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Voto
Quanto vorremmo tornare in sala a vederci un film come si deve dei fratelli Joel e Ethan Coen! È infatti da La ballata di Buster Scruggs (2018) che i due fratelli si sono separati e lavorano ognuno per conto proprio, dopo ben diciotto film girati insieme. Ora con Honey Don’t! è uscito in sala il secondo film di finzione di Ethan Coen in solitario senza il fratello Joel, e realizzato, come il road movie Drive-Away Dolls, insieme alla moglie Tricia Cooke. Il film presentato in anteprima a Cannes segna così il secondo capitolo di una trilogia lesbica low-budget che si concluderà prossimamente con l’horror Go, Beavers!

Siamo nella cittadina di Bakersfield nell’entroterra della California, ma potremmo benissimo essere nel Texas di Non è un paese per vecchi (2007), perché pure qui imperano la stessa quotidiana violenza e la stessa diffusa disoccupazione. Alle quali si aggiungono i credo estremisti delle sette religiose e della politica MAGA che dominano oramai la provincia americana. Honey O’Donahue (Margaret Qualley) è un detective privato che si occupa, ma senza particolare zelo, di indagare le infedeltà coniugali dei partner dei suoi clienti. Fra i pochi ingaggi che riceve, le visite di famiglia alla sorella Heidi (Kristen Connolly), qualche avventura lesbica di poca durata – non arriva mai al terzo appuntamento, dice – e qualche battuta scambiata con il poliziotto locale Marty (Charlie Day) che le fa la corte pur sapendo della sua omosessualità, Honey, non sembra aver molto da fare. Per questo, quando una sua cliente viene trovata cadavere dentro l’auto uscita di strada, non crede ad un semplice incidente, come sembrerebbero far supporre le circostanze, e si mette ad indagare privatamente su una setta religiosa che la donna frequentava: la Four-Way Temple del reverendo Drew Devlin (Chris Evans), dietro la cui facciata si nascondono loschi giri internazionali di denaro, sesso sadomaso e violenza. Nel frattempo, inizia una storia che parrebbe più seria, ma comunque molto fisica, con la poliziotta MG Falcone (Aubrey Plaza) e si occupa di dare una lezione al fidanzato MAGA, ovviamente violento e possessore di un fucile, della nipotina. Mentre, fra le calde e deserte strade cittadine, l’insolita e attraente Chère, dall’esagerato accento francese (Lera Abova), il cui nome però scopriamo solo alla fine e sulla quale veniamo a sapere comunque gran poco, si aggira su una vespa.
In Honey Don’t è presente, o per quanto meno esiste sulla carta, il caratteristico mix di dramma cupo e umorismo nero del cinema dei Fratelli Coen, tanto che qualche battuta riesce anche divertente, fra i tanti parlati e lunghi battibecchi. Peccato però non riesca a convincere nella messa in scena, che risulta alquanto debole e poco avvincente nonostante la presenza di alcuni interessanti passaggi, come per esempio la scena iniziale, con l’arrivo di Chère sul luogo del delitto. Tanto che vien da chiedersi su cosa e su chi Honey stia in effetti indagando, e forse nel corso del film anche lei ha perso il filo della narrazione quanto noi. Verso la fine, ad ogni modo, il racconto non sa più dove andare a parare e la situazione diventa di punto in bianco, e da poco plausibile che era, inverosimile fino a perdere completamente di senso. Allo stesso modo i personaggi secondari come Chère o il padre, o la stessa MG Falcone, che potrebbero rivelarsi – e gli è permesso di esserlo per breve tempo – interessanti, riescono nelle scene successive a perdere la loro presenza scenica proprio grazie all’effetto sorpresa che avrebbe dovuto probabilmente stupirci, ma ci lascia solo interdetti per le scelte attuate che stravolgono il carattere e la personalità dei personaggi in modo, appunto, e torniamo a ripeterci, alquanto poco plausibile.

Per quanto il personaggio di Honey voglia farsi passare per una versione femminile del classico detective di genere noir, per intenderci Humphry Bogart, e sia caratterizzato dalla stessa calma di agire della poliziotta Marge in Fargo, Margaret Qualley è lontana dal consegnarci un personaggio carismatico e ambiguo come Bogart, o così originale come era riuscita a crearlo Frances McDormand. L’eleganza e i particolari dai forti colori di scarpe e vestiti della costumista Peggy Schnitzer, che Honey si porta addosso, sommati alla sua perfezione fisica – non dimentichiamo il ruolo di co-protagonista dell’attrice in The Substance – la elevano e fanno in modo che risalti sì, fra i trasandati e sciatti abitanti della piccola cittadina, ma la rendono anche poco credibile nel ruolo di una detective di provincia. E non perché non sia Qualley capace nella sua recitazione, ma perché il suo ruolo così scritto, risulta ripetitivo e non persuade nemmeno in un B-movie come questo. E non solo, anche dal punto di vista di un’interpretazione femminista Honey Don’t si lascia andare a una visione superficiale della società patriarcale americana. Vediamo quindi la sorella Heidi succube dei suoi tanti e troppi figli, la nipote vittima della violenza di genere, mentre le adepte donne della setta sono tutte sottomesse sessualmente al volere del reverendo Devlin. Peccato che il duo Coen-Cooke non si sia dato la pena di approfondire le motivazioni delle problematiche trattate, che rimangono sospese, tanto quanto l’investigazione di Honey sul delitto della cliente, che fra i tanti altri omicidi commessi nella durata del film, perde in credibilità e senso.
Impeccabili, invece, la fotografia retrò di Ari Wegner e il set design curato da Nancy Haigh che, se non bastano a salvare la storia e il film, ne contribuiscono a rendere sopportabile la visione, almeno fino a quasi il tracollo finale di quest’opera sgangherata e poco verosimile.
Fuori Concorso nella sezione Midnight Screenings del 78° Festival di Cannes
In sala dal 18 settembre 2025.
Honey Don’t: – Regia: Etan Coen, sceneggiatura: Ethan Coen, Tricia Cooke; fotografia: Ari Wegner; montaggio: Ethan Coen, Tricia Cooke; musica: Carter Burwell; scenografia: Nancy Haigh; costumista: Peggy Schnitzer interpreti: Margaret Qualley, Aubrey Plaza, Charlie Day, Chris Evans, Billy Eichner, Talia Ryder, Lera Abova, Kristen Connolly, Lena Hall, Don Swayze; produzione: Focus Features, Working Title Pictures; origine: Stati Uniti/ Gran Bretagna, 2025; durata: 90 minuti; distribuzione: Universal Pictures.
