L’amico fedele di Scott McGehee e David Siegel

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Quando Walter (Bill Murray), scrittore di fama ed ex docente, viene a mancare, congiunti ed amici sono costretti a fare i conti con il senso di smarrimento, la frustrazione e la tristezza generati dal lutto, un’esperienza  insondabile di fronte la quale tutti loro si sono trovati, inevitabilmente, impreparati. A maggior ragione perché Walter ha compiuto l’estremo gesto. Dietro di sé l’uomo ha lasciato frammenti sparpagliati, che chi gli stava attorno è chiamato, con grande fatica, a rimettere assieme nel tentativo di elaborarne la prematura morte e, di rimando, la parabola esistenziale che egli ha tracciato. Di questi frammenti fanno parte i suoi libri, naturalmente, ma anche un corposo epistolario che l’editore vorrebbe pubblicare postumo, ma anche una figlia, lungamente trascurata, un nutrito gruppo di mogli e amanti e, ultimo ma non ultimo, Apollo, alano dalla mole gargantuesca.  Dell’animale, dal carattere forte e dalla personalità ingombrante come quella del defunto padrone, per sua espressa volontà, sarà chiamata a occuparsi Iris (Naomi Watts), strettissima amica dell’estinto, scrittrice anche lei, che da tempo vive un profondo periodo di crisi creativa. Iris abita a New York, in un piccolo appartamento all’interno di un condominio che, per regolamento, non ammette la presenza di cani. A dispetto delle apparenze, il fisico minuto, il carattere mite, la donna saprà dimostrarsi capace di gestire Apollo, divenuto il centro nevralgico delle sue giornate, e gli affetti più cari che l’uomo si è lasciato alle spalle: la figlia Val (Sarah Pidgeon), anzitutto, ma anche l’ex moglie Elaine (Carla Gugino). Più difficile da gestire sarà, invece, il vuoto incolmabile della perdita, gli inevitabili sensi di colpa e il flusso ininterrotto di ricordi che la presenza in casa di Apollo, inevitabilmente, rende palpabili.

E’ su questa dolorosa e inspiegabile dicotomia, che vede nell’assenza della persona amata l’oggetto, quasi ossessivo, di pensieri che ne richiamano la presenza in modo viscoso, quasi materico, che riflette la pellicola della collaudata coppia di registi Scott McGehee e David Siegel, tratta dal romanzo di Sigrid Nunez .

Un film al cui centro c’è, sì, certo, il tema dell’elaborazione del lutto, ma anche una riflessione sui rapporti interpersonali, sull’amicizia, sull’amore, sulla dipendenza dall’altro, sulla fallacia del nostro punto di vista, sul potere evocativo dei ricordi e della parola, sulla morte e, in definitiva, sul cinema.

Paradossalmente, sebbene già a inizio pellicola Walter sia passato a miglior vita, la sua presenza nell’economia delle vite degli altri protagonisti non è affatto depotenziata (e molto del merito va riconosciuto alla prova attoriale di Bill Murray, sempre a proprio agio in ruoli dove è chiamato a recitare in sottrazione). Persona dotata di grande cultura e ironia, di una forte dose di narcisismo e di altrettanto grandi appetiti amorosi, il suo ricordo e la sua immagine, viva e pulsante, sono continuamente evocati, divenendo presenza ancora ingombrante nella vita di chi gli è sopravvissuto.

L’altrettanto ingombrante presenza dell’”amico fedele”, Apollo, sta lì a ricordarcelo, sebbene la trama del cane che sopravvive al proprio padrone possa trarre in inganno, facendoci giudicare il film solamente nella chiave interpretativa di fiaba dagli intenti moraleggianti.

Si scriveva sopra della fallacia dei punti di vista e l’ambientazione newyorkese della storia, l’incontro casuale tra padrone e cane, potrebbe costituirne un esempio, riportandoci alla mente Hackico – il tuo migliore amico, film diretto nel 2009 da Lasse Hallström.

Siamo chiamati invece, come Iris – costretta a dormire per terra e a guardare da una prospettiva insolita l’espressivo animale – al ribaltamento di quel punto di vista, dato per assodato.

Iris, Apollo, Elaine, Val, ciascuno a proprio modo, soffrono per la perdita del caro amico, padrone, amante, padre. Nessuno di loro lo fa allo stesso modo e ciascuno di essi costituisce, per l’altro, la chiave per una diversa elaborazione.

Apollo è per Iris una sorta di incarnazione totemica dell’amico morto suicida, la pietra di inciampo su cui quotidianamente è costretta a transitare, facendo i conti con se stessa, con i sensi di colpa con gli innumerevoli “se” e “ma”. Non è lei la chiave per la ritrovata libertà di Apollo, semmai, forse, il contrario, in un rapporto, potemmo dire, paritetico, dove ciascuno di essi riconosce nella sofferenza dell’altro la stessa dignità.

Spostando la propria visione di un cinema intimista dall’America rurale, raccontata nel precedente Montana Story (2021), alla città di New York (dove svetta, riconoscibile, lo skyline della città e dell’isola di Manhattan, tanto cara a Woody Allen, più volte omaggiato), Scott McGehee e David Siegel ci regalano una visione inedita e non banale sulle nostre vite, spesso anestetizzate da frenetiche routine, sul dolore come opportunità di immedesimazione nell’altro e di opportunità per rallentare e guardare con altri occhi le nostre personali vicende.

In sala dal 5 giugno 2025.


L’amico fedele (The Friend)  Regia: Scott McGehee, David Siegel; sceneggiatura: Scott McGehee, David Siegel (dal romanzo L’amico fedele di Sigrid Nunez) ; fotografia: Giles Nuttgens; montaggio: Isaac Hagy; musica: Jay Wadley, Trevor Gureckis; interpreti: Bill Murray, Naomi Watts, Cloé Xhauflaire, Joel Van Liew, Josh Pais, Carla Gugino, Constance Wu, Noma Dumezweni, Sarah Pidgeon, Owen Teague, Felix Solis, Ann Dowd; produzione: Scott McGehee, David Siegel, Liza Chasin; origine: USA, 2024; durata: 119 minuti; distribuzione: Universal Pictures.

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