Le allegorie di Furiosa: A Mad Max Saga

A nove anni di distanza da Mad Max Fury Road, arriva finalmente nelle sale l’atteso quinto lungometraggio della saga di “Mad” Max Rockatansky, dove, però, l’eroe creato dal settantanovenne regista australiano non compare affatto, se non per un piccolo cameo. Con un budget di oltre 168 milioni di dollari (il dato non è ancora stato reso ufficiale, ma alcune fonti parlano di una cifra molto più alta), George Miller realizza una pellicola nella quale non ha paura di modificare alcuni dei paradigmi che hanno fatto la fortuna della serie, frammentando la struttura del film in capitoli e incentrando l’intera vicenda sulle sorti di una protagonista femminile, Furiosa appunto, interpretata da una Anya Taylor-Joy sul pezzo.

Sono passati solo quarantacinque anni dal collasso globale, causato da una guerra nucleare. E il mondo pare aver già ritrovato un nuovo equilibrio, in verità non molto dissimile dal passato, nostro presente contemporaneo: in piccole città stato, le risorse ambientali e minerarie di ciò che rimane del pianeta sono sotto il controllo di una strettissima oligarchia, con il popolino condannato a vivere di stenti. Unico luogo risparmiato da questo destino infausto pare essere “il luogo verde delle molte madri” o “polo dell’inaccessibilità”, rifugio edenico governato e protetto da una società matriarcale di fiere e illuminate amazzoni. Al proprio interno gli uomini sono ammessi come lo sono i fuchi all’interno di un alveare. L’idillio all’interno del “luogo verde” è destinato però a spezzarsi dopo l’arrivo di un gruppo di uomini imbarbariti, fedeli a Dementus (Chris Hemsworth), signore di una tribù di centauri nomadi. L’ancora fanciulla Furiosa verrà da questi rapita e avrà quindi inizio la sua personale odissea, che la condurrà all’inevitabile resa dei conti finale con il suo rapitore.

“Diventato supergenere a sé, il kolossal è un autentico catalogo di reperti estratti dai generi tradizionali”. scriveva Roberto Nepoti in una raccolta di saggi, edito qualche anno addietro da Lindau. Tale definizione ben si attaglia a Furiosa: A Mad Max Saga, al cui interno troviamo, oltre al mono-mito rappresentato dai testi omerici di Iliade e Odissea, che innervano da sempre una vastissima quantità di produzioni hollywoodiane, modelli narrativi e generi quali il Western, il Road e l’Action movie, il Revange, l’Horror movie e molto altro ancora.

E’ stato sottolineato, a ragione, anche su questa rivista, come l’impianto Action di quest’ultimo capitolo della saga regga male il confronto con il precedente del 2015, ma andrebbe anche considerato che con Furiosa: A Mad Max Saga le riflessioni portate avanti da George Miller, ed esplicitate in parte per bocca del suo omerico alter ego filmico “The History Man”, si siano fatte decisamente più amare.

Potrebbe spiegarsi sotto tale ottica la scelta di non esaltare appieno la potenza visiva dell’universo milleriano, potenza comunque ancora vivida se non, a tratti, addirittura rilanciata (si vedano le adrenaliniche sequenze di inseguimento nel deserto australiano o l’agguato scampato da Furiosa e Pretorian Jack in quel di “Bullett Farm”). Sequenze nelle quali la colonna sonora, elaborata da Tom Holkenborg, pare (volutamente, crediamo) non enfatizzare a sufficienza l’impianto visivo e spettacolare del film.

Siamo lontani, infatti, dalle gesta eroiche narrate nell’Iliade e nell’Odissea. I signori delle piccole città stato – la Cittadella, Bullet Farm e Gas Town – non possiedono nulla di regale, e il loro muoversi vicendevole guerra non ha nulla a che fare con le virtù dell’epica classica. Il controllo delle risorse petrolifere, delle armi e dell’acqua è la loro unica preoccupazione.

Dementus (nomen omen) personaggio dalle caratteristiche decisamente grottesche, sembra incarnare in sè le brutture del genere umano  – maschile soprattutto, forse unicamente – , che di fronte a una tragedia epocale preferisce anteporre avidità e brama di potere personale, anziché scegliere di far fronte comune in senso solidaristico.

Ma il villain impersonato da Hemseworth non difetta certo in sincerità, quando, senza troppi infingimenti, arringa il popolo di Gas Town facendo leva sulla loro rabbia, di persone vessate dai potenti cui sono elargiti solo gli scarti di tanto benessere.

La scelta di contrapporre così fortemente il genere femminile, capace di generare la vita, al genere maschile, che la vita invece sceglie di distruggerla – dicotomia comunque già presente nel film del 2015 – non può essere unicamente ricondotta al desiderio hollywoodiano di rifarsi il maquillage, facendo proprie le istanze femministe per trarne il giusto profitto. Per Miller, Furiosa è, evidentemente, l’unica in grado di contrapporsi alla società patriarcale incarnata da Dementus e Immortan Joe, in quanto portatrice di una visione altra. I pochi uomini che non hanno smarrito del tutto la propria umanità, infatti, sono destinati a morire, oppure a essere sfruttati per le loro doti specialistiche, o tutte e due le cose assieme.

E se un senso va cercato in questo film è forse nell’allegoria che riesce a restituirci di questi nostri tempi incerti, di questo nostro mondo non distopico, dove però la minaccia nucleare si affaccia nuovamente all’orizzonte, e dove allo sfruttamento delle risorse naturali, alla brama di potere dell’uomo, alle guerre che sono da sempre solo guerre, nessuno è in grado contrapporre una visione altra, diversa, gentile.

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