Il padre dell’anno di Halle Meyers-Shyer

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Secondo film della trentottenne regista californiana Halle Meyers-Shyer (il primo risale a otto anni fa, il titolo italiano diversissimo da quello originale suonava 40 sono i nuovi 20, protagonista Renee Witherspoon), Il padre dell’anno deve il suo titolo italiano (quello inglese suonava molto più semplicemente Goodrich, ovvero il cognome del protagonista, nonché il nome della sua galleria d’arte a L.A.) a uno sfogo piuttosto acceso che si svolge nel pre-finale, dialogo nel quale Grace (Mila Kunis), figlia  di primo letto trentaseienne di Andy Goodrich (Michael Keaton) rimprovera al padre di averla per tutta la vita trascurata. “Lo sai”, domanda la figlia al padre, “quanto sia duro per me vederti diventare così all’improvviso il padre dell’anno?”. Questo improvviso redde rationem di una figlia a un passo dal parto (un secondo dopo le si romperanno le acque, e il padre in zona Cesarini cercherà di riscattarsi assistendola) nasce dal fatto che Goodrich sta, secondo la figlia, riversando l’affetto che ha negato a lei sui due gemelli di secondo letto, due bambini di nove anni di cui si sta occupando.

Ma Grace si sbaglia eccome. Ché ai due bambini Andy ha di fatto riservato lo stesso trattamento. Che adesso si ritrovi a occuparsi di loro è dovuto al fatto che, all’improvviso, resta solo, perché la seconda moglie ha deciso di chiudersi in una clinica per disintossicarsi da un abuso di farmaci (lui manco se n’era accorto di questa dipendenza) e per soprammercato ha deciso di lasciarlo. Se poi si aggiunge che la sua galleria d’arte ha visto tempi migliori, sta perdendo tutti i suoi clienti, e alla fine chiuderà, possiamo comodamente dire che siamo di fronte a un sessantenne (Keaton in realtà di anni ne ha 74) completamente in crisi, malgrado, come ha del resto sempre fatto, si incaponisca a ripetere che va tutto bene, va tutto bene e si permetta di affermare di star attraversando quella che lui chiama una midlife crisis, tanto che la figlia, scherzando ma neanche troppo, gli chiede se ha intenzione di vivere fino a 120 anni…

Insomma il film è la storia di uno workaholic sostanzialmente autoriferito, incapace di mollare e convinto di avere un’età nettamente inferiore da quella anagrafica (variando il titolo del primo film della regista: 60 sono i nuovi 40), che per tutta la sua vita ha investito solo e soltanto sul suo lavoro – e la domanda, a cui il film non fornisce una risposta definitiva, è se a fronte del tracollo dei capisaldi della sua esistenza, Goodrich pervenga a un cambiamento, a una svolta o se quanto compie nelle ultime scene non sia altro che il surrogato, in fondo autocommiserante, di tutto quello che, suo malgrado, non ha più. E in questa sostanziale ambiguità che il film potrebbe dare il meglio di sé, sempre sospeso fra un dramma che non riesce davvero a decollare e una commedia amarognola, una sorta di Mrs Doubtfire malgré soi, perché sono le circostanze che ovviamente anche da lui (soprattutto da lui) dipendono a costringerlo a provare a rivedere le sue priorità, a permettergli l’opzione di un possibile cambiamento, probabilmente fuori tempo massimo.

Michael Keaton e Mila Kunis

C’è un’altra scena importante nel film che documenta l’ambiguità del protagonista. In un locale jazz-femminista l’uomo va a intercettare la cantante, che è la figlia di un’artista morta di recente nella speranza di strapparle l’esclusiva del suo lascito. Con il suo fare suadente e (fintamente) empatico riesce (quasi) a convincerla, tanto che la donna, ormai cinquantenne, si presenta un bel giorno nella sua galleria per iniziare sul serio a parlarne. Nel frattempo in galleria arriva anche Grace. I tre si mettono a conversare e Lola (Carmen Ejogo) invita padre e figlia, come detto, quasi a fine gravidanza, a una seduta new age dove lo scopo è imparare a respirare. Goodrich decide di andarci e prega la figlia di accompagnarlo. E sembra davvero trarre giovamento da questa incursione in un mondo che non conosce e che fondamentalmente non gli interessa. E quindi respira e danza, quasi facesse parte del Movimento Hare Krisna. Al termine delle danze Lola scioglie le riserve: il lascito della madre verrà affidato alla galleria del protagonista. Ecco: per tutta la lunga (troppo lunga) sequenza non si capisce fino in fondo quanto l’entusiasmo e la voglia di lasciarsi andare da parte di Goodrich siano autentici oppure siano solo funzionali a ingraziarsi i favori della figlia dell’artista. E anche Greta, la propria figlia, viene strumentalizzata per esibire un’empatia padre/figlia che, come si è detto, non c’è mai stata.

Il film si vede volentieri ma è un po’ tutto così, quasi tutte le situazioni, le sequenze rientrano in quest’ambiguità di fondo fra romanzo di formazione fuori tempo massimo o coazione a ripetere di un picaro sostanzialmente inguaribile. Keaton è bravo e plausibile a restituire queste due opzioni. Non male anche Mila Kunis, sospesa fra risentimento e perdono. Andie McDowell dà vita a un inutile cameo, quando Goodrich incontra brevemente la prima moglie. E anche gli episodi secondari funzionano pochino.

In sala dal 25 settembre 2025.


Il padre dell’anno (Goodrich) – Regia, sceneggiatura: Halle Meyers-Shyer; fotografia: Jamie D. Ramsay; montaggio: Lisa Zeno Churgin; interpreti: Michael Keaton (Andy Goodrich), Mila Kunis (Grace), Carmen Ejogo (Lola), Michael Urie (Terry); produzione: C2 Motion Picture Group, Stay Gold Features; origine: USA 2024; durata: 111 minuti; distribuzione: Adler Entertainment.

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