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Voto
Chiediamoci subito, partendo dal titolo, qual è la “città proibita” raccontata nell’ultimo film, il suo terzo, da Gabriele Mainetti. Senza considerare un’omonima opera diretta da Zhang Yimou nel 2006 che non c’entra proprio nulla, si tratta di una domanda di cui è molto semplice intuire la risposta. Perché, dopo la Roma sottoproletaria del ladruncolo/supereroe caduto nel Tevere de Lo chiamavano Jeeg Robot (2015), oppure quella dell’occupazione nazista nel 1943 di Freaks Out, non era difficile ipotizzare – non c’è due senza tre – che anche questa volta non si tornasse ad un’ulteriore avventura ambientata nella Capitale. Qui, in particolare, poi, nella zona “cinese” dell’Esquilino, compresa tra Piazza Vittorio e i bordi della Stazione Termini, quindi avvicinandoci un po’ a delle atmosfere tipo quelle dell’indimenticabile superclassico di John Carpenter Grosso guaio a Chinatown (1986) oltre a qualche penombra tarantiniana in sottofondo (che già si vedeva chiaramente nel precedente Freaks Out).
Ma avviciniamoci a questa Città proibita: dopo un incipit esplicativo nella Cina degli anni Novanta quando vigeva il divieto assoluto di avere più di un figlio, ci ritroviamo oggi, appunto a Piazza Vittorio, alle prese con le vicende del cuoco Marcello (Enrico Borello), il figlio di Alfredo (Luca Zingaretti), un ristoratore romano sommerso dai debiti, che, abbandonata la moglie Lorena (Sabrina Ferilli), è scomparso insieme a una giovane amante, lasciando dietro di sé una enorme scia di problemi economici (e non) da risolvere.
La storia del nostro protagonista si intreccia quasi subito con quella di una misteriosa straniera molto combattiva e campione di arti marziali, Mei (Yaxi Liu), una ragazza insieme determinata ma anche vulnerabile, approdata in Italia con l’unico scopo di ritrovare la sorella maggiore scomparsa. A complicare la vicenda abbiamo poi due gangster contrapposti: da una parte il feroce Mr. Wang (Chunyu Shanshan) che gestisce un redditizio giro di prostituzione dietro la copertura di un altro ristorante, sempre nella piazza, chiamato appunto “La città proibita”; dall’altra, un pendant italiano, Annibale (Marco Giallini) un piccolo boss criminale attempato che sfrutta l’immigrazione clandestina, è sempre innamorato e fa la corte a Lorena, malgrado sia la moglie del suo ex-miglior amico ed ex-socio, Alfredo di cui sopra.

Mischiamo un po’ le carte di questo romanzetto (semi)criminale e ci ritroveremo a seguire – tra spettacolari battaglie di arti marziali e detour sentimentali vari – le avventure dei due protagonisti uniti in un’alleanza forzata (ma solo inizialmente) che li porterà nel cuore oscuro della Roma multietnica e dei suoi loschi affari. Con esiti e svolte narrative, a volte piuttosto prevedibili a volte meno, comunque (almeno per qui scrive) divertendosi abbastanza se non proprio appassionandosi in toto a quanto Mainetti ha diretto e anche scritto insieme a Stefano Bises e Davide Serino.
Perché piaccia o non piaccia (io appartengo al primo partito) quanto ha sinora realizzato il regista romano classe 1976, non si può negare, almeno a mio giudizio, che le sue storie non posseggano molti tratti originali o che il suo touch registico segua strade già arate dai coetanei colleghi italiani – insomma lo trovo un bravo, capace giocoliere delle immagini in movimento. Nel caso de La città proibita, Gabriele Mainetti ha voluto intrecciare due culture anche cinematografiche molto diverse, per consegnarci un’opera che oltre alle suggestioni di cui si è detto in precedenza, vuole dialogare direttamente con i film di/con Bruce Lee e quelli d’azione hongkonghesi di anni lontani ma con un tocco di ironia o di sentimentalismo in più – oltre a un messaggio finale soffuso di conciliazione tra popoli che non può non trovarci d’accordo.

La sfida lanciata dal film è stata piuttosto impegnativa già a partire dal budget non certo definibile a low cost – si parla di 17 milioni euro, un bel gruzzolo per una produzione italiana, una somma che però non ci sembra sprecata per quanto ci si mostra, in oltre due ore di durata, tra ricostruzione d’ambiente e sequenze spettacolari d’azione. Gli si può allora perdonare qualche incertezza di sceneggiatura e qualche sottolineatura di troppo, ma con un cast italo-cinese che crede e si è impegnato in toto nella storia di cui si narra. Lapidatemi poi se non vi piacerà per nulla o non avrete preso sul serio questa immersione in un pianeta semi-alieno qual è Piazza Vittorio e dintorni – accetto il rischio e consiglio di andare a vedere La città proibita a chi qui mi legge.
P.S.: Per chi conosca o abiti all’Esquilino, sarà poi molto divertente ritrovare i luoghi e le location dov’è stato girato – tutte ampiamente riconoscibili. Come appunto è accaduto al sottoscritto.
In sala dal 13 marzo 2025. Ora su Netflix.
La città proibita – Regia: Gabriele Mainetti; sceneggiatura: Gabriele Mainetti, Stefano Bises, Davide Serino; fotografia: Paolo Carnera; montaggio: Francesco Di Stefano; musica: Fabio Amurri; scenografia: Andrea Castorina; interpreti: Enrico Borello (Marcello), Yaxi Liu (Mei), Marco Giallini (Annibale), Sabrina Ferilli (Lorena), Chunyu Shanshan (Mr. Wang), Luca Zingaretti (Alfredo); produzione: Sonia Rovai, Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa per Wildside, Goon Films, Vision Distribution, DCM Pictures, Quad; origine: Italia/Germania/Francia, 2025; durata: 137 minuti; distribuzione: PiperFilm (e Netflix).
Foto: Andrea Pirrello
