I grandi numeri di Djokovic e dei suoi avversari

Summary

Il campione serbo si aggiudica il settimo titolo a Wimbledon e il ventunesimo Slam della sua carriera. Un ulteriore contributo alla storia del gioco scritta con Rafa Nadal e Roger Federer. Terminata quest’epoca di imprese memorabili, che ne sarà del tennis?

Quando Roger Federer e Rafa Nadal si giocarono la finale degli Australian Open nel gennaio del 2017, sembrava lecito pensare che quello sarebbe stato un ultimo ballo per poi dare spazio alle nuove generazioni, alle Next Gen. I due erano reduci da una stagione interrotta a metà strada per infortuni. L’età e le numerose battaglie suggerivano che non sarebbero state molte le occasioni per continuare non solo a essere competitivi ma addirittura a vincere tornei.

E poi Novak Djokovic, anche lui pareva fosse avviato a un declino irreversibile, dovuto a un gomito che non rispondeva agli ordini e, più in generale, a un’usura dopo anni di lotte sui campi sia contro lo spagnolo e lo svizzero, sia contro Andy Murray, lo scozzese che a sua volta aveva raccolto molto meno degli altri tre, ma che ugualmente aveva battagliato in tutte le tappe del circuito spesso fino all’epilogo. Anche il quarto dei Fab Four era uscito malconcio dal 2016. Appena diventato numero uno del mondo, la sua anca aveva deciso di abbandonarlo. E per Murray non vi sono state appendici di rilievo. Un ritorno con un piastra artificiale, qualche bella partita e tanti ricordi piacevoli.

Torniamo al gennaio 2017. Federer che alza il trofeo, Nadal sorridente e malinconico che osserva il suo rivale e, in qualche angolo del pianeta, Djokovic che cerca di capire se il suo corpo potrà ancora regalargli qualcosa. Fine del film? No. Perché non solo Federer e Nadal hanno continuato a vincere (decisamente più lo spagnolo dello svizzero), ma a partire dal 2018 è tornato prepotentemente in azione il serbo. E domenica scorsa, sui prati londinesi nella finale contro Nick Kyrgios, Djokovic ha vinto il suo settimo Wimbledon, raggiungendo la quota totale di ventuno titoli Slam.

Un altro paio di numeri per capire cosa è successo in circa vent’anni di tennis: dal 2003, su 76 Slam disputati, il trio Nadal (22), Djokovic (21), Federer (20) ne ha portati a casa 63. Dal fatidico 2017, il serbo ha conquistato 9 Slam, lo spagnolo 8, lo svizzero (che rispetto ai due contendenti ha cinque e sei anni in più) 3. Il che significa che ne hanno vinti 20 su 22.

Cos’è successo in quei due Slam persi? Nel 2020 Djokovic fu giustamente espulso a New York per aver tirato una pallata sulla gola di una giudice di linea. Per le note questioni legate alla pandemia, inoltre, il torneo statunitense si disputò poco prima di Parigi, e dunque Nadal decise di non presentarsi per giocarsi tutte le sue carte sulla amata terra rossa, dove ovviamente vinse. A conquistare lo Slam sul cemento di Flushing Meadows, dopo tre finali perse (due a Parigi con Nadal, una in Australia con Djokovic), fu l’austriaco Dominic Thiem opposto ad Alexander Zverev. Anche in quell’occasione venne spontaneo pensare che si fosse all’alba di una nuova era. Niente da fare. A interrompersi, di lì a poco, sarebbe stata la carriera di Thiem che proprio in questo periodo sta provando faticosamente a rientrare nel circuito.

Nel 2021 dopo aver vinto in serie Australian Open, Roland Garros e Wimbledon, Djokovic ha tentato quello che a livello maschile è riuscito due volte al solo Rod Laver, il Grande Slam. Ma a New York è accaduto qualcosa di normale se ragionassimo secondo la logica convenzionale, di straordinario se guardassimo solo a questi vent’anni di tennis. Ossia, che l’emergente Daniil Medvedev è riuscito a sconfiggere il vecchio campione, impedendo l’unica grande impresa sfuggita al trio dei 63 Slam. E probabilmente questo sarà l’unico buco in un’agenda dove in ogni pagina compare la scritta: fatto.

In un susseguirsi di numeri che ogni volta potrebbero essere definitivi e che, al contrario, richiedono continui aggiornamenti, si possono azzardare alcune considerazioni. La prima è che questa polarizzazione che ha portato tre atleti a varcare i confini della loro disciplina, ha evidentemente giovato al tennis in termini di visibilità, di contratti televisivi, di sponsorizzazioni. Progressivamente, le imprese di Federer, Nadal e Djokovic hanno coinvolto un numero di spettatori inusuale per uno sport popolare ma non così penetrante come altri. Non bisogna dimenticare che seguire il tennis dal vivo ha dei costi elevati e che per vederlo a casa bisogna sottoscrivere più abbonamenti perché i diritti di trasmissione sono diversificati.

