Per chi non li conoscesse, I Fratelli Quay, Stephen e Timothy, sono registi e animatori americani celebri per i loro cortometraggi realizzati in stop-motion, in italiano passo-uno. Nati il 17 giugno 1947 a Norristown, Pennsylvania, sono gemelli e hanno studiato arti grafiche presso la Philadelphia College of Art, trasferendosi poi a Londra negli anni ’70 per frequentare il Royal College of Art.
La loro carriera è profondamente influenzata dalla cultura dell’Europa dell’Est, ispirata dai lavori di registi e animatori come Jan Švankmajer, Walerian Borowczyk, Jan Lenica, e lo scrittore polacco Bruno Schulz. Le loro opere danno vita a mondi onirici e surreali, popolati da marionette e figure deformi. Il loro stile è riconoscibile per i toni smorzati, l’uso straordinario della luce e l’estrema cura per i dettagli visivi. Gli incredibili risultati ottenuti con i loro film aprono paesaggi narratologici interiori inediti e portano veramente lo spettatore sull’orlo di qualcosa di assolutamente nuovo.
Uno dei lavori più noti dei Fratelli Quay è il cortometraggio Street of Crocodiles (1986), tratto da un racconto di Bruno Schulz, considerato uno dei film di animazione più influenti di tutti i tempi. Tra gli altri loro celebri cortometraggi si annoverano The Cabinet of Jan Švankmajer (1984) e In Absentia (2000), quest’ultimo realizzato in collaborazione con il compositore Karlheinz Stockhausen. Oltre ai corti ci sono anche due lungometraggi, l’incredibile Institute Benjamenta, or This Dream People Call Human Life (1995), ad avviso di chi scrive il loro capolavoro, e, dieci anni dopo The Piano Tuner of Earthquakes.
Forse qualche Millenial ricorderà il video musicale di Sober, uno dei primi brani dei Tool, all’epoca ci fu una discreta polemica, quando il buon Kurt Cobain, dando voce a ciò che tutti i fan dei fratelli Quay pensavano, fece notare che il video era un rip-off spudorato del lavoro dei due gemelli. Ma l’influenza e l’eredità artistica del duo si estende ben oltre il regno della stop-motion. Nel 2015 Cristopher Nolan, loro grande fan, realizza un piccolo documentario chiamato “Quay” (reperibile su YouTube), nel quale intravediamo i modellini e le scenografie del film di cui parliamo oggi, che già allora era in lavorazione.
La fluidità temporale, che si esprime attraverso piani di realtà differenti, è il tema di questo nuovo Sanatorium Under The sign of the Hourglass e, anche stavolta, è ispirato ad un racconto di Bruno Schulz, dai toni spiccatamente kafkiani, (del quale esiste già un adattamento, il film surrealista del polacco Wojciech Has, realizzato nel 1973). Viene narrato di un uomo di nome Jòzef, che va a trovare il padre morente in un istituto psichiatrico; il film (in b&n e colore) unisce parti in cui sono presenti attori reali con sezioni in stop motion, ed è all’interno di questa hourglass, un curioso congegno mistico, che si svolge l’azione. L’utilizzo e la ricerca dell’illuminazione immergono lo spettatore in un ipnotico stato allucinatorio, facendo riaffiorare dal suo inconscio elementi che conducono ad un affascinante altrove mesmerico collettivo.
Il tempo comincia a perdere il suo significato una volta che Jozèf entra nell’istituto psichiatrico, le immagini si ripetono ricorsivamente, accompagnate da battiti che scandiscono sempre più profondamente l’ingresso in una dimensione che nega e riscrive completamente il reale. La maestria nel padroneggiare la tecnica fotografica della stop motion non basta a descrivere la potenza suggestiva con le quali i due riescono ad unire la parola all’immagine. Sanatorium Under The Hourglass presuppone la conoscenza per lo meno del racconto per poter risultare comprensibile, non ha interesse a prenderti per mano, ma lascia emergere potente l’essenza della sua visione, riuscendo nell’intento di tracciare le effettive coordinate esistenziali di un distinto e straordinario universo interiore.
Sono passati più di vent’anni dal loro ultimo lungometraggio, il già ricordato The Piano Tuner of Earthquakes (2005), e l’animazione stop motion resta una tecnica estremamente laboriosa, che ci parla di un’artigianalità che sta inevitabilmente svanendo: i più grandi esponenti appartenenti alla scuola russa (inaugurata nel 1912 da Wladyslaw Starewicz (Ladislas Starevich) sono morti. Il più grande di tutti, il ceco Jan Švankmajer, è anziano ormai, Henry Selick, autore di Nightmare Before Christmas (1993, con Tim Burton) e Coraline (2009), è ancora in attività, ma le sue meravigliose opere però sono frutto di un’equipe di centinaia di persone. I Fratelli Quay rivendicano la loro assoluta autonomia artistica con i loro film, e rimangono tra i pochi artisti viventi ancora capaci di rivelarci i prodigi che una lavorazione artistica così lenta e artigianale può offrire, sfidando ogni logica produttiva.
Sanatorium Under the Sign of the Hourglass – Regia: Quay Brothers; sceneggiatura: Quay Brothers; montaggio: Quay Brothers; fotografia: Bartosz Bieniek; musica: Timothy Nelson, Alfred Schnittke cast: Tadeusz Janiszewski, Wioletta Kopańska, Andrzej Kłak, Allison Bell, Zenaida Yanowsky origine: Regno Unito/Polonia/Germania, 2024; produzione: Koninck Studios Galicia, IKH Pictures Production, The Match Factory, the Adam Mickiewicz Institute; durata: 76 minuti.