Non c’è dubbio che uno dei mali peggiori dell’Italia sia la retorica, non sono certo il primo io ad affermarlo. A ribadire questa banale novità inducono le ultime due serate della TV di Stato, il sedicente servizio pubblico che hanno visto nell’ordine la trasmissione di uno Speciale dall’Arena di Verona dedicato a Lucio Dalla, presentato da Carlo Conti e Fiorella Mannoia e la telecronaca in esclusiva dallo stadio di Bologna della partita di esordio dell’Italia contro la Germania nel quadro della manifestazione denominata Nations League. Questi due eventi, diversissimi – che non sembrano avere niente in comune, con l’eccezione che a un certo punto le telecamere dello Stadio Dall’Ara hanno inquadrato la poltroncina con la silhouette di un musicista che suona il sax e in testa ha un berrettino di lana, con tutta evidenza: la poltroncina di Lucio Dalla – condividono il tono insopportabilmente autocelebrativo della TV di Stato e la – diciamolo pure – scarsa qualità del prodotto offerto.

Partiamo dalla serata di venerdì, durata nell’insieme quasi tre ore e consistente nella riproposizione di una ventina di canzoni di Lucio Dalla da parte di altrettanti cantanti invitati appartenenti alle più diverse generazioni, da ventenni che lo hanno conosciuto attraverso i genitori o addirittura attraverso i nonni, anzi volendo andare ancora più indietro: dai giovani coristi dell’Antoniano di Bologna che hanno cantato Attenti al lupo fino ad arrivare a Ornella Vanoni che fra tre mesi compie 88 anni mai come in questa esibizione così insopportabilmente stonata.
Vogliamo – per carità di patria – glissare sulle esibizioni, nella gran parte dei casi mediocri, sul piano vocale, sul piano interpretativo, vogliamo glissare sull’assenza (voluta? subita?) di alcuni fondamentali compagni di strada di Dalla: da Gianni Morandi a Francesco De Gregori, vogliamo glissare sulla qualità davvero imbarazzante degli arrangiamenti (ma c’è qualcuno in Italia che sa ancora arrangiare? Santo Ennio aiutaci tu!!!), ci vogliamo soffermare su una questione squisitamente lessicale, ovvero l’uso del lemma “emozione” o del plurale “emozioni”. Pur amando a dismisura le statistiche, non abbiamo il tempo e la voglia di rivedere su Raiplay l’intera trasmissione, ma il percepito dell’occorrenza della parola “emozione”/”emozioni” sfiora il centinaio, sia nelle micro-interviste di Conti e Mannoia agli ospiti, sia nei commenti post-esibizione. Se c’è una cosa per cui Dalla si è sempre fatto apprezzare, sia quando faticava ad affermarsi sia una volta raggiunto il successo (si veda lo splendido documentario, Per Lucio, di Pietro Marcello, presentato a Berlino nel 2021), è l’assoluta mancanza di retorica, di autocompiacimento, l’understatement, rispetto a cui la trasmissione di venerdì 3 giugno ha rappresentato l’esatto contrario, con – soprattutto – Conti, che celebrava sì il musicista bolognese ma soprattutto celebrava la trasmissione che lo celebrava, tanto che la trasmissione si è ben presto trasformata in uno stucchevole evento appunto autocelebrativo della RAI, rispetto a cui lo sforzo produttivo dell’Eurovision Contest è parso muoversi davvero su altri livelli, facendo figurare un personaggio come Cristiano Malgioglio di una grandezza ironico-satirica degna di Tognazzi-Vianello anni ’50.

E veniamo alla partita. Per chi non l’avesse vista, l’Italia dopo l’imbarazzante débacle contro l’Argentina, attingendo a giocatori giovani e giovanissimi – il più vecchio in campo era il difensore Francesco Acerbi della Lazio nato nel 1988 – è riuscita a strappare alla Germania un onesto e alla fine meritato 1-1, andando addirittura in vantaggio con il romanista Lorenzo Pellegrini e facendosi pareggiare neanche due minuti dopo da Joshua Kimmich del Bayern di Monaco, assurto quest’anno agli onori (?) della cronaca per essere stato un no vax pentito.
A riprova di quel che si scriveva qualche giorno fa: 10 giocatori su 11 della squadra tedesca hanno disputato quest’anno la Champions League, fra gli italiani – a parte Gianluigi Donnarumma (e si è visto…) – c’erano Alessandro Florenzi, Sandro Tonali, Federico Dimarco (entrato all’80esimo) e Matteo Politano. Forse il solo Tonali gode di un posto fisso all’interno della squadra titolare del Milan, forse il solo Tonali è davvero un grande talento del centrocampo italiano. La retorica si è soprattutto appuntata sulla figura del calciatore diciottenne Wilfried Gnonto nato a Verbania da genitori ivoriani il 5 novembre del 2003, che è entrato per sostituire l’infortunato Politano al 20esimo del secondo tempo, e dieci minuti dopo ha servito l’assist a Pellegrini per il goal del vantaggio.

Gnonto che faceva parte delle giovanili dell’Inter per poter giocare con una qualche continuità è emigrato in Svizzera, è andato a giocare a Zurigo dove si è fatto valere realizzando nel campionato elvetico 9 goal giocando 59 partite e contribuendo a far vincere il campionato alla squadra svizzera. L’intervista a Gnonto, utilizzando la tecnologia della augmented reality (scusate: ma c’è bisogno di una cosa del genere?) è stata un profluvio di retorica sul giovane figlio di migranti che ha studiato due/tre anni al liceo classico che veniva per ciò chiamato “il latinista del goal”, con Antinelli e il povero Adani che da quanto ha lasciato Sky si è piegato all’insopportabile retorica Rai che rilanciavano la frase pronunciata in telecronaca da Antonio Di Gennaro “Mancini non ne sbaglia una!”.
Al più tardi quando Di Gennaro osava dire una idiozia del genere, la tentazione era di spaccare il televisore. Ma stiamo scherzando? Nessuno toglie a Mancini il merito di aver vinto l’Europeo un anno fa, ma a chi spettava se non a lui rendersi conto che a ottobre, a novembre 2021, al più tardi a marzo 2022 quei giocatori o alcuni di loro erano talmente bolliti, appagati o semplicemente fuori forma e sperimentare immediatamente Gnonto e tutti gli altri giovani che si è portato nello stage di Firenze? Bisognava aspettare di pareggiare a Belfast? Di perdere contro la Macedonia del Nord? Di farsi umiliare dall’Argentina? Ma no, ma no: Mancini non ne sbaglia una, questa almeno la versione di Rai1.
