Ich will alles. Hildegard Knef di Luzia Schmid (Berlinale – Panorama)

  • Voto

Nel centesimo anniversario della nascita, il festival di Berlino presenta un documentario in onore delle sue cittadine più famose, l’attrice, cantante, scrittrice Hildegard Knef (1925-2002). In Italia non è notissima, pur avendo girato alcuni film anche con registi italiani (Guido Malatesta, Umberto Lenzi, Fabrizio Laurenti), e pur essendo dotata di doppiatrici di tutto rilievo, esse stesse attrici, come Andreina Pagnani, Rina Morelli o Anna Miserocchi. In Italia la si conosce forse un po’ di più per i non molti anni hollywoodiani (dove le tolsero quella “K” così ostica  e la ribattezzarono Hildegarde Neff) o per un successone a Broadway: Silk Stockings di Cole Porter con Don Ameche (quasi 500 rappresentazioni in poco più di un anno) tratto da un capolavoro politico-comico come Ninotchka, sceneggiatura Billy Wilder, regia Ernst Lubitsch.

In Germania invece, pur oggetto di un interesse a dir poco controverso, per le ragioni che dirò fra un attimo, Knef è per certi aspetti da inserire in un’unica fila insieme a Marlene Dietrich prima a Romy Schneider poi, a tutti gli effetti una delle poche attrici (e cantanti) che meritano il nome di diva. Perché interesse controverso? Innanzitutto perché Hildegard Knef è giovane ma non abbastanza giovane da non aver avuto per nulla a che fare con i Nazisti, anzi giovanissima e promettente attrice ha una relazione con un gerarca del cinema nazista, a stretto contatto con Goebbels, direttore di produzione della Tobis, Ewald von Demandowsky (1906-1946), catturato dalle truppe americane verrà consegnato alle truppe sovietiche che lo giustizieranno una settimana prima dell’esecuzione di Norimberga. Knef farà in tempo a girare qualche film prima della caduta del Reich, per poi diventare, si può dire, l’icona del cinema delle macerie, interpretando il personaggio di Susanne, la volenterosa e risoluta protagonista femminile de Gli assassini sono fra noi (1946), con certezza il più celebre film tedesco del dopoguerra. In grazia di questo successo (e di altri successi in film consimili), Knef viene chiamata a Hollywood da David Selznick che la paga profumatamente ma la fa lavorare poco o niente e soprattutto molto male, in filmetti di poca importanza. Sarà un importante reduce dall’America, ossia il viennese Willi Forst che la convincerà a tornare in Europa offrendole il ruolo di interprete principale in quello che diventerà un film famoso e – soprattutto – famigerato dei primi anni ’50 nella neonata Repubblica Federale Tedesca, il film s’intitola Die Sünderin (La peccatrice) e racconta, non senza scene di nudo scandalose per allora, la storia di una prostituta che varrà alla Knef uno stigma dal quale farà davvero fatica a riprendersi. E infatti non molto tempo dopo tornerà negli USA dove raggiungerà il successo a Broadway, e poi di nuovo in Germania Federale, più o meno a ridosso della costruzione del Muro di Berlino.

Dagli anni Sessanta in avanti l’attività principale di Knef diventerà dapprima la musica, ovvero recital solistici (Ella Fitzgerald ebbe a definire la Knef la migliore cantante senza voce) e poi libri a sfondo più o meno autobiografico, ma non solo. Ma probabilmente mai la carriera di Knef sarà priva di asperità, se non sono scandali interni all’opera (o scandali politici) saranno scandali sentimentali: sposata tre volte, Knef sarà costantemente oggetto della gogna mediatica che in Germania non ci andava per nulla leggera, con una donna certamente indipendente e intraprendente.

Non è la prima volta che si fa un film su Hildegard Knef. Nel 2009 il regista Kai Wessel aveva fatto un lungo e piuttosto noioso, piuttosto posticcio biopic intitolato semplicemente Hilde, che ho rivisto per l’occasione. Brutto davvero perché ripetitivo, con l’attrice tedesca Heidi Makatasch nel ruolo della Knef, che non sapeva cantare e anche come attrice aveva lasciato parecchio a desiderare (non c’è bisogno di scomodare le doti di Edward Norton e di Timothée Chalamet ma bisogna saper anche cantare in un film così). Molto più onesta la scelta della documentarista Luzia Schmid che, comparativamente, dà molto più spazio alla Knef cantante e alla Knef scrittrice che alla Knef attrice, che ricorre all’abbondantissimo materiale disponibile ed, ex novo, intervista anche il terzo marito ormai molto vecchio e la figlia nata nel 1968 dal secondo marito. Ne viene fuori un quadro non particolarmente originale ma certamente compiuto, che sottolinea gli alti e i bassi di una fra le donne più celebri di area tedesca, una delle poche, come si diceva, a meritare l’appellativo di diva.


Ich will alles. Hildegard Knef. Regia e sceneggiatura: Luzia Schmid; fotografia: Hajo Schomerus; montaggio: Yana Höhnerbach; produzione: zero one film, Berlin; origine: Germania, 2025; durata: 98 minuti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *