L’erede di Xavier Legrande

  • Voto


Una eredità è qualcosa di fisico, materiale, sono beni immobili, case, autovetture, gioielli, vestiti, orologi d’oro, denaro. Chi muore lascia dietro di sé una ampia gamma di oggetti che ha usato nel tempo della sua vita. Ma non solo. Si ereditano anche comportamenti, tic, attitudini, modi di fare, modi di pensare: l’eredità genetica è qualcosa di indivisibile tra fratelli, ognuno ha la parte che gli spetta senza litigi o incomprensioni. Come somigli a tuo padre ci si può sentire dire arrivati all’età adulta. Si può recepire un commento simile con gioia o con terrore, a seconda del rapporto intercorso col genitore a cui si finisce, volenti o nolenti, ad assomigliare. Di sicuro è qualcosa di ineluttabile, che non si può sfuggire, il DNA ha sempre la meglio, non si va mai in parità. Si può fuggire in un altro continente, si può smettere di pensare a chi ci ha generato, si può smettere di avere contatti, si può credere di avere superato le resistenze, ma la famiglia di origine è una catena da cui chiunque è sempre avvinto.

Da queste premesse – violente nel profondo significato psicoanalitico – parte L’erede, film disturbante a tutto tondo. Nelle prime scene incontriamo Ellias Barnès (Marc-André Grondin) alla prima sfilata della collezione che firma come direttore artistico di una importante casa di alta moda di Parigi. La scenografia è grandiosa, una spirale labirintica nel bianco, il pubblico crea un percorso in cui le modelle sfilano: per ultimo esce lui a ricevere il plauso generale, appena dopo un principio di attacco di ansia (o di asma). È un grande momento: tutte le riviste lo cercano, è appena subentrato al precedente stilista, è il tempo di dare la sua impronta. Mentre sta posando con tre modelle scelte per la copertina di Harper’s Bazar due agenti di polizia lo reclamano al nome di Sebastian Barnès. Portano la notizia della morte di infarto di un padre che viveva in Quebec e che Ellias non vedeva da decenni: bisogna andare a Montréal per i funerali e per sistemare le faccende ereditarie. In viaggio continua a sentire soffocamento al petto, sebbene la dottoressa che lo segue lo abbia rassicurato che i suoi sintomi somigliano più ad attacchi di panico più che a malattie di origine cardiaca (che lui teme possano discendere dalla linea paterna). Non sappiamo cosa abbia distanziato i familiari tra loro: Ellias in Francia, il padre Jean-Jacques in Quebec e la madre in qualche luogo ameno scaldato dal sole (la vediamo in una villa con piscina in cui nuota il nuovo marito, fratello del padre di Ellias). Di sicuro nessuno amava più colui che è deceduto tranne le persone nuove che ha conosciuto nella seconda parte della sua vita, senza moglie e figlio: c’è la vicina di casa Marie-Odile che si presenta alla porta di casa solerte e affettuosa, invitando Ellias a cena o anche solo per un bicchiere; c’è Dominique che ha lasciato detto alle pompe funebri di farsi vivo per parlare di Jean-Jacques (cosa che Ellias si guarda bene dal fare), Minna l’addetta alla scelta della bara che è una fan di Ellias, oltre che sua vecchia compagna di scuola. La vita a Montréal è andata avanti senza di lui che, piano piano, riacquisisce anche l’antico accento. Dopo un primo passaggio all’agenzia funebre un autista lo conduce alla dimora paterna dove è atteso da una agente immobiliare e un ragazzo di una associazione di beneficenza: sembra tutto pianificato alla perfezione (Ellias ha una assistente a Parigi che gli risolve ogni rogna, a cui è legato morbosamente). La casa è grande e luminosa, ha una cantina, un segreto nascosto. Ellias entra in possesso di molte chiavi, molte porte chiuse sono difficili da aprire, molti non detto viaggiano tra i personaggi mentre si conducono azioni molto semplici e necessarie. Ellias non è dove vorrebbe essere, nulla lo lega a quelle pareti, a quegli oggetti sconosciuti di cui non conosce le fattezze né riconosce gli odori. Osserva con distanza le fotografie appese (in cui alcune è ritratto, sintomo di un pensiero paterno mai compreso), propone che venga tutto donato a chi ne ha davvero bisogno. Il mondo a cui appartiene lo richiama, da lontano deve compiere delle scelte lavorative urgenti, è tirato altrove mentre il presente è pressante, le ore passano e bisogna portare un abito per abbigliare il defunto per la funzione, lo spazio fisico della casa reclama scelte e impone a forza scoperte spaventose. La resistenza all’accettare l’esistenza di un genitore rifuggito, sebbene ora archiviato nel passato, mette a disagio fisico il protagonista e lo spettatore che lo accompagna in un percorso di abisso inaspettato.

Si respira aria da tragedia greca, Amleto sullo sfondo: Ellias era Sebastian, ha attuato un cambio di nome, un cambio di vita, un cambio di personalità. Ma è davvero riuscito nell’impresa? Chi era suo padre? Chi è Ellias adesso che è rimasto solo, riuscirà a mantenere in piedi la vita che ha costruito o tutto il suo destino era scritto nelle maglie di un codice genetico ineluttabile? È più forte la biologia o la cultura, la morale o l’ambizione, il Male o la giustizia? Qual è il mondo in cui meritiamo di vivere? Nell’ultimo scambio Dominique afferma: Tuo padre sapeva di aver sbagliato con te. Ellias, di contro, risponde: Ho fatto di tutto per non essere come lui. L’amico insiste: Sei suo figlio. E lo sarai sempre. Una condanna tesa come una ghigliottina.

Finale potente, a sorpresa. Prevedibile? Forse, ad aguzzare l’ingegno. La difficoltà di accettare l’inaccettabile diventa viltà, egoismo, violenza al pari di un sequestro di persona. Impossibile non essere scossi dalla visione. Gran bel film.

In sala dal 20 febbraio 2025.


L’erede  (Le successeur) – Regia: Xavier Legrande; sceneggiatura: Xavier Legrande; fotografia: Nathalie Durand; montaggio: Yorgos Lamprinos, Julie Wuillai; musica: Sebastian Akchoté; interpreti: Marc-André Grondin, Yves Jacques, Laetitia Isambert-Denis, Anne Élisabeth Bossé, Louis Champagne, Blandine Bury, Vincent Leclerc, Marie-France Lambert; produzione: KG Productions, Metafilms, Stenola Productions;; origine: Francia, Canada, Belgio, 2024; durata: 112 minuti;  distribuzione: Teodora Film.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *