Abbiamo incontrato la regista Klaudia Reynicke che ha presentato al Cinema Barberini di Roma l’anteprima italiana de Reinas all’interno del programma de La Nueva Ola 2025. Il film che a breve uscirà in sala e che ha ricevuto ottimi riscontri internazionali alla Berlinale e al Festival di Locarno, narra una storia di formazione raffinata e poetica.
Domanda: la tua è un’opera in parte autobiografica. Puoi spiegarci come hai lavorato alla sceneggiatura con Diego Vega? Com’è stato il lavoro di preparazione prima di girare? Quali ricordi personali dell’infanzia ha rivissuto durante la scrittura?
Klaudia Reynicke: era da molto tempo che sentivo la voglia di ricongiungermi con il mio Paese d’origine, che non conosco del tutto: il Perù. L’ho abbandonato all’età di dieci anni. D’altronde ho vissuto tutta la mia vita in Europa e negli Stati Uniti, son tornata poche volte in patria, un po’ come viaggiatrice e turista. La mia esigenza di ritrovarlo era pertanto molto forte. Ho iniziato a scrivere la sceneggiatura da sola e un anno dopo ho contattato Diego Vega, uno sceneggiatore e regista peruviano che però vive a Barcellona. Anche lui ha trascorso una vita simile alla mia dato che è nato a Lima, poi ha vissuto in Ecuador, Canada, Barcellona, poi è ritornato in Perù. È stata una combinazione bella perché entrambi conosciamo la realtà di chi lascia il proprio paese. Quindi, abbiamo potuto sviscerare questo tema, ma anche cosa significhi essere parte di una famiglia, in questo caso con un divorzio di mezzo.
Per quanto riguarda la fase di preparazione, la scrittura è durata circa quattro anni, con altri progetti in mezzo. Anche lui aveva i suoi nel frattempo. Sì, posso dire che è stata una collaborazione molto bella.
Magari avete anche una stessa sensibilità simile, in comune.
In verità, siamo due persone molto differenti e questo è stato anche un bene per il film. Entrambi, però, abbiamo un comune senso dell’umorismo. Questo è un aspetto molto importante per conferire leggerezza al film, ma al tempo stesso bisognava raccontare le cose come si deve, essendo una storia drammatica.

Tu sei figlia unica. In quale delle due figlie del film ti rivedi maggiormente?
Io sono partita quando avevo 10 anni. I miei se ne andarono agli Stati Uniti. Io oggi, da adulta, mi rivedo sia nella mamma che nelle due figlie, direi in quasi tutti i personaggi, persino nel padre. Credo che ci sia una parte di me in tutti loro.
Possiamo dire che la crisi di un Paese, l’instabilità economica e il clima caotico impattano negativamente l’equilibrio e la serenità di un nucleo familiare e dunque dei singoli, individui. Le relazioni vengono profondamente influenzate da tutti questi aspetti. Il film diviene un po’ il pretesto per esplorare il mondo complesso delle relazioni. Cosa vorresti che arrivasse al pubblico a partire da quanto ci mostri?
Non vorrei mandare un messaggio preciso. Per me è importante che il pubblico si identifichi con la storia, con uno dei personaggi e che esca dal cinema con un sentimento di speranza, più positivo che negativo, di essere testimone dell’amore di una famiglia.
Puoi darci qualche anticipazione sui tuoi prossimi lavori?
Questo è un momento di grande felicità ma anche di raccoglimento di idee per il futuro. Non mi son fermata un attimo, tra presentazioni e festival. La prossima storia che racconterò sarà di ordine familiare, ma molto diversa rispetto a quella affrontata in Reinas.
Puoi aggiungere qualcosa su degli aspetti più tecnici, come ad esempio la fase di montaggio con Paola Freddi o sulla musica?
Lavoro con Paola Freddi praticamente per tutti i miei progetti. Il primo che feci era di finzione. È una collaborazione molto importante. Ha un’intelligenza emotiva incredibile. È importante per me che mi dia il suo contributo in ogni progetto. Un film non si realizza da solo col regista, è un lavoro di gruppo. È chiaro che è importante seguire una direzione chiara, ma lo si fa con dei collaboratori fidati. Un film nasce col montaggio. Si vede proprio in quella fase la forza di un’opera filmica. Le musiche sono state realizzate da me in collaborazione con Gioacchino Balistreri, un compositore italiano che vive in Svizzera.
