A dieci anni dalla morte e a settanta dalla nascita, arriva nelle sale italiane il nuovo docufilm Pino diretto da Francesco Lettieri e prodotto da Groenlandia, Lucky Red e Tartare Film: un racconto intimo e delicato della figura di Pino Daniele (Napoli 1955-2015), un ritratto del poeta e, prima ancora, della sua persona. Abbiamo dialogato col regista per comprendere meglio come si è sviluppato il progetto e per confrontarci su alcuni aspetti più tecnici del suo lavoro.
Domanda: Come nasce l’idea di girare un docufilm intorno la figura di Pino Daniele?
Francesco Lettieri: il documentario è nato proprio dalla volontà di Alessandro Daniele e dalla sua Fondazione, insieme alla produzione Groenlandia e Federico Vacalebre, che insieme a me ha lavorato alla sceneggiatura. Mi sono inserito nel progetto quasi in un secondo momento, in quanto sono stato contattato in qualità di regista. Quindi l’idea c’era, nonostante mi abbiano poi lasciato grande libertà per quanto riguardo il modo di raccontare. Ci ho inserito molto di personale, chiaramente.
A livello di tempistiche, quanto hai impiegato nel visionare il materiale offerto dalla Fondazione Pino Daniele? Quale criterio hai seguito per selezionare quello da inserire all’interno del film?
Il materiale messo a disposizione dalla Fondazione era realmente infinito. Ho avuto a disposizione gli hard disk prima di girare le riprese e prima ancora di scrivere la sceneggiatura. Ho impiegato tutta l’estate scorsa per visionare video e concerti. Poi, a partire da esso, ho effettuato una prima stesura della sceneggiatura. Chiaramente non avevo ancora a disposizione le interviste. Poi, con esse, il film ha assunto una sua forma strada facendo e si è, man mano, evoluto. Nel momento in cui abbiamo fatto le prime interviste, abbiamo anche assunto direzioni differenti rispetto all’idea iniziale. È stato un lavoro molto impegnativo, sia in fase di scrittura che in montaggio, che è dovuto essere per necessità rapido ma anche molto intenso.

Ci sono delle cose che ora, a posteriori, avresti inserito nel docufilm? Ti reputi soddisfatto della selezione fatta?
Ho inserito il materiale che ritenevo più toccante emotivamente e quello che racconta al meglio il mondo emotivo di Pino Daniele. Ho puntato principalmente su quello. Ho invece tralasciato le cose che viravano sul gossip o sulla sua vita privata e che non raccontavano la sua persona. Sono soddisfatto del film, ma anche del lavoro fatto in fase di montaggio con Mauro Rodella. Lui è di Brescia e si è trasferito a Napoli per mesi per lavorare al mio fianco: abbiamo concentrato in 90 minuti tutto ciò che secondo noi doveva esserci.
La bellezza del film risiede infatti nel fatto che non hai calcato la mano sul gossip per cercare lo scoop. Ne deriva un lavoro intimo e delicato al tempo stesso. È come se entrassi in punta di piedi nella sua vita. Molte interviste, ad esempio, si svolgono tramite delle chiamate telefoniche. Non vediamo il volto di molti degli intervistati.
Questa è stata un po’ una scelta stilistica. La vita di Pino ha attraversato tante persone, sia dal punto di vista artistico che privato. Inserire molte videointerviste avrebbe reso il film un’infilata di facce che parlano di Pino. La mia idea, invece, era quella di fare un film su Pino. Per questo ho deciso di ricorrere a delle tracce audio, lasciando molto spazio alle immagini e ai video del repertorio. Avere una voice over con delle immagini risulta anche molto più evocativo.
Immagino che la tua impronta come videomaker ti abbia aiutato molto nel raccontare la contemporaneità di Pino. Penso ad esempio alle immagini che si susseguono nella parte finale sulle note di Napule è. Credo che in questo lavoro, più che in altri, hai dovuto calibrare immagini e parole.
Ci sono dei video musicali in cui c’è un linguaggio documentaristico: la Napoli di oggi. Ci sono le canzoni del primo Pino, degli anni 70, 80 e 90. Poi c’è l’iconica Napul’è, che è un ibrido: un centinaio di inquadrature differenti che raccontano i vari colori e le diverse sfacciata di Napoli , con le voci delle interviste nella parte conclusiva. Diviene quasi un inno.
Il film è strutturato con degli intermezzi che diventano il pretesto per raccontare la Napoli di oggi. L’amore è un po’ il filo conduttore. Anche nel film Il segreto di Liberato ti eri servito di intermezzi, in quel caso con l’ausilio dell’Animazione.
Sì, è una scelta narrativa. In scrittura, anche in quel lavoro su Liberato, avevo deciso di scomporre il film in tre linee: biografica, la parte inerente le interviste e i videoclip. Anche qui ritroviamo queste tre fasi che si intervallano, raccontando la vita di Pino Daniele ma anche la Napoli di oggi. È un modo per mantenere dinamismo e ritmo, ma rappresenta anche un’esigenza precisa: conferire una struttura documentaristica non consueta che permette di cambiare il focus rapidamente.

In sala il 31 marzo e il 1-2 aprile.
