Partiamo da un presupposto: sempre, nel senso che la regista Luciana Fina ha voluto dare a questa parola, non indica semplicemente e basicamente uno slogan, uno stato, una dimensione senza tempo e ciclica nella quale le cose, gli avvenimenti, la Storia si ripetono in diverse latitudini e longitudini del mondo. Utilizzando in maniera dinamica, processuale, dialettica uno straordinario ed inedito materiale d’archivio, il suo documentario intitolato Sempre, appunto, ricostruisce la Rivoluzione dei Garofani avvenuta in Portogallo il 25 Aprile 1974 che rovesciò il regime fascista istituito nel 1933 da Antonio Salazar e proseguito dal suo successore Marcello Caetano (destituito dalla frange di sinistra dell’esercito portoghese guidate dal Movimento delle Forze Armate e costretto all’esilio). Ed esclude, o quantomeno riduce quasi al minimo, l’utilizzo di voci off che commentano e presentano una cronistoria dei fatti che portarono alla liberazione di questo contro golpe, speculare alla percezione dei golpe violenti, sanguinosi e repressivi che in quegli anni proliferavano specialmente in Sud America.
Si comincia in bianco con le immagini d’ epoca dell’insediamento della dittatura salazariana con i gerarchi, ecclesiasti, borghesi che sembrano schiacciare nella loro marcia-dove compare un cartello raffigurare l’effige di Mussolini- e si finisce a colori con il popolo dei compagni che intona abbracciato Grandola, Vila Morena, canzone non solo simbolo della rivoluzione, ma anche segnale d’ inizio della stessa, quando venne annunciata da Radio Renascenca alle 00,20 del 25 aprile di 39 anni dopo quello celebrato dal popolo italiano. In mezzo a due momenti che avrebbero potuto essere didascalicamente popolari e che invece Fina declina nella forza evocativa della parola poetica e del canto, c’è la storia del modo in cui è stato rappresentato e raccontato ciò che ha innescato una trasformazione così radicale, rovesciando, prima del regime stesso, un sentimento di passività, indolenza, rassegnazione verso le quali poteva sembrare portata una certa indole dei portoghesi. E in questo risveglio, nella loro primavera, la presenza testimonianza del mezzo mediatico nella sua multiforme possibilità- la televisione, il cinema, la radio- non è solo accidentale o documentale ma sostanziale nel voler amplificare, prima di una necessità o un’esigenza, il desiderio di spezzare le catene della costrizione e del silenzio. Le immagini scelte da Fina e selezionate da film e programmi televisivi e radiofonici nei fecondi archivi della Cinemateca Portuguesa e della RTP (Radio e Televisao de Portugal) sono infatti desideranti schegge che aprono, anzi spalancano, le strettoie di una memoria un po’ silenziata e sopita su una comunità di uomini e donne in grado di costruire, fattualmente e praticamente, un mondo nuovo (contrapposto all’ “Estado novo” di Salazar & co., fatto di corporazioni statiche ed eterodirette, la messa in atto di un potere calato dall’alto ). Le scene più emozionanti e avvolgenti sono allora quelle in cui le persone si riappropriano di uno spazio come un grande teatro di posa e costruiscono la scenografia e l’architettura di una società non solo utopica.
Il movimento è dunque orizzontale e in profondità di campo: tutti, artisti, intellettuali e cittadini comuni, sono intenti a lasciare un segno creativo, liberatoria espressione di una libertà elaborata, sofferta, coltivata sotto traccia e clandestinamente per quarant’anni. Il flusso che porta ad una tale esplosione di gioia e rivoluzione, di tanti corpi e cuori comunicanti , è individuato con ispirazione dalla regista nella sequenze di un film dove un uomo e una donna si incontrano oltre le restrizioni e le cautele nel piacere carnale ( e com’è carnale, rotonda, onomatopeica la frastagliata e digressiva lingua portoghese!) per la lettura, la filosofia, la capacità di un pensiero critico e perfino romantico; l’attrazione che li porta ad essere dei soggetti distinti, riconoscibili, scampati alla massa e alla massificazione di un pensiero dominante che li vorrebbe obbedienti e sedati nell’isolamento. Questo nucleo genera una tangibile, immanente, laica mappatura di un territorio che non riguarda solo la dimensione maggiormente acculturata, consapevole, cittadina degli abitanti di Lisbona, centro nevralgico dello scontro incruento – in quanto detonato nella forza delle idee e delle relazioni e noi nei palazzi del potere – ma anche le zone limitrofe di un Portogallo ancora contadino e rurale, da far crescere e maturare in una visione comunitaria, consapevole, solidale. Un progetto descritto ancora una volta da immagini che alternano il realismo e la propaganda con l ‘evocazione e la suggestione di luoghi ancora intrisi di una certa, pasoliniana arcaicità. L’eccezionale e complessa prospettiva che offre Fina è lontana anni luce dall’eseguire una catalogo illustrato di date e dati, com’è di prassi nella formula artefatta e costruita della narrazione televisiva contemporanea che non crea turbamento o lascia interrogativi , ma solo spiegazioni e rassicurazioni; uno svilimento e un ‘omissione rispetto ad avvenimenti convulsi, laceranti, che grondano ancora oggi di tensioni e contraddizioni. Allora la questione è pregnante: quanto è importante il come raccontare la storia di una dittatura cosi vicina nello spazio e nel tempo in quest’epoca pericolosamente squilibrata su abissi dittatoriali fascistoidi? (peraltro camuffati dalla violenta mistificazione del neoliberismo?).
E assume un valore ulteriore l’aver trattato, con materiale egualmente di grande potenza, l’altra storia, dall’altra parte del mondo, ovvero la rimossa occupazione colonialista, uno dei capisaldi sulle quali si sono fondati i regimi destrorsi e la concezione suprematista che sta alla base di recriminazioni tramutate in prepotenze e sfruttamenti. Una delle immagini più cruente, quella di una donna del Mozambico che viene picchiata, cacciata e arrestata dai militari dell’esercito coloniale per il solo fatto di rivendicare un diritto e una priorità ( “Il Mozambico appartiene ai suoi abitanti!”) parla nella sua essenzialità molto più di qualsiasi sermone/sguardo/commento occidentale su cosa abbiamo fatto a quei popoli e alle loro terre; e stabilisce un collegamento radicale e trasversale tra le varie forme di liberazione, tra le quali la de-colonizzazione dei paesi africani dovrebbe essere la più sentita e sofferta delle ingiustizie. Non ci sono forzature o moniti comunque, l’intrinseca carica delle immagini risuona con miracolosa spontaneità tra una situazione e l’altra, con una spiccata empatia e partecipazione quando si entra nel merito del movimento di liberazione delle donne portoghesi, ancora una non genericamente menzionato ma inquadrato nella specificità di affermare un diritto: quello a poter scrivere in una maniera culturalmente più elaborata, uno standard consentito solo agli uomini che hanno il diritto di scegliere cosa e come esprimersi per una donna, capovolgendo in imposizione il proprio limite di fronte a un linguaggio che non capiscono.
Un prefinale verso il quale convergono tutte le istanze, gli abbracci, le condivisioni degli oppressi che hanno cominciato a trovare le parole e gli sguardi per sradicare uno stato e convertilo nel work in progress del marxista sogno di una cosa. Come la macchina da presa che non arriva a filmare fino alle quel SEMPRE inciso sul fondo di un rosso rivoluzionario.
Sempre – Regia, sceneggiatura e montaggio: Luciana Fina; produzione: Cinemateca Portuguesai conllaborazione con RTP e in associazione con LAFstudio; origine: Portogallo,2024; durata: 107 minuti.