Lee Miller di Ellen Kuras

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Dopo aver lavorato per più di trent’anni come direttrice della fotografia, Ellen Kuras (1959) dirige il suo primo film e decide di dedicarlo a una “collega”, a una delle fotografe più celebri del ventesimo secolo, ossia Lee Miller (1907-1977). Stiamo parlando, per chi non lo sapesse, di una delle pochissime fotografe che, insieme a molte altre cose, ha documentato gli orrori dei campi di sterminio, producendo in chi non sapeva o aveva fatto finta di non sapere quelle esperienze che Susan Sontag nel suo celeberrimo saggio sulla fotografia ebbe a chiamare “epifanie negative”. Il film, costruito come un biopic retrospettivo che abbraccia all’incirca una decina d’anni, si struttura attorno all’intervista di un giovane giornalista, che solo verso la fine del film capiremo essere molto di più di un semplice giornalista (Josh O’Connor), curioso della vita di Lee Miller (Kate Winslet). Ogni tanto si ritorna all’intervista, ma la gran parte del film è la testualizzazione visiva delle memorie della fotografa. Diciamolo subito: il film è sicuramente di quelli importanti, senz’altro giusto dedicare un film a Lee Miller e alle sue fotografie (conservate, in larga parte, per merito del figlio Anthony, egli stesso fotografo, ma in primo luogo curatore, responsabile del lascito dell’archivio della madre), ma raramente va oltre l’onesto period film, con tanto di re-enactement – o se vogliamo di costruzione della genesi – delle fotografie di guerra per le quali la fotografa americana è giustamente celebre. D’altra parte – leggiamo – non è il primo film dedicato a Lee Miller, anche se qui non si era andati oltre il documentario: due francesi, rispettivamente del 1995 e del 2019 e uno inglese del 2020).

Decisamente stucchevole tutta la prima parte ambientata nella Francia del Fronte Popolare, dove Lee Miller fa parte di un gruppo di artisti (fra questi spicca Paul Eluard) di varie nazionalità che si sollazza fra amori, ameni paesaggi mediterranei e déjeuners sur l’herbe. È qui che la fotografa conoscerà – e sarà amore a prima vista – suo marito, artista a sua volta, nonché gallerista, ovvero Roland Penrose (Alexander Skarsgård) compagno nelle mille traversie e lontananze che costelleranno la vita della coppia negli anni a seguire, ché lo scoppio della guerra è alle porte: Roland si deve arruolare e Lee si vuole “arruolare”, se vogliamo definire così la decisione della fotografa di seguire la guerra non solo dal fronte interno ma proprio dove la guerra la si combatte, e di documentarne i disastri. D’altra parte, lo sappiamo bene, il verbo “to shoot”, in inglese vuol dire sia sparare che scattare (una foto). Per seguire la propria testarda intenzione, tanto più inaudita in quanto donna, Lee è pronta ad andare contro tutto e contro tutti, a cominciare dalla direttrice dell’edizione londinese di Vogue, Audrey Withers (Andrea Riseborough) che vede con scetticismo la metamorfosi di una modella, quindi fotografa in prevalenza di moda, in una fotoreporter di guerra, pronta a morire pur di esser presente, pur di testimoniare, ché sembra proprio che l’impulso dominante in Lee sia esattamente quello e non il narcisismo di chi vuole esser ricordata, di chi vuol passare alla Storia.

Kate Winslet

E allora grosso modo due terzi del film – come si diceva, intervallati da lacerti dell’intervista e qua e là dalle foto “vere” a mo’ di testimonianza – raccontano le avventurose vicissitudini della fotografa sui vari fronti, pronta a tutto pur di documentare, rischiando una specie di vampirismo del dolore ma riuscendo sempre a mantenere una encomiabile vicinanza, una sottile empatia con i propri soggetti, anche i più sordidi; la donna è quasi sempre accompagnata da un altro fotografo di guerra realmente esistito ossia l’americano David Scherman (Andy Samberg) con cui Lee riesce a instaurare uno splendido rapporto cameratesco e solidale. Troviamo tutto quello che uno si aspetta da un film del genere puntualmente avviene: i tedeschi cattivi, i collaborazionisti (il film è girato quasi esclusivamente in Francia), le violenze carnali, i corpi mutilati, tante sigarette e tanto alcool – e sul finire la liberazione di Parigi, l’ingresso nelle città tedesche, con il re-enactement della celeberrima foto di Lee Miller accucciata nella vasca da bagno di casa Hitler a Monaco (vedi foto di copertina), con il ritratto scorniciato del Führer sul bordo, che da giorni si è suicidato nel bunker di Berlino, insieme a Eva Braun.

Il film dev’essere costato non poco se si permette attrici del calibro di Marion Cotillard e di Noémie Merlant in ruoli di comprimario. I protagonisti, ovvero Winslet, Skarsgård, O’Connor, Samberg sono impeccabili. Ma in film del genere gli attori sono sempre bravi.

In  sala dal 13 marzo 2025.


Lee Miller (Lee) – Regia: Ellen Kuras; sceneggiatura: Lem Dobbs, Liz Hannah, John Collee, Marion Hume; fotografia: Pawel Edelman; montaggio: Mikkel E. G. Nielsen;  interpreti: Kate Winslet (Lee Miller), Alerxander Skarsgård (Roland Penrose), Josh O’Connor (Tony), Andy Samberg (David Scherman), Andrea Rieseborough (Audrey Withers), Marion Cotillard (Solange D’Ayen), Noémie Merlant (Nusch Éluard); produzione: Sky UK, Brouhaha Entertainment, Juggle Films; origine: Gran Bretagna. 2023; durata: 116 minuti; distribuzione: Vertice360

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