Imaginary di Jeff Wardlow


A poche settimane dall’uscita di Night Swim, che, a voler usare un eufemismo, non ha lasciato una particolare impressione né sulla critica e né sul pubblico, la famiglia Blumhouse, la casa di produzione creata dal regista-produttore Jason Blum e completamente dedicata a creare nuove tendenze e prospettive per il cinema horror, lancia un altro prodotto audiovisivo- non viene da definirlo meglio- sul mercato cinematografico, con un’ancora più dichiarata cifra da B Movie (quindi, forse, ci sarà una rivalutazione tra una trentina d’anni, vista la quantità di cult movies generati dalla diffusa cultura di genere a partire almeno dagli anni ‘70/’80): attori protagonisti, registi e sceneggiatori sconosciuti, probabilmente tutti a contratto della scuderia Blumhouse, trama legata ad oggetti iconici super pop e utilizzati in modo improprio (da una chiave rassicurante a una chiave dark), le relazioni familiari al centro dell’intreccio, Imaginary, diretto da Jeff Waldrow, possiede sulla carta ognuna delle caratteristiche che rendono riconoscibile la dimensione del racconto a cui appartiene.

Il pubblico consumatore di questi spaventi programmati deve infatti poter sentire qualcosa che gli è noto e che sa che poi verrà messo in discussione, distorto, contraddetto. In questo caso parliamo nientemeno che dell’orsetto Teddy, il peluche concepito come rassicurante compagno di giochi  – da ricordare però anche la sua trasformazione in Ted, lo scorettissimo franchise creato da Seth MacFarlane di qualche anno fa che ne faceva una variante di commedia adulta, volgarissima e sfacciata –  e che qui è trattato come feticcio del passaggio tra un mondo e l’altro: il sogno e l’orrore, la fantasia e la realtà, la follia e la consapevolezza.

Jessica, giovane donna che sublima i propri traumi di bambina accantonati nella zona (apparentemente) morta dell’inconscio disegnando fiabe con un minaccioso ragno come personaggio principale, si trasferisce con il marito e le due problematiche figliastre nella casa della sua infanzia (quella con la botola che nei suoi incubi si spalanca e da cui esce un mostro che giustifica ampliamente un attacco di aracnofobia). Chiaramente, non è una buona idea perché la ragazzina più giovane sfoga una fantasia piuttosto irrequieta (alle spalle c’è anche una madre biologica con pesanti problemi psichiatrici che le ha lasciato segni di violenza fisica ed emotiva) nella creazione di un sempre più inquietante amico immaginario: si tratta del succitato orsetto Teddy , del quale fino a un certo punto non si capisce quale sia la natura (di reale o immaginaria, vedibile o non vedibile), che le parla con la sua voce e la costringe a fare delle cose sempre più pericolose. Finché anche Jessica, che a sua volta ha un padre divenuto psicotico per ragioni poi puntualmente esplicitate nel plurimo spiegone finale, non si accorge e comincia a ricordare gradualmente, attraverso i segni lasciati dal diabolico Teddy, che si tratta della stessa entità malefica, o quanto meno resa malefica da un morboso e simbiotico bisogno di un’amicizia umana, dalla quale era stata perseguitata da bambina.

 

 

 

 

 

Gli elementi dichiaratamente archetipici- la casa stregata e la bambola assassina- ci sono entrambi, ma la messa in scena risulta talmente sciatta, improbabile, e proprio incoerente su un piano visivo e narrativo, con personaggi chiave non curati nonostante il crescendo di dialoghi “rivelatori” e di colpi di scena (un po’ meglio invece l’utilizzo dei jump scares per mantenere viva un minimo di attenzione) da lasciare un senso di povertà e di vacuità. Eppure in teoria le questioni che vengono buttate un po’ a casaccio in questo calderone potrebbero essere delle bombe ad orologeria per la genesi di un altro immaginario dell’ orrore legato ad emotività disturbate.

La difficoltà, soprattutto dei bambini, di stabilire rapporti di fiducia e di affetto con gli adulti dopo aver subito una qualche forma di trauma era un argomento già affrontato nel recente, e più godibile, M3gan e che qui trova una soluzione in una delle scene più riuscite, quella con la psicologa infantile che tra l’altro apre uno scenario terribile sugli amici immaginari, espressione subliminale degli istinti repressi, proibiti, negati dagli adulti. A mancare è però uno sguardo sufficientemente centrato da far interagire tra di loro la varietà degli spunti e delle suggestioni, in una direzione e verso un orizzonte inediti, aperti, estesi nello spazio e nel tempo che il mood fantasy vorrebbe plasmare secondo la logica francamente un po’ abusata e sovraccarica del multiverso e dei suoi derivati. Teddy ci porta infatti al di là della botola, in un parallelo ginepraio di corridoi e porte, che sembra la versione cheap incrociata di Alice nel paese delle meraviglie (divenute più che altro “paccottiglie”) e Labyrinth (1986); sarebbe stato opportuno ovviare all’evidente povertà di budget con qualche idea visiva in più, lavorare magari di sottrazione e, appunto, di evocazione, di ambiguità tra i luoghi della mente e quelli della realtà . Lo scarso carisma degli interpreti, a cominciare dalla monocorde protagonista, è un ulteriore limite, ma c’è la chicca (e niente più ) dell’apparizione di Betty Buckley, ambigua e ormai anziana babysitter di Jessica (anche qui una sprecata occasione di satira politica, visto che forse per la prima volta si mostra una donna bianca che ha fatto da balia a una donna nera) che rimanda al ben altro orrore di parapsicologia, possessioni, simbiosi malefiche: la Buckley era infatti la professoressa di ginnastica nello stupendo classico di Brian De PalmaCarrie, lo sguardo di Satana(1976), allora come oggi un po’ carogna e un po’ materna.

Ma è un gioco citazionista che non aggiunge nulla – anche perché si apre un’altra linea di racconto risolta sbrigativamente nel presunto climax finale- e che mantiene il film nella sua inerme percezione di spettacolo para-televisivo del venerdì in seconda serata, volendo restare nel solco di una rituale modalità di fruizione.

La riflessione spassionata, proprio perché gradualmente impoverita di passione da quella che appare come una politica da catena di montaggio, è che se la Blumhouse riducesse la celerità di realizzazione e la quantità di distribuzione dei suoi prodotti audiovisivi, si potrebbero approfondire idee e intuizioni che qua e là affiorano, ma sono letteralmente tirate via e strattonate dall’ottusa volontà di chiudere, impacchettare e consegnare al mittente. Ed è paradossale che la stessa Jessica, che fa l’illustratrice, con i ritardi delle consegne alle case editrici delle nuove copertine, si ponga invece il problema di ritrovare una forma di ispirazione e un significato alle storie che disegna e racconta.

Un monito involontario e indiretto al fatto che tutto ciò che è immaginario si deve nutrire, non solo in modo compulsivo, per poter tornare a sorprendere e a spaventare. Come Teddy, che ha sempre fame.

In sala dal 14 marzo 2024


Imaginary Regia: Jeff Wardlow; sceneggiatura: Jeff Wardlow, Greg Web, Jason Oremland; fotografia: Jason McMillan; montaggio: Sean Albertson; musica: Beat McCreary; interpreti: DeWanda Wise, Pyper Braun, Tom Payne, Betty Buckley, Taegen Burns, Veronica Falcon; produzione: Blumhouse Productions, Tower of Babble; origine: USA, 2024; durata: 104 minuti; distribuzione: Eagle Pictures

 

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