“Il Cinema Ritrovato” XXXIXª Edizione (Bologna, 21 giugno – 29 giugno 2025): Le nozze del Collectif Nouveau Théâtre de Tunis e Il postino di Dariush Mehrjui

Le nozze consiste nel rifacimento cinematografico dell’omonima opera teatrale messa in scena dallo stesso collettivo (che firma la regia anche filmica) nel 1976. È un progetto dunque che dal teatro sperimentale d’avanguardia, appena fondato a Tunisi da Fadhel Jaïbi, Fadhel Jaziri, Jalila Baccar, Mohamed Driss, Habib Masrouki, viene ripensato dagli stessi attori per una sua versione filmica. Già per questa ragione, siamo di fronte a un’opera che nel suo farsi cerca “modi d’esistenza”, meglio dire espressivi per provare a raggiungere e toccare la sensibilità del pubblico seguendo più direzioni. Come tipo di lavoro, si colloca tra altre testimonianze cinematografiche di importanti produzioni teatrali sperimentali, tra cui, a esempio, il primo Fassbinder dell’”Action-Theater” e dell’”Antiteater” poi. È un’opera-canovaccio che dunque felicemente si dipana nella sua trasposizione possibile. È passata la mezzanotte e l’azione scenica-visiva si svolge dopo la cena che tradizionalmente conclude il settimo giorno di festa per le nozze come da usi e costumi tradizionali in Tunisia. Siamo in una vecchia casa nella medina, appartenente al padre dello sposo. La proprietà fatiscente e pericolante è destinata alla demolizione per decreto comunale. Con la partenza degli ultimi invitati, gli sposi, in un gioco crudele, iniziano un processo catartico che porterà a galla bugie, incomprensioni, disprezzo e odio reciproco, ma anche emergere nei loro rispettivi silenzi l’impossibilità di poter vincere un destino latente che li ha visti diventare, forse per caso o meglio per passività, una coppia sposata. In questa vecchia abitazione, Fatah (Mohamed Driss) e Sarra (Jalila Baccar) si ritrovano dunque soli. Come due topi in gabbia, iniziano un “gioco al massacro”, fitto di crudeltà dette e fatto di provocazioni e aggressioni. Si affrontano “a viso aperto” in un ambiente soffocante, a porte chiuse, che presenta tutte le caratteristiche tipiche di uno spazio claustrofobico dalle atmosfere kafkiane. Un bianco e nero che esprime benissimo le polarità opposte che rappresentano reciprocamente i due personaggi. Due sono gli aspetti che immediatamente colpiscono lo spettatore. Uno è di tipo scenografico, l’altro invece risponde nel connubio eccezionale di attorialità e personaggio. L’appartamento, pensato in uno stile essenziale e spartano, continua a “perdere pezzi”. Cadono infatti continuamente calcinacci dal soffitto, le tubature dell’acqua sanitaria perdono continuamente e come se non bastasse inizia a pioverci dentro. La stato fatiscente inorganico della casa in costante “deflagrazione” bene risponde a ciò che sta succedendo all’organico che ci abita, ai due sposi. È un quadro che perfettamente fa da abito ai due soli personaggi. Rispetto all’altro punto, è evidente che Le nozze è un film che basato e costruito sugli attori. È una sperimentale performance da cui gli eventi narrati dipendono. E ciò che convince la tenuta dei personaggi sta nel fatto che entrambi, dentro di loro, è come se vivessero una continua oscillazione emotiva che certamente li fa essere vicendevolmente aggressivi e violenti, ma più volte “rientrano£ in una loro versione più pacata e comprensiva, l’una dell’altro. Insomma i loro sentimenti, maggiormente evidenti e relativi al loro disprezzo reciproco, non disegnano l’unica direzione della loro sensibilità-umanità. Dentro di loro c’è un’interiorità certamente sfatta e disfatta, ma sanno forse che non c’è via di uscita, di scappo. Chissà, forse per paura che fuori di lì si rischia di stare solo peggio o perché comunque tra loro “c’è qualcosa”. Questo non si sa, e resta una straordinaria scelta-soluzione che tiene viva e ferma l’attenzione spettatoriale ancora oggi.

