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Voto
Mutuando un termine tratto dalla teoria degli adattamenti e dalla traduttologia, la si potrebbe chiamare indigenizzazione. Si tratta di quel fenomeno, non raro nel mondo della serialità televisiva, dove una serie, originariamente concepita in un determinato paese, viene poi adattata, in grazia del suo successo e delle sue potenzialità, diciamo così, globali, anche in altri. Gli esempi sono innumerevoli e sarebbe inutile mettersi ad elencarli; succede, peraltro, che l’indigenizzazione acquisisca un maggior grado di notorietà, laddove il paese di arrivo disponga di potenzialità distributive, capitale simbolico e attori più noti, decisamente superiori rispetto ai contesti di partenza, prova ne sia che molte serie americane che conosciamo, provengano in origine da un altro paese, ma che abbiano raggiunto una vera notorietà e un vero successo solo una volta approdate nel mercato televisivo più potente, ossia, appunto, quello degli USA.
Tutta questa premessa per dire che la serie più vista su Netflix in questi giorni, ovvero Maschi veri, non è una serie italiana originale, ma si ispira (non so quanto liberamente, non ho visto, né – mi sia consentito dirlo – vedrò l’originale) ad una omologa e sinonimica serie spagnola che risponde al titolo di Machos alfa, talmente di successo che in Spagna è già giunta alla terza stagione (30 episodi in tutto) e l’anno scorso è stata annunciata una quarta. Capiremo prossimamente se ciò accadrà anche in Italia.
Di cosa parla Maschi veri? Sorta di via di mezzo fra Perfetti Sconosciuti (altro format copiato un po’ in tutto il mondo) e FolleMente, la serie ci dispiega le vicende di quattro coppie, appartenenti alla classe media (in un caso, almeno temporaneamente, alla classe alta) romana. Il racconto, in perfetto stile serie televisiva, è strutturato secondo il principio del lento avanzamento di ciascun filone narrativo, corrispondente in almeno tre casi su quattro alla condizione alterna e turbolenta, in cui versano le rispettive coppie. Il tutto inquadrato all’interno di un racconto cornice: una seduta di terapia di gruppo alla quale i 4 maschi, decisamente loro malgrado, hanno deciso di partecipare e grazie alla quale dovrebbero riuscire a superare quella che ormai si è soliti definire, abusandone, mascolinità tossica. Già questa premessa/cornice appare discutibile non foss’altro per il fatto che i profili maschili della serie sono diversissimi e non tutti necessariamente definibili come tossici.
Qualche breve caratterizzazione dei sette, in realtà otto, in realtà nove personaggi. Coppia 1: Massimo (Matteo Martari), dirigente televisivo che viene silurato, fra le altre cose, per atteggiamento scorretto ed eccesso di machismo, è costretto a riposizionarsi perché tutta la sua identità di maschio alfa è entrata in crisi, la compagna Daniela (Laura Adriani) è, anzi diventa, una influencer emergente che spettacolarizza ogni micro-evento della sua vita per cercare di trarne profitto: aumentare i follower e acquisire sponsor; coppia 2: Riccardo (Francesco Montanari) è un ristoratore in odore di tamarraggine, che tradisce la propria compagna, con la moglie del suo socio, ed è legato a Ilenia (Sarah Felberbaum), avvocata divorzista, ignara del tradimento, che propone al marito di “aprire” la coppia ad altri partner occasionali, senza suscitare grandi entusiasmi in Riccardo; coppia 3: Luigi (Pietro Sermonti) è un autista di autobus extraurbani (ma praticamente è sempre a casa, boh?), è un affettuosissimo padre di due figli su cui ha, evidentemente, riposizionato tutta la sua sfera libidica, visto che ignora la moglie Tiziana (Thony), istruttrice di scuola guida, desiderosa di una vita sessuale un po’ più soddisfacente, che cercherà e troverà (non vi dico con chi, ma evviva la banalità!); coppia (?) 4: Mattia (Maurizio Lastrico) lavora come guida turistica, è separato in attesa di divorzio dalla moglie Federica (Nicole Grimaudo), aspirante fotografa con alto tasso di nervosismo, e si ritrova a vivere con la figlia Emma (Alice Lupparelli), che si installa a casa sua ponendosi come obiettivo strategico quello di aiutare il padre a emanciparsi dalla ex-moglie, di cui è ancora neanche troppo segretamente innamorato, iscrivendolo a Tinder e orchestrando, non senza la ritrosia del diretto interessato, la sua rinascita sessuale.
Le varie vicende che procedono, come detto, in parallelo, un pezzettino alla volta, sono contrappuntate dai frequenti incontri dei quattro maschi, compagni di università – detto fra noi, non si capisce di quale facoltà; ma quando si parla di università, vige al cinema sempre un’estrema vaghezza (ricordate l’antropologo e soprattutto l’antropologa di Parthenope?), ma allora ben venga lo storico dell’arte Camillo Cagnato di Carlo Verdone esperto del Cavallini (in Grande, grosso e… Verdone) oppure Smetto quando voglio di Sydney Sibilia; adesso i quattro vitelloni si vedono per giocare a padel e ogni tanto parlare delle rispettive sfighe, mai derogando tuttavia da un imbarazzante livello di superficialità, accomodandosi invece su un registro blandamente comico e battutaro da far qua e là rimpiangere i cinepanettoni Non dirò ovviamente come evolvono le storie, che presentano un mix esplosivo di incongruenze e cliché, per lasciare agli spettatori e alle spettatrici quanto meno la “gioia” di scoprire che cosa succede. Senza nulla rivelare non si può tuttavia omettere un giudizio, che per non spoilerare troppo, argomenterò solo in parte: la serie, dietro una apparente disinvoltura nel parlare di sentimenti e di sesso, si rivela di uno scandaloso moralismo, anzi verrebbe da chiamarlo giustizialismo: i buoni vengono ricompensati, i cattivi vengono puniti, zone grigie non ce ne sono. E a proposito di incongruenze e cliché: vogliamo parlare delle donne? Non ce n’è neanche una credibile, né sul piano sociale, né sul piano etico, né sul piano psicologico.
Resta un grosso rammarico: la serie è prodotta da Matteo Rovere, figura di indubbio spicco nel panorama produttivo italiano, fondatore insieme a Sydney Sibilia di Groenlandia. Forse perché si sono troppo ingranditi (leggo che fanno un fatturato fra i 20 e i 30 milioni di Euro). Eppure, senza stare, di nuovo, a scomodare Smetto quando voglio e relativi sequel – ancora quest’anno Groenlandia ha prodotto, fra serie e film, Hanno ucciso l’Uomo Ragno la serie sugli 883, Diva futura e Supersex, e molto altro, che mi sono parsi di un livello decisamente superiore.
Su Netflix dal 21 maggio 2025.
Maschi veri – Regia: Letizia Lamartire, Matteo Oleotto; sceneggiatura: Furio Andreotti, Giulia Calenda, Ugo Ripamonti; fotografia: Valerio Azzali; montaggio: Michele Gallone, Giorgia Currà, Pietro Morana; interpreti: Matteo Martari, Francesco Montanari, Pietro Sermonti, Maurizio Lastrico, Sarah Felberbaum, Nicole Grimaudo, Thony, Laura Adriani; produzione: Matteo Rovere per Groenlandia; origine: Italia, 2025; durata: 8 puntate (27′-37′); distribuzione: Netflix.
