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Sandrine (Charlotte Gainsbourg) e Christophe (José García) sono marito e moglie da una eternità, da quando ragazzi si sono incontrati e mai più lasciati, costruendo nel percorso una famiglia composta da due figli, Loreleï (Lily Aubry) e Bastien (Hadrien Heaulmé), di sedici e diciotto anni (piacevole il prologo nei titoli di testa della progressione della relazione attraverso messaggi lasciati nella segreteria telefonica). Ma le coppie, si sa, scoppiano e Sandrine non fa che piangere all’agenzia di viaggi dove lavora, cercando di convincere i malcapitati a fare una vacanza di lusso mentre pensa alla disgregazione della sua propria famiglia. Al ritorno a casa annuncia ai figli la sua intenzione di separarsi: i ragazzi non la prendono male, forse se lo aspettavano o comunque comprendono le motivazioni della madre. Dopo cena Sandrine informa della sua intenzione il marito che si oppone fermamente dichiarandosi ancora innamorato di lei, negando le sue mancanze, i silenzi, l’accusa di nascondere tutto sotto il tappeto e proponendo di darsi una ultima chance come famiglia partendo per un weekend di tuffo nella memoria alla ricerca dei luoghi significativi della loro crescita.
Si parte ma tutto, come è normale che sia, non va come previsto tra piccoli incidenti d’auto, ristoranti cambiati di gestione e trasformati in karaoke, inquilini pazzoidi, disegnatori di caricature arroganti, panchine di parchi-gioco con incisioni ventennali. Il viaggio è subito occasione di confronto, lo spazio angusto di una macchina consente un dialogo vivace, anche conflittuale ma acceso, cosa di cui Sandrine rimprovera più di ogni altra cosa a Christophe, l’assenza di comunicazione. E come crescono due figli di genitori che non comunicano? Crescono incapaci di dichiarare amore, con difficoltà a farsi vedere senza inventare medicazioni a ferite non inferte, sinceri tra di loro e compatti nel sostenersi reciprocamente ma in crisi nella comunità.
Le tappe dove si fermano sono squallidi autogrill, motel scadenti, fast food popolari e anonimi. La donna si oppone, litiga, afferma il suo disagio e la lontananza da una dimensione romantica evocata dal marito ma non realizzata nei fatti: se ne va, abbandona la compagnia, non spiega nulla, getta la spugna. Il padre resta solo coi figli, cosa anomala, che è incapace a gestire. Li interroga, loro si lasciano interrogare ma restano in superficie, non si lasciano davvero vedere: negli anni hanno assunto l’ingrato compito di far finta che vada tutto bene, di accondiscendere, di far buon viso a cattivo gioco. Ma è tutto sbagliato, entrambi soffrono per cose private che si irradiano nel presente sotto pressione dei giorni forzati di vacanza che non è una vacanza: Bastien ha litigato con la fidanzata, per cautela ha deciso di troncare perché la ragazza sta per partire all’estero e lui, per stare meno male, si è sottratto (come ha visto fare a suo padre), vorrebbe parlarle ma non ha il coraggio, non sa esplicitare che ne sente la mancanza, che vorrebbe andare con lei alla festa di sabato. Loreleï galleggia in una adolescenza di traumi e insicurezze, chiusa nel suo sentirsi inadeguata, mai all’altezza di nessuno, soprattutto di sua madre, modello femminile supremo (le dice: Come fai ad amarmi se sono così brutta?). Non esiste una formula per tornare insieme, per convincere qualcuno a convivere o ad amare di nuovo, Christophe deve imparare la lezione, che sia dall’amico separato che ha messo una pietra sopra all’amore e vive in funzione del figlio, che sia da un padre colto ma anaffettivo, che sia dalla moglie che è convinta di lasciarlo per il bene di tutti e quattro. I Leroy hanno avuto composizione classica per vent’anni ma da ora in poi dovranno riprendere le misure per cercare di essere felici negli anni a venire.
La famiglia Leroy ha uno svolgimento lineare prevedibile ma non fittizio, sembra una commedia ma attraversa toni più drammatici con un realismo, per alcuni versi pregevole, nel raccontare il fallimento umano di un matrimonio. La caratterizzazione dei personaggi è semplice ma verosimile, l’aspetto più gracchiante del primo lungometraggio per la sala del giovane Florent Bernard è il cast, con una Charlotte Gainsbourg fascinosa anche in provincia vestita in abiti modesti, inverosimilmente legata a un uomo ordinario come José García, comune rivenditore d’auto, senza attrattive fisiche né psicologiche dal primo all’ultimo minuto. Insomma, un film bruttarello forte.
In sala dal 25 settembre 2025.
La famiglia Leroy (Nous, les Leroy) – Regia e sceneggiatura: Florent Bernard; fotografia: Julien Hirsch; montaggio: Quentin Eiden; musica: Théo Bernard; interpreti: Charlotte Gainsbourg, José García, Lily Aubry, Hadrien Heaulmé, Louisa Baruk; produzione: Nolita Cinema; origine: Francia, 2024; durata: 102 minuti; distribuzione: Wanted.
