Del giovane regista di Singapore Siew Hua Yeo ricordiamo il noir A Land Imagined, film che aveva vinto il Leopardo d’oro al Festival di Locarno nel 2018. Alla Mostra di quest’anno, Yeo presenta un thriller, Stranger Eyes, una mega coproduzione realizzata fra Singapore, Taiwan, Usa, Francia e Italia. Tema centrale è il continuo controllo sociale che subiamo ogni giorno, perennemente osservati, ripresi da infinite videocamere che registrano ogni nostro movimento. Come ha spiegato il regista, il controllo sociale trova spazio soprattutto nei luoghi con una maggior densità di popolazione, come accade appunto nella piccola isola di Singapore. Questo indubbiamente influenza profondamente il modo di agire dei suoi abitanti, costretti quotidianamente ad un’alternanza mentale che oscilla fra il guardare e l’essere guardato.
Il film si apre con una registrazione video girata al cellulare, dove vediamo una giovane coppia con la figlia piccola giocare in un parco in apparente sintonia. La voce fuori campo è quella della nonna che vive in casa con la famiglia. Sulla maglietta la madre porta la scritta rivelatrice ‘Someone is watching you’. Veniamo molto presto a sapere che la bambina del video, la piccola Bo, è scomparsa da tre mesi, sparita dal parco giochi dove stava giocando proprio sotto agli occhi, forse non molto attenti e sorveglianti del padre Junyang (Wu Chien-Ho). Eppure, com’è possibile che questo possa succedere in una realtà pubblica che è continuamente posta sotto il controllo di videocamere? La risposta è la tranquilla reazione del poliziotto che si occupa della sparizione. Non c’è modo di evitare il controllo. Questo continuo registrare, questa ‘sorveglianza no-stop da telecamere’ che ha invaso gli spazi pubblici, ha semplificato il lavoro di indagine ai poliziotti: non basta che osservare con attenzione e avere pazienza, molta pazienza. Quasi che ogni delitto oggigiorno, grazie ai video controlli, si risolva da sé.
E forse l’investigatore non ha tutti i torti, almeno per quanto riguarda il proseguimento dell’inchiesta, visto che, subito dopo, un misterioso voyeur fa trovare ai due genitori dei dvd con filmati riguardanti la loro vita privata. Fra questi, alcuni particolarmente intimi ripresi dal palazzo accanto al loro, altri girati alle spalle di Junyang al supermercato, altri ancora girati proprio al parco, dove la bambina è scomparsa. Il video di una scappatella sessuale con due colleghi di lavoro mette inevitabilmente nei guai il giovane padre agli occhi della moglie Peiying (Anicca Panna). Alle già esistenti telecamere la polizia ne aggiunge altre e identifica in breve tempo lo stalker: è Lao Wu (interpretato da Lee Kang-sheng, l’attore-feticcio del regista Tsai Ming-liang), un non più giovanissimo supervisore di supermercato che abita con la madre ipovedente nel palazzo accanto, e da tempo, a quanto pare, tiene sotto controllo la giovane famiglia, le relazioni extra coniugali del marito e segue assiduamente le sessioni musicali di Peiying sui social media. Torniamo indietro nel tempo, i video ci aiutano a ricostruire i fatti e rivediamo la famiglia ancora al completo vista dalla finestra del palazzo vicino. Veniamo quindi a sapere che Wu aveva iniziato a chattare spudoratamente con Peiying molto prima della scomparsa della piccola Bo. E a questo punto nasce allo spettatore un dubbio: viene da chiedersi come mai questo strano ammiratore abbia potuto passarla liscia per ben tre mesi senza destare sospetti fin da subito?
Senza voler rivelare troppo la trama, nella parte finale si aggiunge un personaggio nuovo e sembra andare in tutt’altra direzione dal suo punto di partenza. Peiying, ritrovata la bambina e scoperte le infedeltà del marito, decide di andarsene lasciando Junyang solo con la madre. Quest’ultimo, incuriosito dallo strano individuo solitario che è Wu, inizia a pedinarlo quando esce di casa e ne scopre il malinconico passato. Alla fase passiva dell’essere osservato e sorvegliato si sostituisce il ruolo attivo di guardare e sorvegliare a sua volta. E come Wu aveva rivelato le segrete passioni di Junyang diffondendo i video, così quest’ultimo rivela il segreto di Wu.
Con il proseguire della storia si ha presto l’impressione che la trama, forse come succedere spesso in molte complesse coproduzioni, sia stata arrangiata a più mani e questo sia andato a ledere la continuità e la coerenza narrativa. Fatto sta che l’intreccio del thriller manca di vera e propria suspence e molti elementi della trama, volutamente posti in evidenza (viene in mente una scena quando Junyang sembra rapire una bambina da un passeggino) vengono dimenticati e non spiegati. Non è nemmeno ben chiaro se nel film ci sia un vago tentativo, non particolarmente riuscito, di mettere a confronto la sorveglianza lacunosa umana (il padre che perde la figlia) con quella al contrario continua e automatica di una telecamera. Il ritrovamento della piccola Bo viene appena accennato e non particolarmente trattato nella narrazione del film. Ma forse ci spingiamo noi troppo in là, mentre l’interesse del regista è semplicemente di raccontare una quotidianità alle soglie del controllo totale e di una società dove un’infinità d’immagini vengono prodotte, registrate, copiate, duplicate e condivise senza tanto pensare alle conseguenze. Il film Stranger Eyes, pur partendo da un un’interessante premessa, non riesce ad essere efficace come vorrebbe e lascia lo spettatore alquanto interdetto all’uscita della sala.
Uscirà anche in Italia.
Stranger eyes (Mò shì lù) – Regia e sceneggiatura: Siew Hua Yeo; fotografia: Hideho Urata; montaggio: Jean-Christophe Bouzy; musiche: Thomas Foguenne; scenografia: James Page; interpreti: Wu Chien-Ho, Lee Kang-Sheng, Anicca Panna, Vera Chen, Pete Teo, Xenia Tan, Maryanne Ng-Yew; produzione: Akanga Film Asia, Volos Films, Films de Force Majeure, Cinema Inutile; origine: Singapore, Taipei, France, USA 2024; durata: 125 minuti; distribuzione: Europictures.