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Voto
Anche se ufficialmente si tratta di un prequel, sarebbe riduttivo categorizzare Fuoco cammina con me nelle coordinate spazio-temporali di una linearità narrativa, anche e soprattutto in relazione alle prime due stagioni di Twin Peaks. Non si tratti infatti solo di raccontare gli avvenimenti o, per meglio dire, le sensazioni e le atmosfere antecedenti e scatenanti l’omicidio di Laura Palmer, intorno al quale ruotano i rimossi, le ossessioni, le proiezioni fantasmatiche e pulsionali di una piccola cittadina di provincia abitata da spettrali adulti e sperduti adolescenti. L’alterità è già dichiarata dalla scelta che David Lynch ha compiuto nel realizzarne una forma film, autonoma e compiuta in sé, nella quale intarsiare i segni, le traiettorie e le suggestioni di quell’epocale serie mondo. Un corto circuito siglato anche dai titoli di testa che scorrono sul progressivo avvicinamento al flusso di immagini senza segnale dentro un apparecchio televisivo destinato ad esplodere, con la colonna sonora jazzata di Badalamenti che sfuma su delle urla femminili, lugubre e anticipatorio richiamo alla deriva dell’analogico in collisione con quella del fattore umano. Senza la necessità di acquisire informazioni dal punto di vista quantitativo o connotativo, Lynch sposta la conoscenza delle cose apparenti, che galleggiano in superficie, ad un livello differente di obliquità e di ambiguità, permettendosi e permettendoci di accedere a un campo prospettico che fino a questo momento era stato precluso: ci immergiamo infatti negli abissi e negli spaesamenti della percezione di Laura, liberata dalla foto di reginetta del liceo esposta in una vetrina, con l’affondo nell’ampiezza di quegli occhi oceanici nei quali, per chi ricorderà, era stato ritrovato in una puntata del serial il primo indizio delle sue contraddizioni e dei suoi sdoppiamenti (il riflesso della motocicletta di James, sensibile e bel tenebroso “amante” della ragazza, antagonista e speculare a Bobby, il rozzo e ottuso fidanzato legittimo).

Ma la Laura espansa e pervadente le visioni attraverso le quali guarda e che la (ri) guardano in Fuoco cammina con me, non si limita allo schema binario della duplicazione, alla matrice mélo e noir della doppiezza. Come una sorta di impronta carnale ed evanescente viene impressa e moltiplicata per tutti i personaggi del film che la desiderano, la possiedono, la uccidono, la pre-vedono, a cominciare dall’agente Dave Cooper nel prologo ambientato in Oregon, colui il quale sarà poi di fatto l’istanza precettiva principale durante le indagini nel post mortem e che prima, ora e poi tra 25 anni, la incontrerà nell’intersezione di sogni e rivelazioni. E se il doppio più evidente è quello tra la fanciulla bionda, promiscua e autodistruttiva e Teresa Banks, la vittima a lei precedente, una vertigine ancora maggiore sta nel sovrapporre e poi nello scomporre la figura dell’assassino Bob in un giro di possessioni e di attraversamenti che affondano la loro tentacolare e poliforme manifestazione nella dissacrata trinità dell’istituzione familiare. Il Babau degli incubi infantili e adolescenziali di Laura si incarna dunque nel padre con una tale esuberanza e prepotenza da non poterne nascondere i tratti compulsivi e maniacali sulla facce e nelle movenze. La smania insaziabile di Bob di “sentire i sapori” non si ferma però con l’ identificazione del maschile patriarcale abusante e perverso, ma passa per il controllo della fisicità della sua stessa vittima, smembrata fino a farsi vettore di un male che è condizionato e inclinato fino alle sue estreme conseguenze nella frattura tra interiorità ed esteriorità, tra profondità e superficie. Il surplus della recitazione isterica e allucinata di Sheryl Lee, che interpreta Laura, con quella altrettanto carica di Ray Wise (il padre) e, in tono vittimistico, di Grace Zabrinskie (la madre), è necessario a buttare fuori, espellere, rimette, come se si trattasse di un vero e proprio esorcismo laico e psicotico, le deviazioni di un inconscio e di un istinto repressi dai condizionamenti sociali e culturali. In questa lancinante ferita, è lo stesso Lynch a fare qualcosa di ulteriore, rintracciando un nucleo generante degli immaginari disturbanti, simbolicamente raffigurato in un punto dentro a un quadro: ma non si tratta di un inizio, bensì di un varco, una porta aperta, il passaggio da una dimensione all’altra, per cui non è dato sapere se ci sia un’altra botola in fondo all’angolo non illuminato della stanza o se una parete fissata dagli occhi terrorizzati di Laura possa contenerne una miniatura sfasata nei dettagli e nelle dimensioni. Lynch mostra il moto itinerante di immagini che si (auto) generano, attuano una (ri)collocazione e cercano la loro casa madre nell’elaborazione sublime del gesto artistico, disatteso però nel suo aspetto consolatorio e assolutista.

