Premessa. Mette conto riferire che chi scrive le righe che state per leggere ama la Sicilia di passione accecante, congenita, biologica; essendo tornato a viverci un secolo dopo che i suoi nonni ne emigrarono legando lo spago attorno a un paio di proverbiali valige di cartone. Amo la Sicilia, i fichi d’india, il caciocavallo e il friscaletto. Amo la Sicilia e soprattutto Catania, amo Goliarda Sapienza; amo Modesta, e la sua anarchica arte della gioia. Non sarò obiettivo, mi pareva giusto precisarlo.
Recensione. A fine maggio, in occasione dell’uscita in sala dei primi tre episodi della serie-tv L’arte della gioia (cosa insolita seppur non inedita, ma le doti eminentemente cinematografiche dell’adattamento di Valeria Golino hanno reso plausibile l’operazione) abbiamo vergato le nostre impressioni su queste colonne, oggi torniamo qui a cercar di raccontare le virtù e i limiti degli ultimi tre episodi, in sala dal 13 giugno e poi visibili su Sky dal prossimo autunno.
“Questa casa ama i segreti”, sospira Beatrice, la Cavallina interpretata da Alma Noce, mentre arde di passione per Modesta, tra le siepi del giardino di casa Brandiforti. Ebbene, come si era intuito nella prima tranche della serie, in questa seconda di segreti ne scopriremo persino di scandalosi, non tutti svelabili per evitare di rovinare il piacere della visione a chi non li sappia.
Quello che ci sentiamo in tutta coscienza di rivelare, perché già reso noto nelle puntate precedenti, è che il gabellotto bello e ruspante, interpretato da Guido Caprino, è il padre di Beatrice, che nella Sicilia retriva di cento anni fa Madre Leonora non ha potuto sposare per distanza sociale e razzismo di classe. Caprino che smette qui i panni e l’idioma lombardo del leghista di 1992, e relativi sequel (la serie-tv su Tangentopoli che gli diede la fama), per recuperare il suo dialetto naturale: è nato a Taormina nel 1973. E come è dolce e soave questo siciliano che qui riecheggia anche grazie agli altri interpreti, pure quelli minori, minuscoli ma enormi; lontanissimo da certo slang triviale e corrivo che siamo soliti abbinare al idealtipo del “siciliano”. A proposito di cultura sicula, interessante la citazione probabilmente anacronistica della canzone popolare Cè la luna ‘n menzu o mari, composta nel 1927 ed eseguita come una briosa e salace tarantella. È la stessa che viene cantata, tra frizzi, lazzi e allusioni sessuali, al wedding party di Connie Corleone con cui si apre Il padrino di Francis Ford Coppola.
Prende vieppiù corpo in questi episodi finali, e acquista progressivamente spazio, il racconto dell’io narrante che è poi la stessa Modesta la quale, come in un monologue interieur letterario, un “a parte” teatrale, ci narra la sua stessa vicenda a posteriori, mettendola per così dire “en abîme”. Esordisce ripetendo in macchina queste parole: “Si può amare un uomo, una donna, un albero e forse anche un rospo, che non si sa mai.” Si riferisce al rapporto sempre meno casto che stabilisce con “La cosa” – ricordate? È Ippolito, figlio disabile della Principessa: un essere umano ritenuto deforme e perciò da sempre rifiutato dalla madre degenere. Come un “angelo sterminatore” bunueliano o come ”L’ospite” del Teorema pasoliniano, Modesta irrompe in questa famiglia tarlata dai propri stessi agi, squassandola come un’erinni vendicatrice; ma ella sa al tempo stesso essere anche Afrodite, la dea dell’amore: latrice e oggetto di una pansessualità dirompente che toglie i peccati del mondo. È Eros e Thanatos, Modesta, che dà e riceve piacere da Beatrice, e riesce qui come una nemesi dell’antichità classica a donare serenità e amore persino a quel figlio rinnegato. Già perché, come si era immaginato vedendo i primi episodi, è soprattutto l’erotismo che qui si fa strada, un erotismo audace e poetico, dove “il sudore profuma di zagara”; giacché, come dice la stessa Valeria Golino: “Io sono stata scabrosa, ma la Sapienza lo è stata molto più di me.”
Lo scandalo scuote le fondamenta della casa e la Principessa di Valeria Bruni Tedeschi è devastata dalla vergogna; meglio: non la principessa, ma proprio la Bruni Tedeschi, che non recita più ormai – lo vedrete, lei “stanislavskijanamente” vive quell’onta con un’intensità che atterrisce e commuove; e se ne scandalizza visceralmente, come se a patirne gli effetti fosse la casata dei Bruni Tedeschi e non quella dei Brandiforti.
