Che il sistema sanitario sia al collasso non è una novità. Un settore in cui si investe sempre meno, si taglia sempre di più (e questo non solo in Italia, ma ovunque, in Europa e nel mondo) non può che prima o poi implodere. Eppure, sembra, nonostante i molti allarmi lanciati ormai a intervalli regolari, l’apparato regge ancora. In primis questa miracolosa resistenza la si deve proprio alla buona volontà e allo spirito di sacrifico del personale sanitario che ci lavora, e nonostante i bassi salari e la carenza di personale. Si tratta di un organico però allo stremo perché sottoposto a turni di lavoro spesso difficili da gestire date le condizioni e situazioni già di per sé al limite. Viene da chiedersi chi ha più la motivazione per scegliere un lavoro così stressante, per quanto necessario e di pubblica utilità. Proprio di questo ci parla la coproduzione fra Svizzera e Germania L’ultimo turno, presentata al Festival di Berlino 2025 e ora arrivata anche nelle nostre sale.
Tratto da un libro (Unser Beruf ist nicht das Problem. Es sind die Umstände [Il problema non la nostra professione, lo sono le condizioni], 2020) dell‘autrice Madeline Calvelage, con L’ultimo turno la regista svizzera Petra Volpi sembra proprio voler riqualificare – come già il titolo originale Heldin (che tradotto è il femminile di eroe) lascia intendere – e ridar valore a chi si prende cura dei nostri malati e lo fa in condizioni tutt’altro che facili.

A inizio film vediamo l’infermiera Floria (Leoni Benesch) su un tram durante il tragitto quotidiano verso l’ospedale di Zurigo dove lavora, e dove la attende il turno pomeridiano. Poche parole scambiate nello spogliatoio con la collega, e via con l’ascensore a prendere il proprio posto fra le corsie e i letti del reparto. Un turno di lavoro che già in partenza, e grazie ad un montaggio ben calibrato, promette tensione e ansia, tante, sicuramente troppe, sono le mansioni e le richieste che l’infermiera ha da soddisfare nel reparto. Che quest’ultimo sia quello particolarmente ‘sofferto’ di oncologia, lo veniamo a sapere dopo, mentre da subito veniamo messi al corrente che per l’assenza di una delle infermiere di turno, saranno solo in due a doversi dividere fra pazienti operati, quelli da operare oltre ai nuovi arrivati per controlli ed accertamenti. Insomma, una situazione da worst case scenario. Solo che invece di essere una situazione eccezionale si presenta a cadenza quasi quotidiana. Nonostante la competenza di Floria, che percepiamo dalla precisione e ripetitività dei gesti e dalla pazienza con cui tranquillizza l’agitata paziente senile con una ninna nanna, l’infermiera non riesce a sovrintendere ad un numero in sé troppo alto di degenti e a tutte le emergenze che ne derivano. La regia sottolinea con particolare precisione l’alta responsabilità, nonché la necessaria prontezza decisionale di un mestiere dal quale dipende molto spesso la guarigione. Un semplice errore, dimenticanza o ritardo può portare a gravi conseguenze. E così il semplice turno pomeridiano domenicale si trasforma in un incubo sia per i pazienti, sia per l’affidabile e gentile Floria.
Anche se non si può parlare di un film claustrofobico, all’infuori delle sequenze di inizio e fine, quando vediamo Floria sui mezzi di trasporto pubblici arrivare e lasciare l’edificio ospedaliero, il racconto si svolge in quasi tutta la sua lunghezza negli interni delle camere e nei lunghi e spesso bui corridoi dell’ospedale. L’effetto è inoltre intensificato dalla cinepresa a mano che segue, o meglio pedina, senza sosta e a stretta vicinanza la protagonista. Mentre al suo opposto si pone lo sguardo limpido ed espressivo dell’attrice tedesca Leonie Benesch, che emana fiducia fin da subito, ed è capace di passare in rassegna una vasta complessità di sentimenti e moti dell’animo.

La fotografia è affidata alla tedesca Judith Kaufmann, la quale insieme a Benesch aveva lavorato ad un’altra opera, pure uscita in Italia: La sala professori (2023) diretta dal tedesco İlker Çatak. Forse per la scelta dell’estetica fotografica e attoriale L’ultimo turno ricorda molto appunto quel film. E non solo. Dopo September 5 – La diretta che cambiò la storia del 2024 di Tim Fehlbaum, L’ultimo turno è il terzo film dove la brava Leonie Benesch ricopre il ruolo di una dipendente – insegnante, giornalista e ora infine infermiera – nel suo turno di lavoro, ma alle prese con situazioni estreme e al limite delle sue possibilità. Quindi, nonostante le indubbie capacità recitative, per chi conosce tutti e tre i lungometraggi, è facile rilevare una certa ripetitività di fondo. Il che non mina comunque le qualità filmiche dei singoli film in questione.
Le drammatiche statistiche scritte in calce prima dei titoli di coda di L’Ultimo turno, poste a conclusione di un’opera densa e che ci tiene con il fiato sospeso, sottolineano, come dicevamo, una tendenza reale e globale della crisi del settore sanitario che probabilmente non andrà migliorando se i salari e le condizioni di lavoro non andranno cambiando. Un film che per quanto sia nato da motivazioni di denuncia, riesce ad intrattenere con qualità.
In sala dal 21 agosto 2025.
L’ultimo turno (Heldin) – regia e sceneggiatura: Petra Volpe; fotografia: Judith Kaufmann; montaggio: Hansjörg Weißbrich; musiche: Emilie Levienaise-Farrouch; scenografia: ; interpreti: Leonie Benesch, Sonja Riesen, Selma Aldin, Alireza Bayram, Urs Bihler, Margherita Schoch, Urbain Guiguemdé, Elisabeth Rolli, Jürg Plüss, Lale Yavas; produzione: Filmcoopi, Tobis Film; origine: Germania, Svizzera 2025; durata: 92 minuti; distribuzione: BIM Distribuzione.