Una sorta di parabola è invece Il postino (Postchi , 1972) che il regista iraniano Dariush Mehrjui ha liberamente tratto dal Woyzeck di Georg Büchner. Taghi (Ali Nasirian) è infatti il Woyzeck di Mehrjui. È un postino, ma non riesce a vivere con il suo magro stipendio. Per questo motivo raccoglie anche erbe per il veterinario e lavora come servitore per un allevatore di pecore ubriaco. È anche un fanatico giocatore della lotteria nazionale, il che contribuisce a rafforzare la sua ossessione per i numeri. Taghi ha una bellissima moglie, ma soffre d’impotenza e questo non può che alterare ancora di più il suo malessere di cui però sembra non tanto esserne consapevole. Il veterinario cerca di curarlo con l’aiuto delle erbe raccolte da Taghi stesso, ma quando questo non funziona, il mondo di Taghi inizia a crollare ulteriormente. È in fondo la storia di uomo semplice che preferisce la prassi al pensiero, l’agire senza senso e meta. Forse una figura d’idiota che però la società ha voluto “integrare” sotto le leggi di una consuetudine non scritte ma che valgono. E qui la beffa e pure il danno se si vuole. Con il matrimonio, Taghi è “entrato in società” di tipo rurale e “lontana da Dio e dagli uomini”. Insomma, si è trovato in un mondo, fatto di responsabilità improvvise per lui a cui dover dar retta, che è forse viene a costituire una vita “più grande” di lui. Di fronte al lento disfacimento del suo mondo che vede crollare davanti ai suoi occhi, Taghi si affatica soltanto (andando sempre come un ossesso avanti e indietro nei suoi numerosi impegni senza progetto) e si tormenta allo stesso tempo senza sapere trovare soluzioni efficaci alla sua esistenza. E dunque non gli resta che punirsi del tutto compiendo un gesto efferato e fatale. Neanche per questo personaggio, così vicino così lontano da quelli de Le nozze, c’è via di fuga se non il rimanere imbrigliato in se stesso. Forti e crude le immagini sue in primo piano che numerose albergano il film. Che dicono tutto il suo voler fortemente agire, voler fare, ma senza soluzioni di sorta. Che esprimono in modo chiaro l’energia in potenza della sua figura, ma che in atto si traduce in qualcosa sempre “fuori dalla grazia di Dio”. E così “non c’è pace tra gli ulivi”. Resta impresso il suo volto che per tutto il film non cambia espressione. È sempre statico, lì immobile, fisso, bloccato quasi, chissà forse in attesa di qualche forma di redenzione che tarda ad arrivare. E resta anche lui sottomesso al suo proprio destino, senza salvezza né riscatto.


Le nozze (Al Ôrs) – Regia: Collectif Nouveau Théâtre de Tunis (Fadhel Jaïbi, Fadhel Jaziri, Jalila Baccar, Mohamed Driss, Habib Masrouki); soggetto e sceneggiatura: Collectif Nouveau Théâtre de Tunis, tratti da “Le nozze dei piccoli borghesi” (Die Kleinbürgerhochzeit, 1919) di Bertold Brecht; fotografia: Habib Masrouki; montaggio: Larbi Ben Ali; suono: Hechemi Joulak, Faouzi Thabet; interpreti: Jalila Baccar (Sarra, la sposa), Fadhel Jaziri (Mostafa), Mohamed Driss (Fatah, lo sposo), Mostafa Nagbou (Ismaïl), Béchir Labbene (padre della sposa);  produzione: Collectif Nouveau Théâtre; origine: Tunisia, 1970; durata: 91 minuti. Edizione restaurata 2025: proiettata a Bologna, al cinema Jolly, il 27.06.2025.

Il postino (Postchi) – Regia: Dariush Mehrjui; soggetto: dalla pièce “Woyzeck” (id., 1836) di Georg Büchner; sceneggiatura: Dariush Mehrjui; fotografia: Houshang Baharlou; montaggio: Talat Mirfendereski; musica: Hormoz Farhat; interpreti: Ali Nasirian (Taghi), Ezzatollah Entezami (Niattolah), Zhaleh Sam (Monir), Ahmadreza Ahmadi (il nipote), Ezzatollah Ramezanifar (Ramazan), Bahman Forsi (il veterinario); produzione: Mehdi Misaghiyeh; origine: Iran, 1972; durata: 104 minuti. Edizione restaurata 2025: proiettata a Bologna, al cinema Modernissimo, il 28.06.2025.

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