“La fantascienza è, in altri termini, narrativa dell’ipotesi, della congettura o dell’abduzione, e in tal senso è gioco scientifico per eccellenza”.
Umberto Eco – I mondi della fantascienza (Sugli specchi e altri saggi, 1985)
Riprendendo le parole di Umberto Eco, il genere della fantascienza, quindi, permette all’autore di allontanarsi dal reale per passare a giocare nel campo delle ipotesi, siano queste possibili, oppure no. Per quanto l’utilizzo di robot pensanti, come chatGPT e assistenti virtuali, siano ormai arrivati fino nelle nostre case, nella realtà, siamo ancora lontani dalla creazione di macchine e automi che siano più che semplici lastre di metallo e grovigli di cavi al nostro servizio. Eppure, forse anche a causa dell’isolamento dell’individuo nella società contemporanea, ci divertiamo a immaginare la nostra interazione con una macchina da pari a pari, anche dal punto di vista sentimentale. Come la letteratura, anche il cinema è diventato il luogo ideale per questi viaggi immaginari, dove essi trovano lo spazio necessario per dispiegarsi visualmente. E il cinema di animazione, da sempre ancor meno legato alla realtà rispetto a quello di finzione, forse si spinge ancor più in là. Fra i più recenti film sui robot, appena l’anno scorso il regista spagnolo Paul Berger, nel suo nostalgico film d’animazione Il mio amico robot, aveva immaginato un’originale e profonda amicizia fra un cane e un robot da compagnia in una New York degli anni Ottanta. Nel finale della storia è sicuramente il robot a essere un amico più fedele del cane.
Ma cosa succederebbe se, invece che servire ai suoi creatori umani (o ai suoi corrispettivi antropomorfi), una di queste creature, un robot intelligente di ultima generazione, finisse nella selvaggia natura e imparasse ad adattarsi alle sue leggi? È proprio quello che succede nel film animato Il robot selvaggio, dove un prodotto della tecnologia umana cerca di sopravvivere, suo malgrado lontano dai creatori, nell’ecosistema di un’isola solitaria. Questo nuovo lavoro di produzione Dreamworks (Shrek, Il gatto con gli stivali, Kung Fu Panda…) per la regia di Chris Sanders (Dragon Trainer, I Croods) è tratto dall’omonimo libro illustrato dello scrittore americano Peter Brown, uscito in Italia nel 2018 grazie alle edizioni Salani.
Unità 7134 è il nome in serie di Rozzum, un robot femmina programmata e costruita dall’uomo per sopravvivere in qualsiasi condizione, e rimasta l’unica sopravvissuta ad un naufragio di un carico di robot della ditta Universal Dynamics. Risvegliata dal suo sonno e attivata da una piccola lontra si mette subito in azione per soddisfare le esigenze per cui è stata creata dall’uomo. E veramente sembra non ci sia nulla che Roz non sappia fare, considerato il fatto che può autoprogrammarsi per imparare sempre nuove cose. Infatti, la vediamo fin da subito imparare da un granchio ad arrampicarsi sulla ripida scogliera per scampare ad un’onda gigante. Solo che sull’isola su cui si ritrova, nonostante si autoprogrammi per imparare la lingua degli animali, si deve scontrare con la diffidenza di questi ultimi che, già in lotta fra di loro per le leggi naturali di sopravvivenza, non accettano un essere così estraneo fra di loro. Dopo una serie di aggressioni e sfortunate coincidenze Roz finisce contro un albero, uccidendo un’anatra che covava le sue uova sul nido. Nonostante il tragico evento il robot ha finalmente trovato cosa fare: dovrà occuparsi dell’unico uovo rimasto intatto. Di altro avviso è la furba volpe Fink, che prova in tutti i modi a sottrarre l’uovo al robot per mangiarselo. Nemmeno quando dall’uovo esce il piccolo anatroccolo Beccolustro, Fink si da per vinta, anzi impara ad approfittare dell’inesperienza di Roz come ‘madre’ e sfrutta la situazione a suo favore. Sarà però l’esperta mamma opossum a dare a Roz i consigli di cui ha bisogno per far crescere il paperotto, insegnargli a mangiare, nuotare e infine a volare per poter partire in tempo con lo stormo di anatre all’arrivo dell’autunno. Ma i compiti di Roz sull’isola non finiscono con la partenza di Beccolustro, anzi si moltiplicano con l’avvento dell’inverno, quando con il gelo tutti gli animali hanno bisogno di un riparo e quindi torna utile la casa di legno costruita dal robot. Roz, insomma, non è più sola ma, conquistando ogni specie con la sua gentilezza, si è circondata di tanti amici ed ha portato coesione fra gli animali del bosco.

