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Voto
Basato sul romanzo distopico dello scrittore francese Pierre Boulle, il primo Il pianeta delle scimmie uscì nelle sale nel 1968, creando le basi di una saga tra le più longeve e interessanti, incentrata sul ribaltamento dei rapporti tra uomini e scimmie. Il grande successo ha generato infatti quattro sequel, legati sempre a temi di pressante attualità socio-politica, caratteristica anche della più recente trilogia reboot, uscita tra il 2011 e il 2017 con protagonista Cesare, il capo delle scimmie, di Andy Serkis. Un attore preziosissimo per il lavoro sulla motion capture, una tecnica che ha reso i nuovi film molto divertenti e coinvolgenti (nel mezzo due serie tv negli anni ‘70 e il contestato remake di Tim Burton del 2001). Fino ad arrivare all’attuale Il regno del pianeta delle scimmie, decimo film della saga, diretto da Wes Ball (Maze Runner, 2014), anch’esso veicolo di messaggi importanti, più o meno espliciti, come il valore della memoria, la moralità stessa, la leadership, la coesistenza tra specie diverse.
Ma a nostro avviso, la saga, nella sua completezza, riflette soprattutto sul concetto di potere, sulla sua ipnotica e illusoria forza, sulla sua continua autorigenerazione a scapito dei più deboli, sulla sua volontà di dominio insaziabile, e, infine, sulla sua inevitabile sconfitta. Conquistato il mondo, che avrebbe fatto poi Hitler? Che farebbe Putin se dominasse il mondo? Cosa farebbe dopo Proximus Caesar, antieroe del film, assetato di potere, se riuscisse nel suo dominio totale? Questa è la domanda, e non altre. Non specie diverse ma specchio di se stessi sono gli uomini e le scimmie.

Le scimmie sono ora qui, nel nostro film, la specie dominante, mentre gli uomini sono regrediti a uno stato ferale, come animali selvaggi, secondo il cortocircuito narrativo dell’idea alla base della saga sci-fi; il tiranno Proximus Caesar (Kevin Durand) controlla il popolo sfruttandone l’ignoranza, mentre la giovane scimmia Noa (Owen Teague), grazie all’incontro con una ragazza (Freya Allan), intraprende un viaggio rivelatore che la porterà a prendere decisioni fondamentali per il futuro delle sua specie e di quella umana. Non siamo ancora quindi nello scenario immaginato nel libro di Boulle e nel primo storico film di Franklin J. Schaffner, ma in una zona di passaggio tra la riuscita nuova trilogia reboot, che raccontava la genesi del dramma evolutivo e involutivo, e la immaginifica saga originale, che raccontava lo sviluppo di questa inversione dei rapporti di forza tra uomini e scimmie.

Questo decimo film, inizio forse di un’ulteriore trilogia, se al botteghino il film di Ball dovesse risultare vincente, descrive un nuovo mondo, evoluto e cresciuto dalle rovine di quello umano. La sua forza, oltre la denuncia della volontà di potenza, sta in due elementi: gli straordinari paesaggi che attraversano i personaggi e la musica di John Paesano, perfetta in ogni scena, maestosa, epica. E anche in un terzo, la tecnica della motion capture, sulla cui continua evoluzione può forse basarsi il futuro del cinema. In questa saga, a differenza di altre, l’ironia lascia spazio a domande urgenti che, attraverso paradossi insolubili narrativamente e scientificamente, trovano però risposta nella sensibilità di ogni singolo spettatore. Intelligenza e compassione, contro il delirio di onnipotenza insito in ognuno di noi e negli animali se diventassero dominanti. Questo è per noi Il regno del pianeta delle scimmie.
In sala dal 8 maggio 2024
Il regno del pianeta delle scimmie (Kingdom of the Planet of the Apes) – Regia: Wes Ball; sceneggiatura: Josh Friedman; fotografia: Gyula Pados; montaggio: Dirk Westervelt, Dan Zimmerman; scenografia: Jenny Hitchcock; effetti speciali: Erik Winquist; musica: John Paesano; interpreti: Owen Teague, Freya Allan, Peter Macon, Kevin Durand, Dichen Lachman, William H. Macy, Neil Sandilands, Eka Darville, Lydia Peckham, Sara Wiseman, Travis Jeffery; produzione: 20th Century Studios; origine: USA, 2024; durata: 145 minuti; distribuzione: The Walt Disney Company.
