Hayao Miyazaki e l’airone di Kaku Arakawa

“È seccante tornare nel mondo reale”
(Hayao Miyazaki)

È nel lontano settembre del 2013 quando Hayao Miyazaki annuncia, durante una conferenza stampa, di volersi ritirare dalla produzione di lungometraggi: alla sua età è ormai diventato troppo faticoso gestire la produzione di un film di animazione. È questo l’incipit non solo di una prima documentazione sul ‘personaggio’ Miyazaki girata da Kaku Arakawa, il mediometraggio Never-Ending Man: Hayao Miyazaki (2016), ma anche del suo secondo e recente film Hayao Miyazaki e l’airone, presentato a Cannes quest’anno, che narra la genesi, il making of di Il ragazzo e l’airone.

Ma mentre il primo documentario ci mostra il regista giapponese, deciso ormai a dedicarsi solo a brevi e meno impegnativi film, durante la lavorazione del corto animato Boro the Caterpillar – film per il quale si è avventurato nel campo della sperimentazione con la moderna tecnica del CGI, della quale però sembra essere rimasto poco soddisfatto – nella seconda e attuale documentazione vediamo Miyazaki prendere la decisione di tornare al lavoro, con il metodo tradizionale a lui più consono, per un lungo progetto d’animazione. È la nascita di Il ragazzo e l’airone., di cui il maestro, in segreto, già stava preparando lo story board. Un progetto che durerà ben 3598 giorni, e cioè sette anni di lungo e faticoso lavoro, che però gli ha fatto vincere quest’anno il suo secondo Oscar per il miglior film di animazione (il primo Oscar era stato La città incantata nel 2003).

Kaku Arakawa segue, praticamente pedina Miyazaki, nella metodica quotidianità della sua giornata divisa fra lo Studio Ghibli e l’intimità di casa. Il film mette in evidenza le solide relazioni che lo legano ad amici e collaboratori, così come la sua insofferenza per le moderne tecnologie (sistema d’allarme) e la sua nota predilezione per un certo tipo di design démodé europeo: la sua amata e rumorosa Citroën 2CV, della quale si serve per compiere il tragitto fra casa e studio, e che aveva immortalato anche nei suoi anime – per la precisione in Lupin III. Il castello di Cagliostro (1979) – oppure il vecchio bollitore a fischio, preferito a quello elettrico. Non è quindi una sorpresa che preferisca disegnare con matita su foglio mentre gli altri animatori usano il più moderno CGI. Quando si tratta di Miyazaki, più che parlare di un metodo di lavoro, si parla di uno stile di vita. Ciò vuol dire che tutto quello che lo circonda e affascina, le cose e le persone che gli vivono accanto, che hanno condiviso con lui il passato e il presente, finiscono dritti dritti nel suo mondo creativo, e ne riescono, trasformati dalla sua matita, in personaggi dei suoi mondi animati.

Ed è grazie all’alternanza fra sequenze dalla vita reale del regista ad altre tratte da Il ragazzo e l’airone, che Arakawa ci offre una chiara interpretazione di quest’ultimo anime, che per molto tempo è rimasto preda di diverse congetture (basta navigare nel web per farsene un’idea). Molti sono gli spunti biografici: Miyazaki stesso diventa nel film Mahito, Toshio Suzuki, produttore di quasi tutti i suoi film e amico di lunga data, è l’airone cenerino; amico fedele e spirito guida, sì, ma anche bonariamente imbroglione. Mentre le recenti perdite di amici, fra i quali il suo mentore e amico Isao Takahata, il Paku-san sempre amato e rispettato, dal cui severo giudizio Miyazaki è sempre stato dipendente, (autore e disegnatore, fra gli altri, dei bellissimi Una tomba per le lucciole, Pom Poko, La storia della principessa Splendente) e della colorista Yasuda Michiyo, ispirano la figura del prozio e quella di Kiriko nel film. Rendere immortali questi personaggi non è solo una dedica a chi se n’è andato, ma anche un modo per staccarsi simbolicamente da loro e liberarsi del trauma della morte.

In un montaggio dal ritmo irregolare che alterna momenti di grande accelerazione con velocissimi cambi d’immagine ad altri più lenti e talvolta molto lunghi, Arakawa ci consegna, in un interessante documentario, il ritratto vivido e umano di un artista che si spinge alla continua ricerca dei propri limiti, sia fisici che intellettivi; uno spirito creativo alle prese con l’avanzare dell’età, che lotta contro l’incubo della morte di collaboratori e amici, ma anche della propria. Riesce così a mostrarci l’immensa energia nascosta di cui ancora quest’uomo è capace.

È stato un anno particolarmente favorevole e ricco di importanti riconoscimenti per Hayao Miyazaki: all’Oscar per il film è seguita la Palma d’oro alla carriera allo Studio Ghibli. Oltre a Hayao Miyazaki e l’airone un altro documentario di produzione francese è stato presentato a Venezia: Miyazaki, l’esprit de la nature di Léo Favier. Quest’ultimo, vuole essere non solo un omaggio al maestro, ma anche una guida all’interpretazione dell’universo animista dei suoi film. Per tutti gli ammiratori del grande disegnatore questi sono sicuramente dei validi ed interessanti approfondimenti, nell’attesa di una nuova opera, che sembrerebbe essere già in produzione ma che, conoscendo i tempi, i dubbi e le fatiche (messi in evidenza nel film) di Miyazaki, avrà probabilmente una lunga gestazione. Non resta che armarsi di pazienza, tenere le dita incrociate e nel frattempo recarsi al cinema in questi tre brevi giorni di proiezioni speciali.

In sala il 25, 26 e 27 novembre.


Hayao Miyazaki e l’airone (Hayao Miyazaki and the Heron) – Regia e fotografia: Kaku Arakawa; montaggio: Teruyuki Mouri; suono: Shinichiro Ogata; interpreti: Hayao Miyazaki, Toshio Suzuki; produzione: NHK; origine: Giappone 2024; durata: 120 minuti; distribuzione: Lucky Red.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *