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Voto
Tutto inizia con una festa il 16 dicembre 2016, con un nutritissimo gruppo patriarcale che si riunisce data l’età avanzata di diversi membri della famiglia, dove troviamo, tra gli altri, dai giovani figli di Marco Bellocchio, Letizia e Pier Giorgio, a Maria Luisa e Alberto, le sorelle e i fratelli di Bellocchio superstiti. Da quella riunione di cinque anni fa, prima in maniera confusa poi in modo sempre più chiaro e preciso, è nata la scintilla, l’idea di partenza di questo documentario dal titolo profetico, Marx può aspettare, che non esitiamo a definire, senza la minima esagerazione, straordinario – una delle opere più belle e toccanti consegnateci dal cinema italiano recente.
In esso si ricostruisce, alla maniera di un thriller ma anche con diversi elementi divertenti o ironici, tramite molte chiacchierate familiari e qualche rada intervista esterna (tra cui quella molto bella a Padre Virgilio Fantuzzi, purtroppo deceduto nel 2019), un evento tragico e relativamente poco noto, accaduto più di mezzo secolo fa. Il 27 dicembre 1968, il fratello gemello del regista, Camillo, si era impiccato per disperazione lasciando un biglietto di motivazioni (successivamente distrutto dal fratello maggiore Piergiorgio Bellocchio in preda al panico di una possibile visita da parte della polizia in quanto considerato all’epoca un “sovversivo”). Da sempre si era saputa l’importanza e il peso della famiglia compreso l’impatto della religione cattolica dovuta soprattutto all’influenza materna, nell’opera del regista piacentino sin dai lontani tempi del film di debutto – uno dei più maggiori di tutta la storia del cinema italiano – quei Pugni in tasca (1965) che avevano anticipato insieme a Prima della rivoluzione (1964) del collega-rivale Bernardo Bertolucci un’aria nuova nella cinematografia del nostro paese e soprattutto l’imminente contestazione studentesca del 1968. Ma non dell’importanza della morte di Camillo a 29 anni.
E appunto proprio intorno all’anno cruciale 1968 non solo per le vicende personali della famiglia Bellocchio ma, in definitiva, per tutta una generazione (compreso per chi qui scrive) che ruota questo doc., in cui troviamo la riconsiderazione di un’epoca sì utopica, molto folle e innovativa ma anche dei suoi limiti con le esagerazioni (forse necessarie ma alla lunga nefaste) che ha comportato. Certo è facile dirlo oggi ma altrettanto lo è nasconderlo sotto i fumi del mito lontano.
In questo iato sta il “sale della terra” del ripensamento di Bellocchio su quella morte, avvenuta proprio in un anno fatidico, del fratello gemello, diventato alla fine un insegnante di ginnastica dell’Isef, un “vitellone” che non si occupava di politica, voleva divertirsi ma in sé covava il seme dell’irrequietezza e della morte. E ciò in parte (in gran parte?) dovuto al suo considerarsi “normale” ovverosia inferiore rispetto ai due fratelli maggiori (pur essendo gemello di Marco era nato tre ore dopo) ai tempi persone di successo e rappresentanti dell’intellettualità gauchiste. Piergiorgio, scrittore e polemista, infatti era il capofila di un gruppo di intellettuali rivoluzionari nonché fondatore nel 1962 della celebre rivista “Quaderni Piacentini” mentre Marco era diventato già regista acclamato e discusso dopo il suo secondo film: La Cina è vicina (Leone d’Argento per la regia alla Mostra del cinema di Venezia del 1967) . Entrambi, però, nel mood del rispettivo successo e delle attese messianiche nella Rivoluzione, non avevano prestato attenzione al grido di dolore e disagio di Camillo restato a Piacenza, pensando che se la sarebbe cavata da solo. E invece no, purtroppo, il ragazzo si era suicidato anche se le due sorelle ancor oggi non credono in pieno a quel gesto disperato e cercano pietosamente (soprattutto dal loro punto di vista di ferventi cattoliche come la loro madre) di giustificarlo come un incidente.
Comunque per non togliere il piacere di chi vedrà questo film straordinario raccontando troppo, non vogliamo aggiungere altro, se non una duplice considerazione. Da una parte Marx può aspettare – frase molto azzeccata con cui Camillo rispondeva in una lettera a Marco che gli raccomandava con una serie di “cazzate rivoluzionarie” di dissolvere il suo disagio personale nel mare collettivo della militanza rivoluzionaria – si è trasformato in una straordinaria opera di psicoanalisi personale ma al tempo stesso universalmente comprensibile, una sorta di autodafé, legata a un profondo senso di colpa che adesso viene espresso e/o esorcizzato con i mezzi espressivi proprio del suo autore: il cinema. Dall’altro emerge come il suicidio del ragazzo abbia influenzato (e il film ce lo mostra esplicitamente) alcune delle opere successive del regista piacentino come ad esempio Gli occhi, la bocca (1982) o L’ora di religione (2002) – forse qualcuno lo poteva intuire ma adesso è lampante.
Né possiamo, infine, non pensare come l’ultima sequenza del film sia una riproposizione, felice e gioiosa, del bel sogno profetico con cui si concludeva Buongiorno, notte (2003) con la resurrezione di Aldo Moro fuggito dalla prigione delle BR. Marco Bellocchio sul ponte di Bobbio viene incontro alla mdp guardando in macchina mentre gli passa accanto, correndo, un personaggio che sulle spalle porta la scritta Isef … Magnifico, semplicemente – una Palma alla carriera assolutamente meritata quella che ha ricevuto al Festival di Cannes del 2021.

In sala dal 15 luglio.
Marx può aspettare – Regia e sceneggiatura: Marco Bellocchio; fotografia: Michele Cherchi Palmieri, Paolo Ferrari; montaggio: Francesca Calvelli; produzione: Kavac Film, Rai Cinema, Tenderstories; origine: Italia, 2021; durata: 96’; distribuzione: 01 Distribution.
