Intervista al Direttore della fotografia Simone D’Arcangelo a cura di Eleonora Bove

Simone D’Arcangelo ha curato, tra l’altro, la fotografia di Il Solengo (2015), Re Granchio (2021), Senza Fine (2021), Il Vangelo Secondo Mariada pochi giorni uscito nelle nostre sale. Un suo recente lavoro è Los Colonos, un film di Felipe Gálvez dopo l’uscita in sala ora disponibile su Mubi e Prime Video. Lo abbiamo incontrato per approfondire il lavoro fotografico dietro questo gioiellino filmico in occasione della recente 17°edizione de La Nueva Ola – Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano (Roma 15-19 maggio).

Eleonora Bove: Com’è stato lavorare con il regista Felipe Gálvez?

Simone D’Arcangelo: Ho conosciuto Felipe Gálvez tramite un nostro amico in comune: Iván Granovsky. Ivan mi aveva conosciuto su  Re Granchio, sapeva che Felipe era rimasto molto colpito dal mio lavoro e ci siamo messi in contatto. Entrambi i film sono stati girati in Terra del Fuoco: Re Granchio soltanto in una parte, mentre  Los Colonos interamente. Quando ci siamo conosciuti, Felipe mi ha parlato brevemente del film e ho compreso che c’era una visione molto precisa. Ciò mi ha aiutato ad accettare questo lavoro al suo fianco: Felipe è un cinefilo e la sua ampissima visione del cinema per me è stata fondamentale per apprendere dalla sua cultura. Da subito si è instaurata la volontà di stabilire una sorte di codice per raccontare questa storia. Lo abbiamo definito tramite un lungo processo di visione, film, prima in remoto e poi insieme. È stato molto importante il lavoro di preparazione sul set. Felipe aveva una grande agitazione, che derivava dalla lunga preparazione di 9 anni, sia per finanziarlo che scriverlo. Felipe mi ha permesso di introdurre alcune mie proposte nel film che sono principalmente fondate su suggestioni pittoriche dalle quali  Los Colonos trae principalmente la sua visione estetica.

Potremmo dire che il film  Los Colonos  si avvicina al genere del Western. Ci sono dei film, magari anche storici, a cui ti sei ispirato per questo film? Come ti sei preparato, fotograficamente, per affrontare questo progetto?

In realtà,  Los Colonos è un film che gioca col Western. Ha un codice simile ad esso, ma, in realtà, ne scardina la natura. Abbiamo usato quel genere che ha creato il mito del colonialismo. Diamo tuttavia al Western un altro tipo di valore. Ci siamo preparati tantissimo attraverso la visione dei maestri di questo genere ma non solo, le nostre suggestioni venivano dal cinema classico di matrice epica avventurosa, contaminate in maniera tale da realizzare un codice utile a creare gli strumenti del Western, ma allo stesso tempo anche per uscire dal genere, in maniera del tutto personale.

Guardando attentamente la fotografia del film, balzano agli occhi innumerevoli campi lunghissimi, che conferiscono quasi una patina di solennità a questa pagina di storia: il genocidio degli indigeni Selk’nam alle soglia del XX secolo. Ci sono Inoltre dei primi piani che sottolineano lo spessore psicologico dei personaggi. Di quale attrezzatura ti sei servito, in quale formato avete girato? Se ci puoi dare delle delucidazioni dal punto di vista più prettamente tecnico.

Il film è girato in digitale. Personalmente sono affezionato ad una camera digitale: in questo momento mi piace avere il controllo di uno strumento e conoscere le sue potenzialità ed i suoi difetti, cambio solo le lenti, film per film. Con Felipe cercavamo il modo per restituire questa sensazione dell’Autocroma, un processo fotochimico dei primi del 900 inventato dai Lumière. Le caratteristiche degli obiettivi, insieme alla capacità della macchina da presa ci dava la possibilità di manipolare l’immagine in maniera tale che potesse arrivare al risultato che ci eravamo prefissati. Abbiamo utilizzato la Sony Venice e, dopo vari test, gli obiettivi Contax, degli Zeiss fotografici degli anni ’60 ritrattati ed adattati all’uso cinematografico, che mantengono una qualità di morbidezza e di aberrazione periferica dell’immagine. Nonostante siano degli obiettivi vintage conservano una buona risposta del trattamento antiriflesso e delle ottime qualità strutturali, importanti nelle riprese in Terra Del Fuoco.