La morte e la violenza restano qualcosa di perturbante e pericoloso, anche se non se ne rimuove la connessione con le zone opache e invischianti dell’erotismo e del desiderio. Una tensione attrattiva e respingente al tempo stesso, che si concretizza nella scelta tra il vedere e il non vedere, e non solo relativa al soggetto che agisce l’atto, ma anche a ciò che lo riceve e lo restituisce mutato. Seguendo questo ragionamento è emblematica la sequenza, sempre nel prologo, dell’apparizione e della sparizione lungo i corridoi degli uffici dell’ FBI della figura di Philip Jeffries, portato in scena dalle sembianze quanto mai enigmatiche, ambivalenti e mitologicamente pop di David Bowie. Un momento nascosto e rivelato, un Easter Egg del labirinto ludico lynchiano, che porta però con se, almeno a livello figurativo, la rappresentazione della “loggia” e dei suoi personaggi (tra i quali l’ormai iconico nano danzante): sarebbe scorretto definirlo un non luogo, vista la materialità tattile e l’udibile distorsione sonora che ne caratterizzano l’ingresso in entrata e in uscita; si tratta invece di un luogo altro, parallelo, sovrapposto come un’interferenza che interrompe il fluire di ciò che accade e ne cambia, oppure ne cela diremmo nel caso specifico, il significato, nel sincretismo e nella ripetizione di passato, di presente e di futuro.
“Non voglio parlare di Judy”, dice Jeffries/Bowie, il che equivale a dire che non vuole ricordare e di conseguenza vedere; eppure noi lo vediamo, ma non ascoltiamo, raccontare ciò che ha visto dentro la loggia, trasformata in dispositivo insieme remoto e prossimo di sguardo oltre la facciata visibile della realtà. Successivamente sarà la stessa Laura a porre la questione di sostenere la visibilità/ invisibilità dei fenomeni extra percettivi nei quali si imbatte, come se in qualche modo, sul piano del racconto, fosse lei stessa ad indagare su chi sarà l’autore del suo assassinio a venire. Cosi, spinta dalla necessità inquieta di decifrare il messaggio codificato di due dei membri della loggia (la signora anziana e il bambino con la maschera a forma di un fallico naso), la ragazza si precipita a casa e, nell’alternanza tra soggettiva e controcampo, scorge dietro l’angolo della porta della propria stanza la presenza del selvaggio e urlante Bob. E come se anche noi fossimo, assieme a Laura, fuori e dentro noi stessi, veniamo inghiottiti dall’antro della sua bocca e della sua gola in primissimo piano. Il rituale del delitto su questa terra non potrà poi che avere come perimetro transizionale il laido locale notturno situato al confine tra gli stati (inteso non solo dal punto di vista geografico…) frequentato da Theresa e da Laura, entrambe date in pasto agli sbavanti avventori.

Ma David Lynch offre, con la potenza della visionarietà, un riscatto di memoria, d’amore e di bellezza a queste ragazze interrotte, abusate, martoriate, trasferendole e trasfigurandole nel giardino artificiale di una stanza rossa; non però nella fissità di una musealizzazione, bensì nel dinamismo del substrato onirico e materico di cui sono fatte le performance e le installazioni artistiche, che poi torneranno per diventare la sostanza destrutturante qualsiasi modalità e logica di racconto nella terza stagione di Twin Peaks (2017) . E che rimangono in perpetuo i pianeti di un cosmo da circumnavigare, alla ricerca di un posto dove potersi perdere continua a essere ancora meraviglioso.
In sala dal 29 settembre al 1 ottobre 2025.
Fuoco cammina con me (Twin Peaks: Fire Walk with Me) – Regia: David Lynch; soggetto: David Lynch e Mark Frost; sceneggiatura: David Lynch e Robert Engels; fotografia: Ron Garcia; montaggio: Mary Sweeney; musica: Angelo Badalamenti; interpreti: Sheryl Lee, Ray Wise, Kyle MacLachlan, David Lynch, Chris Isaak, Dana Ashbrook, Moira Kelly, James Marshall, Grace Zabriskie, Michael J. Anderson, Frank Silva, Miguel Ferrer; produzione: New Line Cinema, CIBY Pictures e Twin Peaks Production; origine: USA, 1992 ; durata: 135 minuti; distribuzione: Lucky Red.