Impossibile non pensare ad altri film (o altre storie) quando davanti a noi si dipanano le avventure di Roz. Prima fra tutte il racconto per bambini La gabbianella e il gatto di Luis Sepúlveda, già adattato per lo schermo in una splendida versione animata creata nel 1998 dall’italiano Enzo d’Alò; ma anche la più classica favola del brutto anatroccolo, visto come viene deriso Beccolustro dagli altri esemplari animali, vi trova posto. E come non scorgere, dietro al comportamento di Roz, una leggera affinità con un meno imponente robot dai grandi occhi gentili ed espressivi, quasi indistruttibile e ossessionato dal suo compito ecologico come era Wall-E (2008) della Pixar? Anche se il regista Sanders preferisce dare alla sua protagonista le sembianze fisiche (o meglio robotiche) dei filiformi robot dalle braccia allungabili di Laputa – Castello nel cielo (1986) di Hayao Miyazaki. Il tutto viene mescolato e raccontato con un leggero senso dello humor che ci fa sentire i personaggi ancora più reali e vicini. Anche se gran parte del merito nella creazione dei personaggi va sicuramente alla perfetta scelta delle voci: nell’originale Roz ha la voce dell’attrice Lupita Nyong’o, mentre gli italiani Esther Elisha e Alessandro Roja sono le convincenti voci protagoniste della versione italiana. Di grande impatto e ben curata fino nei dettagli la scelta formale, quasi fotografica, dello stile di animazione. Non da ultime le immagini piene di luminosità, dinamiche, che grazie a una vasta tavolozza di colori ricreano con grande bravura particolari effetti di tridimensionalità, permettono di dare alle figure dei personaggi spazi e movimenti di particolare naturalezza.
Roz diventa il punto di incontro (o scontro) fra uomo e natura, capace di ‘sentire’ pur non essendo programmato per questo, anzi, è proprio nel momento in cui il robot si ribella all’uomo che gli assomiglia di più, proprio perché, secondo la nostra concezione, si rivela essere ‘più umano’. Impara infatti a comprendere e ad interagire in modo sensibile nei riguardi della natura, fino a rispettarla e proteggerla più dell’uomo stesso. Non si parla solo di rispetto per la natura, ma di tante altre cose, in Il robot selvaggio: amore materno e figliare, adozione, solidarietà, amicizia, costanza, capacità di adattamento, accettazione del diverso, ma anche di intelligenza artificiale, raccolta dati, e ancora non abbiamo esaurito gli argomenti. Eppure, proprio i molteplici temi, trattati con candore e semplicità, lo rendono interessante e perfettamente fruibile per un vario e vasto pubblico e non solo per le famiglie.
In sala dal 10 ottobre 2024.
Il robot selvaggio (The Wild Robot) – Regia e sceneggiatura: Chris Sanders, dal libro omonimo di Peter Brown; montaggio: Mary Blee; musiche: Kris Bowers; interpreti delle voci italiane: Esther Elisha e Alessandro Roja; produzione: Jeff Hermann per DreamWorks Animation; origine: Usa, 2024; durata: 102 minuti; distribuzione: Universal.
