Intervista a Francesco Lettieri, autore di Il Segreto di Liberato

Il Segreto di Liberato è il documentario sul fenomeno musicale partenopeo, firmato dal regista Francesco Lettieri. Ne vien fuori il racconto di una persona “normale”, un bravo ragazzo. Anche la Napoli fotografata dal regista è una città che va ben oltre ogni cliché, a tratti estremamente romantica e poetica. Il mare, i locali, la gente che abita i luoghi, i rumori sono tutti aspetti che arrivano dritti al cuore dello spettatore. Lo abbiamo intervistato per approfondire meglio il progetto. Il film è prodotto da Ellida Bronzetti di Red Carpet ed è distribuito nelle sale da Be Water Film, grazie alla collaborazione con Medusa Film.

 Domanda: Il tuo film è un ibrido tra il documentario e l’animazione. Come e quando nasce l’idea di affrontare questo soggetto e soprattutto l’idea di inserire le tavole di disegno che vediamo all’interno di esso?
Lettieri: L’idea è nata partendo da una proposta che ci è stata fatta, di seguire Liberato durante il tour europeo e durante le date di Piazza Plebiscito. Inizialmente l’idea era quella di realizzare un documentario abbastanza classico, con le riprese live e le interviste, soltanto che la nostra controproposta, di Liberato e mia, è stata quella di inserire dell’animazione. Era una cosa che ci interessava fare da tempo mentre non volevamo realizzare, invece, un documentario classico. Siamo riusciti ad unire le due cose e siamo partiti proprio dall’interesse verso la documentazione live per poi invece concentrarci su una parte importante, quella appunto animata, che racconta il mito di Liberato. La sua formazione.

Il materiale che compone il film è veramente molto eterogeneo: dalle interviste, ai backstage dei vari concerti, dall’utilizzo del napoletano, ma anche dell’inglese. Puoi illustrarci le varie fasi di scrittura?
Ho scritto dapprima un soggetto in cui il film era già strutturato sulla carta, in queste tre parti che appunto lo compongono. Da una parte ci sono i live col documentario che segue Liberato con il suo gruppo durante le date non solo dei concerti, ma anche nei backstage e nei momenti successivi. Poi, ci sono le interviste che in qualche modo raccontano il percorso di Liberato, a partire da un progetto underground sconosciuto sino a diventarne uno quasi nazionalpopolare. Infine, ci sono le parti legate all’animazione. Sono tre linguaggi che si ripetono. Mi sono concentrato molto sulla scrittura della parte animata, solo di quella parte lì, scrivendone dialoghi e capitoli.

Hai pensato tu all’utilizzo di sottotitoli per facilitarne la fruizione?
No, non io per lo meno. È arrivata dalla produzione l’esigenza di inserire i sottotitoli. In verità ne esistono due copie: una che gira in Campania senza sottotitoli e una che viene proiettata nel resto d’Italia con dei sottotitoli, unicamente in quelle parti che sono più difficili da comprendere. Per me, la visione migliore resta quella senza sottotitoli. Ma è anche chiaro che se non c’è una comprensione di quanto accade sullo schermo, non ha molto senso. È stato necessario. Ho provato a mantenerli quando erano indispensabili.

Francesco Lettieri

Liberato diviene un po’ il pretesto per rappresentare la cultura partenopea. Da Maradona, alla vincita dello scudetto, alla tradizione della musica napoletana all’interno di quella italiana, al “municiello”. Ne viene fuori una città al di fuori di ogni cliché, una città ricca di segreti, ma anche molto romantica. Qual è la cartolina di Napoli che hai voluto catturare con questo film?
Di Napoli se ne è parlato tanto al cinema e alla tv. È la città d’Italia più raccontata in assoluto: a partire da Gomorra, L’amica Geniale, Mare Fuori. È stata narrata tantissimo, spesso male. Ho provato ad uscire da una Napoli stereotipata, una visione invece spesso e volentieri raccontata. Ho cercato di catturarne la vera anima, benché non sia unica. Forse è più corretto parlare di anime, al plurale. È in parte un documentario su Napoli, certo, su ciò che era cinque anni fa, prima di essere assaltata dal turismo di massa.

Se Liberato è nessuno, allora tutti possiamo essere Liberato. Sostanzialmente siamo liberi di essere ciò che vogliamo. Lo hai rappresentato come un fenomeno ma anche come un individuo come tanti che ama il Napoli, guarda il mare, adora la musica. Colpiscono i frame iniziali che giocano molto sul contrasto tra le urla della folla in attesa dello spettacolo durante i concerti e Liberato di spalle che osserva il mare. Cosa speri che arrivi in realtà agli spettatori?
Quello che viene fuori da questo documentario di Liberato ne è una parte: non solo personaggio, ma anche la persona. È una persona molto più normale di tante altre Star della musica Pop. Ha un approccio molto umano e umile, anche coi suoi collaboratori, con cui c’è un rapporto di affetto, quasi familiare. Una parte interessante è questa: una star viene quasi sempre dipinta sui generis, fuori dal comune, con un carattere scontroso, negativo. Qui abbiamo un ritratto di un bravo ragazzo quasi, che è un po’ in contraddizione con l’idea che ci si può fare di un artista anonimo e incappucciato, mascherato. Ciò non toglie che oltre la persona, resta il personaggio Liberato. Questo continua ad alimentarne il mito in chi segue la sua musica e ne abbraccia il progetto.

Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri, con Liberato o più in generale?
Oltre Liberato, che continuerò a seguire, sto scrivendo un film che non ha nulla a che vedere con Napoli e la musica. Spero di passare quanto prima alle riprese ovviamente.

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