Los Colonos

Possiamo dire che sono anche dei paesaggi molto affascinanti da fotografare.

È un luogo bellissimo. paesaggisticamente ma anche molto complesso da fotografare, oltre ad essere soggetto ad escursioni termiche importanti. Il film è un viaggio in una terra sconfinata fino ai luoghi più inesplorati della terra. Questo viaggio è simbolicamente legato a quello interiore dei personaggi, essi rivelano il loro lato più oscuro, quello nascosto nel loro inconscio, la violenza scaturita dal loro istinto di sopravvivenza e dai traumi del loro passato. Felipe ha voluto mettere in scena degli stereotipi, senza giudicarli, ne ha raccontato la natura e li ha uniti nel destino. Volevamo che il film si muovesse anche visivamente nella stessa direzione: siamo partiti dall’Autocroma attraverso una complicità con la nostra costumista (Muriel Parraz) che ha caratterizzato i tre personaggi con una dominante cromatica molto specifica dei tre colori primari nella pittura, questo ci ha permesso di utilizzare la composizione che amavo dei quadri di Remington. Con il progredire del loro viaggio, il paesaggio cambia e li aggredisce diventando più potente, il colore riempie il fotogramma con una forza primitiva nei suoi contrasti. Abbiamo guardato molto alla pittura muralista dei maestri messicani (Rivera, Orozco e Siqueiros). Il mondo di Menendez al contrario è caratterizzato dai toni del grigio, quasi priva di emozione a contrasto con quella violenza precedente, dominano tonalità più tenui ma la luce è più chiaroscura come a non rivelare, a tenere nascosto qualcosa.

Difficoltà nel girare? Imprevisti sul set? Quali sono state le scene più difficoltose a livello di fotografia?

Ogni scena ha la sua sfida. È un film d’avventura, in tutto e per tutto. Non c’era una location che richiedesse meno di un’ora e mezzo di viaggio per raggiungerla. Non ce n’era nemmeno una che non avesse bisogno di 4×4, o comunque mezzi che potessero attraversare terreni impervi. Un altro elemento da non sottovalutare è il clima. Durante il corso della giornata può accadere di tutto: sole, vento, pioggia. In questa maniera, anche l’utilizzo della luce artificiale è complesso. Bisogna essere molto accondiscendenti col clima. È necessario sfruttare ciò che offre: andargli incontro e non contro. Sono stato fortunato ad avere l’opportunità di avere il supporto di Fabio De Sisti, che mi ha permesso di avere nell’ultimo angolo della terra i suoi proiettori a Led disegnati insieme a Vittorio Storaro. “Le muse della luce” sono dei proiettori che amo e che mi hanno permesso di fare il film in quei luoghi, con soli 7 kw, senza rinunciare alla mia idea fotografica.

Come tempistiche, quanto avete impiegato a girare?

Abbiamo impiegato 5 settimane a Terra del Fuoco e una settimana a Buenos Aires: i tempi medi di un film argentino. C’è una scena in Capo San Pablo, un luogo remotissimo, dove per arrivare avevamo bisogno di mezzi per andare sulla sabbia. Per fortuna abbiamo girato in una sola giornata, perché il giorno dopo c’è stata una tempesta che ha distrutto tutto quanto. Dovevamo soltanto recuperare delle cose.

Come si è arricchita la tua esperienza lavorativa dopo il set di  Los Colonos?

Los Colonos mi ha lasciato una sensibilità nei  mondo che non conoscevo: quello latinoamericano. Mi ha aperto alla conoscenza di una cultura che oggi reputo una delle più interessanti del panorama cinematografico. Mi ha insegnato qualcosa sulla violenza e sul tema, tra l’altro attuale, di popoli che opprimono altri popoli. Si tratta di gente che ha subito l’oppressione. È stata per lo più una scoperta culturale. Mi ha messo in connessione con una poetica di un popolo, che sento un po’ che mi appartenga.

Puoi parlarci del lavoro d Post-produzione?

Con il mio collaboratore, Nazzareno Neri, abbiamo sviluppato e perfezionato la visione del film, che deriva molto da un’ispirazione pittorica. Il lavoro che faccio in color è molto lungo ed impegnativo. La mia ricerca parte dapprima dalle riprese e si sviluppa in un continuo ragionamento per la mia ricerca visiva insieme al regista: è per me un tassello fondamentale per ottenere l’immagine che sogno e che ancora oggi cerco.

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