costa; musica: Trent Reznor, Atticus Ross; scenografia: Stefano Baisi; effetti visivi: Virginia Cefaly, Marco Fiorani Parenzi; interpreti: Daniel Craig, Drew Starkey, Lesley Manville, Jason Schwartzman, Andra Ursuta, Michael Borremans, David Lowery; produzione: Fremantle, Fremantle North America, The Apartment, società del gruppo Fremantle (Lorenzo Mieli), Frenesy Film Company (Luca Guadagnino), in collaborazione con Cinecittà e Frame by Frame; origine: Usa/Italia, 2024; durata: 135 minuti; distribuzione: Lucky Red.