I Delinquenti di Rodrigo Moreno

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Dopo Anatomia di una caduta, fenomenologia di una rapina: si potrebbe sintetizzare così, con una battuta o un gioco di parole, il fluviale I Delinquenti di Rodrigo Moreno, presentato come il film Palma d’oro di Justine Triet al Festival del cinema di Cannes dello scorso anno nella sezione Un certain regard e ora lodevolmente distribuito in sala da MUBI in collaborazione con Lucky Red; ma si tratterebbe di una lettura parziale, relativa solo alla prima delle tre parti in cui si disloca- per toni, prospettive e luoghi- il racconto intorno a cui ruota il film.

Per una buona ventina di minuti sembra di assistere a un documentario su un impiegato di banca e sulla filiale nella quale lavora, a cominciare dalla vestizione con la standardizzata e convenzionale uniforme composta da giacca, cravatta e camicia, fino alle pratiche quotidiane e routinarie dell’incasso di un assegno, la verifica di una firma e il prelievo, conteggio e deposito dei soldi in cassaforte. Ogni situazione e ogni gesto appaiono dimessi e monocordi, riflesso dell’identità del resto degli impiegati, gente comune che si muove all’interno di quello spazio fatto di uffici, caveau e casse. Ma ci sarà un progressivo cambio di registro nel momento in cui  Moran, l’ impeccabile funzionario pedinato fin dall’inizio del regista, metterà in atto il suo detour: come l’hitchcockiana Marion Crane di Psycho, ruba una somma altissima e se ne va a casa con l’idea di un piano meno impulsivo e più spregiudicato. Affiderà infatti la valigetta con il denaro al collega Roman, convincendolo che si tratta dell’assicurazione e del viatico per non lavorare più in quel luogo gretto e grigio, e mettendolo di fronte a un quesito morale che si farà anche trappola e ricatto: Moran infatti si costituirà senza rivelare il luogo della refurtiva e, una volta scontata una pena relativamente breve con annessa buona condotta, dividerà la rendita con quel suo complice malgrado tutto, in una prospettiva di fuga e di libertà, valore e vincoli più convincenti, forti e duraturi del denaro stesso, mai cosi strumentale alla scoperta  dell’altrove del desiderio.

In una stratificata struttura concentrica- pur nella linearità della linea narrativa ( Moran minaccia il talvolta titubante Roman di denunciarlo se non tiene fede al loro patto) lo sguardo di Moreno passa da un sostanziale realismo d’osservazione, un puntuale pedinamento ad altezza d’uomo, al mettere in scena il doppio sogno in reverse di due personaggi che, come in un film del primo Fassbinder, sono convinti di vivere in un film di gangsters, come si fa riferimento nell’ironico titolo, ma che invece rimangono schiacciati in parte dalla loro identità di piccolo borghesi indolentemente attratti da una forma di trasgressione alle regole sociali, dall’altra sublimati nell’onirismo e nella magia di un panteistico paesaggio naturale dove tutto è possibile e materializzabile. La trasformazione che attraversa l’opera di Moreno nella sua struttura più apparente e nel suo senso più profondo ricorda da vicino la felice e recente memoria di Trenque Lauquen di Laura Citarella, un’ altra pellicola argentina, ancora più fluviale e complessa nelle diramazioni di trame tra il fantastico, l’horror e il surreale, con cui tra l’altro I delinquenti ha in comune una delle sue interpreti: Laura Paredes che nel film della Citarella era il volto del mistero, della rimozione, del desiderio negato e sublimato o immaginato, mentre per Moreno si normalizza fino a diventare  la rapace e pragmatica investigatrice interna, selezionata dalla compagnia di assicurazioni con l’intento di scoprire un’ eventuale responsabilità o complicità degli altri dipendenti.

Lo spirito selvaggio e alchemico della Paredes si riversa comunque nelle sembianze di un’altra figura femminile derivata dalla sottotraccia- sottotrama,  facente parte di una curiosa troupe cinematografica che registra i suoni e le immagini in un suggestivo scenario montano, senza la finalità di ricavarne un racconto compiuto ma come frammenti di un’osservazione partecipata e immersiva, la fenomenologia che incontra la poesia e ne trasfigura i tratti e gli orizzonti . La montagna come impressione simbolica di un esteso mondo antico e simultaneamente rocciosa, materica presenza di una forza primigenia che destabilizza, urta e mette in crisi i piani, tanto quello esistenziale che quello più legato all’agìto dell’appropriazione del denaro. Una crisi generativa di un immaginario altro, a sua volta versione negli elementi basilari del farsi esperienza di un microcosmo di avventura e sentimento tanto confortevole e caro agli occhi di un maschile represso e bloccato (all’inizio Roman ha il collo letteralmente ingessato da un collare); l’avventura western di una scabra prateria e l’incontro amoroso e sensuale, nella sua accezione più etimologica di esperienza sensoriale, con una ragazza spontanea nella sua vitale  giovinezza, capace di innamorarsi e di far innamorare. Una visione/apparizione sopra quella montagna incantata che somiglia tanto al minaccioso e meandrico complesso dove si perdevano le fanciulle in fiore di Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir, cristallizzate in un’ideale di meraviglia sfuggente e curiosa che non esclude il retrogusto amaro e il sentore di perdita e morte.

I Delinquenti ha un mood decisamente più leggero, ma non in un significato di poco spessore. C’è una coltre di indecifrabilità nel rito sentimentale della montagna attraversato e vissuto con la donna, prima da Roman e poi da Moran, nell’ordine dell’intreccio e non della fabula. Si assiste a un gioco, a un’affabulazione, alla condivisione di uno spazio-tempo sospesa oppure parallela a una realtà da cui evadere, in quanto satura di stress da frustrazione professionale, incomunicabilità familiare, vuoto metafisico e anonimo degli spazi cittadini. Per un insieme di attimi l’oppressione della galera/banca è annullata in un fuori che, peraltro, non nasconde la sua finale destinazione di set cinematografico, ma allarga quel limite e si riappropria di un respiro epico, o più precisamente  contro epico nel decostruire il profilo del fuorilegge, nel renderlo uomo qualunque che si scrolla la veste opaca del qualunquismo e indossa il manto di un romanticismo asciugato da tentazioni estetizzanti ed eccessi melodrammatici. Certo, a tratti la ripetizione si fa estenuante perché troppo inserita in un meccanismo schematico di specularità e convergenze, ma al tempo stesso  produce il fascino che trasmette un flusso alternato tra sensazioni emotive e razionali e strategiche costruzioni, tra deragliamenti dei corpi e dei cuori e ben calibrati spostamenti concentrici.

Per un cinema che tenta ancora di battere il sentiero degli stupori e dei tremori, del sussurro e non del grido.

In sala dall’ 11 aprile e poi su MUBI


I delinquenti (Los Delincuentes) – Regia e sceneggiatura: Rodrigo Moreno; fotografia: Alejo Maglio, Ines Ducastella; montaggio: Nicholas Goldbart, Manuel Ferrari; interpreti: Daniel Elias, Margarita Molfino, Esteban Bigliardi, German De Silva, Cecilia Rainero ; produzione: Wanka Cine, Rizoma Films, Jaque Content, Les Films Fauves, Jirafa films, Punta Colorada de Cinema ; durata: 180 minuti; origine: Argentina, 2023; distribuzione: MUBI in collaborazione con Lucky Red.

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