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Voto
La familiarità che il nome dello scrittore e regista di origine senegalese Marc Dugain ci ispira è incontestabilmente legata alla sua opera di narrativa, tutta protesa ad illuminare le singolarità di una cronologia comune: La Chambre des Officiers (1998), sorta di Marcia di Radetzky a cavallo delle due guerre, ottiene circa una ventina di premi letterari e dona allo sventurato protagonista Adrien una fama postuma per molti versi inaspettata. Hereux comme Dieu en France (2002) rimette in scena la Resistenza attraverso lo sguardo di un giovane partigiano, Une exécution ordinaire (2007) mescola le voci di alcuni spettri smarritisi fra la Russia della guerra fredda e quella dei giorni nostri, Avenue des géants (2012) racconta la nevrotica incertezza in cui l’universo sprofonda dopo l’omicidio Kennedy.
Generatisi da una logica visionaria che non ammette tentativi d’evasione, i personaggi di Dugain sono reali pur non essendolo: in pratica, l’autore ridefinisce il senso stesso di rievocazione storica, conferendo alla verosimiglianza quel velo d’ombra necessario per trasformarla in leggenda.
Dal 2017 la penna si fa cinepresa – ma le intenzioni non cambiano. E così, anche L’Échange des princesses (Lo scambio di principesse, adattamento su grande schermo dell’omonimo romanzo di Chantal Thomas, 2013) narra uno strano incrocio: quello che fece incontrare Luisa Elisabetta di Borbone-Orléans e Marianna Vittoria di Borbone-Spagna nel tormentato biennio che intercorre fra il 1721 e il 1723. All’epoca, Luisa Elisabetta è appena un’adolescente e Marianna Vittoria una bambina. Pur concedendo alle due aspiranti regine qualche annetto in più (almeno così sembra), l’impressione generale non cambia e il divario apertosi fra palcoscenico e sala appare sin dal primo momento insondabile.
Reduce nel nostro recente ricordo di La bonne épouse (2020) di Martin Provost, Anamaria Vartolomei incarna alla perfezione il rude disprezzo che la bella e infelice Mademoiselle de Montpensier usava sfoggiare a corte, mentre la piccola Juliane Lepoureau esibisce il malinconico fatalismo di chi è abituato tanto alla camera quanto ai fariseismi di una reggia settecentesca.
La pellicola scorre dunque placida su queste vies minuscules, smembrandosi in due percorsi paralleli: da un lato sorge la Francia oscura dell’Assolutismo, riportando alla luce il fantasma di un Luigi XV fanciullo eppur pienamente compreso nel proprio ruolo di sovrano (qui interpretato da un Igor Van Dessel più giovane di quanto non si creda). Dall’altra parte, invece, lo specchio ci svela la Spagna schizofrenica di Filippo V° (Lambert Wilson), con i suoi autodafé e la sua proverbiale nevrastenia cattolica.
Il dramma sembra un atto unico e si consuma nell’infelice rassegnazione che lo spettatore crede di riconoscere nei volti di questo antico tomo. Il regista gioca con le nostre aspettative e allestisce un inganno miniato, un cammeo in cui verità e invenzione si cesellano a vicenda. Per la bella fotografia di Gilles Porte, gli eroi di Dugain e della Thomas (che ha lavorato anche alla sceneggiatura) sembrano usciti da un quadro di Fragonard, ma abbandonano quei colori vivaci e quel brio stravagante che il pittore sulla tela utilizzava per ravvivare una monarchia ormai prossima alla morte – basti osservare il destino dei suoi ultimi due Re. Il cielo poussiniano crolla dritto sul capo dei personaggi, quasi intendesse presagire i fasti passati e le ultime glorie future. Tutto, nel lungometraggio, strizza l’occhio al celebre classicista: le tinte sovraccariche e fantastiche, la rigidità geometrica delle costellazioni, l’informe plasticità dei corpi, le prospettive labirintiche.
Ma non è soltanto attraverso l’occhio che gli autori sovrappongono fra loro epoche in apparenza lontane: i protagonisti, così serrati nel loro isolamento esistenziale, respingono qualsiasi tentativo di avvicinamento e si limitano a subire ciò che dal tempo proviene. L’Europa di tre secoli fa, grande carro di cui uomini e bambini condividevano le redini, ci appare a dir poco grottesca – dunque, la ricostruzione può dirsi quantomeno fedele. Il retrogusto amaro che sale alla gola è il medesimo assaporato di fronte ad un quadro di Chardin (altra mano ricorrente nel microcosmo cinematografico-museale del romanziere): l’infanzia è in gran parte assente, bizzarri adulti in miniatura popolano un fondale di nature morte e bolle di sapone, la miseria quotidiana si nasconde fra i dettagli che la compongono. Il film si apre e si circoscrive all’interno di una tela, chiedendoci di guardare senza pretendere nulla in cambio – proprio come si fa ad una mostra d’arte.
Dal 5 agosto nelle sale
Cast & Credits
L’Échange des princesses/Lo scambio di principesse – Regia: Marc Dugain; sceneggiatura: Marc Dugain, Chantal Thomas; fotografia: Gilles Porte; montaggio: Monica Coleman; interpreti: Lambert Wilson (Philippe V), Anamaria Vartolomei (Louise-Élisabeth), Olivier Gourmet (Philippe d’Orléans), Catherine Mouchet (Madame de Ventadour), Kacey Mottet Klein (Don Luis), Igor van Dessel (Louis XV), Juliane Lepoureau (Marie Victoire); produzione: High Sea Production, Scope Pictures; origine: Francia-Belgio 2017; durata: 100’; distribuzione: Movies Ispired.