Insomma, con l’avvento del trio, il tennis ha fatto un salto in avanti notevole come non accadeva dai tempi di Björn Borg e John McEnroe e, forse di Andre Agassi e Pete Sampras, anche se quest’ultimo, pur uno dei più grandi di sempre, non ha mai avuto l’appeal dei suoi colleghi. La domanda, dunque, riguarda il dopo. Cosa ne sarà di questo sport quando Nadal e Djokovic si ritireranno? Avrà lo stesso impatto o accadrà quello che sta avvenendo, ad esempio, nella MotoGP con un drastico calo di spettatori dopo il ritiro di Valentino Rossi e le disgrazie di Marc Marquez?

Se osserviamo quello che si sta verificando anche in campo femminile, c’è da temere una caduta verticale. Dopo i ritiri di Maria Sharapova, Venus Williams, solo per citare i due nomi più eclatanti, e la resa di Serena Williams, che comunque dalla sua gravidanza ha ottenuto un numero di finali Slam (4) che le giocatrici in attività non hanno ancora raggiunto, i tabelloni si sono trasformati in una specie di campo minato. Detto che Naomi Osaka (l’unica a vincere 4 Slam) sta pensando ad altro, che a sorpresa Ashleigh Barty (la numero uno indiscussa fino a gennaio di quest’anno) si è fatta da parte, che Bianca Andreescu purtroppo è vittima di un corpo fragile che non le permette di giocare con continuità, tutte le altre appena hanno provato  ad affacciarsi al piano superiore e a sollevare un trofeo importante, sono cadute immediatamente nell’oblio. Con l’unica eccezione rappresentata da Iga Swiatek, reduce da trentasette vittorie consecutive. Forse sarà lei a prendere il comando delle operazioni.

Ad ogni modo, anche se la finale di quest’anno tra Ons Jabeur e Elena Rybakina ha contrapposto due giocatrici meritevoli che forse ritroveremo in futuro, che dire delle varie Barbora Krejčíková, Sofia Kenin, Jeļena Ostapenko, Emma Raducanu? Vincenti per caso nel deserto o abili nella lotta serrata del tutte contro tutte?

Non esiste un rimedio. Cioè, non si può impedire per legge ai soliti noti di vincere sempre. Per ora solo le norme sui vaccini anti Covid e gli infortuni hanno impedito a Djokovic e Nadal di aggiudicarsi quel poco che non hanno preso.

Altra questione. Quando due giocatori riescono nonostante le poche partite alle spalle, gli allenamenti altalenanti, le fratture, gli stiramenti, l’età che avanza, a disporre a loro piacimento degli avversari, forse è giunto il momento di farsi una domanda sulla reale qualità degli altri. Djokovic sia l’anno scorso per scelta, sia quest’anno per impedimenti extra-sportivi, ha giocato poco e vinto molto, andando contro la logica della continuità e dell’attitudine allo scontro. Nadal se possibile ha fatto di più. Infortuni muscolari, frattura a una costola, la malformazione al piede che è tornata a farsi sentire, un inverno passato tra Covid e riabilitazioni varie, per non dire del gioco che ha dovuto radicalmente modificare perché non poteva più reggere la durezza degli scambi che lui stesso imponeva. Niente di più semplice che scommettere contro uno ridotto in quello stato. E invece…

Allora, che ne è di Medvedev, di Stefanos Tsitsipas, dei canadesi Félix Auger-Aliassime e Denis Shapovalov, di Alexander Zverev, solo per limitarci ai contendenti della nuova generazione più credibili, a quelli che avrebbero dovuto liberarsi già da un paio di anni dei due mostri sacri e che invece si sono dovuti arrendere con le stesse modalità delle generazioni precedenti?

Il sospetto è che al talento manifestato ripetutamente da questi giocatori non si riesca a unire la capacità di studiare l’avversario, di trovare una via alternativa per disarcionare i re che passeggiano a cavallo senza timore di subire alcun attacco. E questo fa pensare che forse quelli più vicini a mediare tra talento e apprendimento siano i due che a Wimbledon si sono trovati l’uno contro l’altro agli ottavi e che nei prossimi Slam si incroceranno per successi ancor più prestigiosi: Carlos Alcaraz e Jannik Sinner. La loro partita a Wimbledon è stata tra le più belle. Non sono state tante in un torneo dai contenuti non elevatissimi, ma intanto lo spagnolo e l’italiano hanno dimostrato che ogni giorno che passa il loro tennis si arricchisce di colpi, di soluzioni, di reazioni a ciò che prima sembrava un punto debole. Che poi Sinner sia stato rimontato da Djokovic e sconfitto in cinque set dopo essere stato sopra di due, è parte di un processo di crescita che andrà valutato già a partire dai tornei nordamericani di agosto.
Forse è a Sinner e Alcaraz che sono legate le sorti di uno sport che vorrebbe continuare a essere fenomeno per i tanti.

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