Torino Film Festival (Concorso doc./italiana): I giorni del destino di Emanuele Marini

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Dopo una serie di cortometraggi – tra cui Non chiudere gli occhi presentato nel 2017 alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro – Emanuele Marini  continua la sua indagine sulla vita di persone segnate dall’emarginazione. Ne I giorni del destino, il suo primo lm, ci narra la storia di Paolo, un uomo segnato da un destino fatto di trascuratezza e deprivazione.
Al centro del film c’è il dramma dell’infanzia rubata da un contesto sociale insensibile ai bisogni e alle fragilità umana. Paolo rappresenta quindi un mondo fatto di perdita e frammentazione, fragilità e oppressione, ma anche di speranza e fiducia nelle persone. I giorni del destino mostra quanto sia importante affrontare il proprio passato per cercare di ritrovare se stessi. Ascoltare la storia di qualcuno e in particolare la propria storia è il primo passo per non cadere nell’ignoranza e non ripetere il proprio dramma. Dietro la facciata di un uomo da biasimare per il suo stile di vita trascurato e negligente, il film mostra una realtà personale fatta di ripetute ingiustizie e profonde sofferenze. Paolo è un uomo condannato dal contesto sociale in cui è nato, ma è anche un uomo che nel momento più duro e difficile sfugge al proprio triste destino e ritrova la forza per continuare a vivere.

Emanuele Marini

Emanuele Marini avvicina la macchina da presa a Paolo con profondo rispetto e discrezione, interagendo talvolta con il protagonista per dare voce ai suoi pensieri, spesso repressi e nascosti. Si alternano momenti di profondi silenzi a momenti di caos urbano. Paolo e il regista vagano per Torino e tra i ricordi di un’infanzia difficile. Vediamo le reazioni delle persone nei confronti della condizione d’emarginazione del tagazzo, talvolta compassionevoli e comprensive, talvolta schive e riluttanti. Entriamo in un mondo stanco, pesante e ingiusto in cui, però, non manca la speranza e la voglia di rivalsa.

La mano del regista è ancora piuttosto acerba, il che comporta sia parentesi estremamente lente che dovrebbero avere un carattere contestuale in teoria, ma che in pratica vengono percepite come riempitivi, sia momenti di estrema sincerità privi di artifici o convenzioni (fondamentale in un documentario su una tematica del genere). Non è certamente facile immergersi in un’indagine di questo tipo, vivere a stretto contatto con un tipo di emarginazione che è lontana dalla nostra comprensione. La scelta di dare spazio unicamente alla voce di Paolo è sensata e adeguata allo scopo del documentario, ma lascia molti vuoti e poche spiegazioni. Il messaggio dell’autore viene trasmesso forte e chiaro attraverso una fotografia altalenante anche se alla fine restiamo con una sensazione di insoluto, come se mancasse una vera e propria chiusura del discorso.

 


Regia: Emanuele Marini; sceneggiatura:Alejandro de la Fuente, Emanuele Marini; fotografia: Emanuele Marini; montaggio: Benedetta Marchiori; interpreti: Paolo Poma; produzione: Alejandro de la Fuente per  Atacama Film, in coproduzione con Ammira Film; origine: Italia, 2021; durata: 67′.

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