E qui si deve giocoforza aprire un capitolo a parte, perché se la Modesta di Tecla Insolia, fragile e violenta, è sempre più magnetica nella sua fremente interpretazione in tutti i sensi “senza veli”; la Principessa Gaia Brandiforti di Valeria Bruni Tedeschi è addirittura gigantesca. Assottigliando sempre di più il diaframma che separa la veridicità dalla verosimiglianza, l’attrice torinese si dona qui a noi spettatori con una generosità dimentica di ogni seppur remoto pudore, dando vita a un personaggio spaventosamente realistico e teneramente abominevole; in cui l’attrice si lascia andare senza freni, accettando di invecchiarsi e di imbruttirsi. Una performance che mette quasi a disagio per quanto è intimamente sentita, lasciando echeggiare alcuni retaggi scespiriani: sempre più prigioniera del proprio aristocratico egoismo, del proprio classismo sprezzante, che si vena persino di follia per quanto è scollato dalla realtà, e ipostatizzato in un estetismo decadente e quasi dannunziano; Valeria Bruni Tedeschi raggiunge qui vette mefistofeliche da Lady Macbeth. Non solo: a proposito di ascendenze letterarie, occorre rilevare che il suo monologo finale assomiglia per alcuni versi a quello che il Principe di Salina fa nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Si aspetta la Sicilia nuova, un’Italia nuova, un uomo nuovo, tutto questo muoversi, questo affannarsi… Tutta questa vecchiezza è un’autentica rovina!” Sono le parole di una vecchia aristocratica stanca che si sta congedando dalla terra, ma anche dal mondo antico che sta scomparendo come la sua classe sociale.
La vicenda narrata dal libro di Goliarda Sapienza si dipana sullo schermo tra passato e presente, grazie al già menzionato espediente della voce narrante affidata alla protagonista della storia la quale punteggia romanzescamente, con delle frasi-aforisma, una trama che è molto cinematografica (la visione sul grande schermo non ci pare affatto peregrina, perché la regia della Golino, aiutata da location splendide e confezione sontuosa, è decisa e convincente). Le affidiamo alla vostra attenzione, giacché fungono da “sommario sentimentale” di un racconto appassionante che a noi è molto piaciuto (vedi premessa). “Si dice che il desiderio è il prodotto della volontà, ma in realtà è vero il contrario: la volontà è il prodotto del desiderio.” “Scoprii che il mio avvenire sarebbe assomigliato al mio passato, e che ciò che avevo fatto con orrore lo avrei fatto ancora mille volte con gioia.” “La pace non l’ho mai conosciuta ma la gioia sì, quella la so riconoscere: quando esplode negli occhi degli altri. Quella la voglio tutta per me.” “Ho sempre rubato la mia parte di gioia a tutto e a tutti.” Buona lettura, cioè buona visione (che è lo stesso).
In sala dal 13 giugno (seconda parte). E poi su Sky dal prossimo autunno.L’arte della gioia – Regia: Valeria Golino; soggetto: tratto dal libro omonimo di Goliarda Sapienza; sceneggiatura: Valeria Golino, Luca Infascelli, Francesca Marciano, Valia Santella, Stefano Sardo; fotografia: Fabio Cianchetti; montaggio: Giogiò Franchini; musica: Tóti Guðnason; interpreti: Tecla Insolia, Jasmine Trinca, Valeria Bruni Tedeschi, Guido Caprino, Alma Noce, Giovanni Bagnasco, Giuseppe Spata; produzione: Sky Studios e Viola Prestieri per HT Film; origine: Italia, 2023; durata: 6 episodi da 60’ circa; distribuzione cinema: Vision Distribution
1 thought on “L’arte della gioia di Valeria Golino (Seconda parte)”
Ho visto la prima parte sabato, talmente coinvolgente che non volevo finisse più…sabato prossimo vedrò la seconda. Personaggio fantastico Modesta Maudit, ma tutto il film è una simbiosi di elementi vivi e scenari e oggetti così ben incastrati in un Unicum, ho adorato gli occhi brillanti di Modesta. Mi sono riconosciuta molto. Grazie della bellissima recensione.Condivido il parere sull’ immensa Valeria Bruni Tedeschi perfettamente a suo agio nella parte.
Ho visto la prima parte sabato, talmente coinvolgente che non volevo finisse più…sabato prossimo vedrò la seconda. Personaggio fantastico Modesta Maudit, ma tutto il film è una simbiosi di elementi vivi e scenari e oggetti così ben incastrati in un Unicum, ho adorato gli occhi brillanti di Modesta. Mi sono riconosciuta molto. Grazie della bellissima recensione.Condivido il parere sull’ immensa Valeria Bruni Tedeschi perfettamente a suo agio nella parte.