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Voto

Passato nel sottofinale di questo faticoso Concorso berlinese 2022, Alcarràs, diretto dalla catalana Carla Simón, aveva sulla carta tutte le caratteristiche giuste per poter piacere alla Giuria iper-politicamente corretta (come tutta la selezione concorsuale d’altronde, con rade eccezioni) di questo anno. E cioè una storia personale legata ad un forte tema politico che sia o storico e/o attuale, stile semidocumentario, ritmi rallentati, grande attenzione per la messa in scena rispetto all’immediato impatto emotivo sul pubblico, ecc., ecc. Insomma il tipico film perfetto per un Festival, di certo, meno per il mercato.
Detto ciò, non si vuol dire che non abbiamo apprezzato questa seconda prova – in genere sempre affrontata come un difficile traguardo soprattutto se dopo un’opera prima riuscita – della regista barcellonese, già nota per aver diretto Estiu 1993 (cioè Estate 1993, 2017), candidato come miglior film straniero alla 90a edizione degli Oscar. Tutto il contrario, anzi complimenti: cinque anni fa aveva vinto il GWFF Best First Feature Award, questa volta a riportato a casa l’Orso d’oro – Berlino le porta decisamente fortuna.
Al pari del film di debutto, anche questa volta l’esperienza rurale della campagna catalana con la sua lingua e le sue caratteristiche geo-antropologiche, costituiscono il perno principale e lo sfondo indispensabile ad un’opera corale in cui si rappresenta la forzata trasformazione della economia contadina e la sua lotta per sopravvivere nelle trasformazioni capitalistiche dell’oggi.
Al centro della storia troviamo una famiglia che sta per essere improvvisamente privata della propria terra dove coltiva la frutta, le pesche tabacchiere, da vendere con una cooperativa formata da diversi altri piccoli contadini. Una volta, in passato, bastava una stretta di mano tra gentiluomini per sancire senza un contratto un affare, una transizione di beni terrieri, oggi senza un pezzo di carta che sancisca la proprietà non si va molto lontani.
Il film inizia propria con la dolorosa costatazione del protagonista Qumet (Jordi Pujol Dolcet) che – in mancanza di un atto che il padre non aveva mai stipulato con il patron della zona – deve completate il raccolto delle pesche prima di dover lasciare il podere che passerà di mano al figlio del latifondista, intenzionato a abbandonare l’agricoltura in favore di impianti con pannelli solari per produrre energia elettrica. L’uomo però non si rassegna all’amaro destino di lasciare la terra, continua a lottare come un leone (o meglio come un toro che, senza alternative, vede davanti agli occhi un drappo rosso), per arrivare alla fine della raccolta – insomma non ne vuole proprio sentire di dedicarsi ad altro. Sullo sfondo la lotta degli agricoltori per ricevere dei compensi equi dalle grandi catene alimentari che abbattendo inesorabilmente i costi pretendono di pagare il meno possibile la merce. D’altronde sono dei capitalisti rapaci e che altro dovrebbero fare?
A partire dalla costatazione di queste dinamiche economiche che stanno profondamente mutando il tessuto sociale della zona, pediniamo la famiglia al centro della storia con tutte le sue contraddizioni e valutazione diversi dei fatti, a partire dalle diverse generazioni. Così il vecchio padre che osserva la fine del suo mondo patriarcal-contadino, i bambini che si accorgono solo che i genitori litigano tra di loro, il ragazzo più grande abbastanza spaesato che coltiva di nascosto (e si fuma) la marijuana, le donne, tra cui due sorelle, che cercano di portare un minimo di buon senso in una situazione dove spesso il buon senso viene sacrificato all’ira, il rancore, la caparbietà più totale. Insomma con uno sguardo corale seguiamo le arrabbiature e le liti di questo gruppo e poi il contesto con la festa del paese e le tante contraddizioni esistenti tra tradizione e il nuovo che avanza – un nuovo che spesso non porta nulla di veramente positivo, chissà.
Alla sua seconda opera di Carla Simón ci ha, dunque, consegnato un interessante, riuscito spaccato di vita contadina occidentale – dobbiamo aggiungere, senza però togliere nulla a questo film, che, però, a confronto, altre vite contadine come quella raccontata da Li Ruijun in Return to Dust (https://close-up.info/7169-2/) ci avevano commosso molto di più.
In ogni caso mentre il film cinese difficilmente troverà la via della distribuzione italiana, è certo, invece, che vedremo sui nostri schermi Alcarràs, dato che è una coproduzione con l’Italia, realizzata da Giovanni Pompili per la Kino Produzioni di Roma.
In sala dal 12 maggio 2022
Cast & Credits
Alcarràs – Regia: Carla Simón; sceneggiatura: Arnau Vilaró, Carla Simón; fotografia: Daniela Cajías; montaggio: Ana Pfaff; musica: Andrea Koch; interpreti: Jordi Pujol Dolcet (Qumet), Anna Otin (Dolors), Xènia Roset (Mariona), Albert Bosch (Roger), Ainet Jounou (Iris), Josep Abad (Rogelio), Montse Oró (Nati), Carles Cabós (Cisco), Berta Pipó (Glòria); produzione: María Zamora, Stefan Schmitz, Tono Folguera, Sergi Moreno per Elastica Films (Madrid), Avalon Productora Cinematográfica (Madrid), Vilaüt Film (Barcelona); origine: Spagna /Italia 2022; durata: 120.
