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Voto
Una stanza di notte ripresa a macchina fissa, poi dopo che l’inquieto sguardo dello spettatore attende, lungamente, nel buio qualcosa che scuota quel pacioso long-take, domandandosi “e allora?”, d’improvviso rimbomba un forte rumore sordo che sveglia d’improvviso una donna. La quale si alza lentamente dal suo letto e vaga nella penombra seguita dalla mdp. Riconosciamo la sagoma della protagonista del film, una coltivatrice di fiori scozzese immigrata in Bolivia, Jessica, alias Tilda Swinton che sappiamo essere la musa di un certo cinema d’autore particolarmente raffinato (e qui anche nel ruolo di produttrice esecutiva del film stesso). Stacco all’esterno: uno spiazzo nell’incerta luce dell’alba con della auto parcheggiate nel quale avanza frontalmente la cinepresa mentre uno dopo l’altro scattano gli allarmi delle automobili, sino a comporre un disturbante concerto cacofonico che rompe il silenzio dell’ambiente.
È così che comincia, con questo incipit sorprendente e fantasmatico a mo’ di manifesto, Memoria di Apichatpong Weerasethakul, “Premio della Giuria” al Festival di Cannes del 2021 che ora arriva, seppure in ritardo, anche nelle sale italiane. Da quanto abbiamo tentato di descrivere a parole, il film potrebbe sembrare dunque essere un mistery o magari forse un horror. Ma ovviamente chi conosce già la filmografia del grande autore thailandese – da Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (2010, Palma d’oro al Festival di Cannes) al meraviglioso Cemetery of Splendour (2015, sempre presentato a Cannes), tanto per citare due titoli particolarmente significativi della sua carriera – sa bene che il cinema di genere è qualcosa che gli è profondamente alieno. E usiamo questa parola non a caso, come capirà chi avrà il piacere di perdersi nelle immagini e negli incunaboli di un’opera che aspira a percorre ed esplorare strade completamente diverse da quelle canoniche del cinema mainstream. Ciò già da subito, a partire dalla trama dove sono le sensazioni più che i nessi e le spiegazioni narrative degli eventi a guidare come una stella polare il cammino della nostra protagonista e delle storie che vive.
Venuta a Bogotá a visitare la sorella malata, la botanica Jessica apprende da parte di una ricercatrice (Jeanne Balibar) nello stesso ospedale in cui si trova la congiunta, del ritrovamento di scheletri millenari e di un progetto di scavo in corso nella zona.
Infastidita dal ripetersi di quel rumore misterioso di cui si è detto all’inizio, cerca aiuto in un giovane ingegnere del suono di nome Hernán che riesce dopo alcuni tentativi infruttuosi a ricreare quel brontolio inquietante come se venisse dall’inferno al centro della terra. Trai i due scatta anche una relazione amichevole ma improvvisamente, poco prima di fare un viaggio insieme, Jessica, andando a cercare il ragazzo al suo posto di lavoro, scopre che nessuno lì lo conosce né sappia chi sia. È uno dei tanti enigmi di cui si racconta nel film.

Lasciata la città e la famiglia della sorella per mettersi in un viaggio verso casa, la protagonista ad un certo punto incontra un contadino-pescatore di mezza età, anche lui di nome Hernán dalla vita molto semplice, ascetica e appartata, lontana quindi da qualunque tentazione della modernità, potrebbe benissimo essere un monaco buddista ma non lo è. Nasce quasi immediatamente una specie di connessione magica tra le due figure, fatta di impressioni comuni e di ricordi: l’uomo sarebbe – si dice nel film – un hard disk che immagazzina i sentimenti e le sensazioni, la donna, invece, l’antenna che riesce a percepire i segnali lanciati nel cosmo. A coronamento di questo incontro Jessica risente il suono misterioso che a questo punto sembrerebbe accettare mentre accade qualcosa di assolutamente inaspettato che ci instrada verso la conclusione del film. Conclusione che, forse, non è proprio tale, almeno non nel senso tradizionale del termine e della nostra filosofia occidentale cartesiana.

Dunque, i temi della reincarnazione, delle anime fantasmatiche, dei segreti dell’esistenza e del cosmo, del rapporto sonno-morte e della memoria (da ciò il titolo programmatico del film) che aveva mostrato e narrato nel suo precedente cinema e all’interno della jungla del suo paese, ritornano intatti e incontaminati in un continente diverso, il Sud America, e in una lingua che non è il thailandese (è il primo film di Apichatpong girato in inglese misto allo spagnolo). Essi si intrecciano coerentemente ad uno stile da punto di vista visuale molto ricercato, meditabondo e anti-narrativo (anche se ovviamente si danno delle svolte e degli eventi), unito ad un ritmo lento, autoriflessivo. Insomma un’esperienza mistica e piacevole – non come, per esempio, prendere un volo Ryanair d’estate.
L’occhio della mdp con i suoi (spesso) rarefatti movimenti o i momenti di stallo, su cui si fonda cesellandolo l’impianto di una messa in scena “desiderante” ad ambiziosa – pretende un’attenzione estrema e uno sforzo di pazienza. È dunque demandato ad un virtuale spettatore interessato e consapevole il compito, per così dire, di completare l’operazione del film e del suo artefice, sempre che si senta catturato e affascinato dal quando coglie e percepisce.
A partire da questa ineludibile premessa, la scommessa – rischiosa – di Apichatpong Weerasethakul ci sembra pienamente riuscita, sempre a voler accettare i suoi presupposti visivi eminentemente pittorici e la Weltanschauung e l’intento spirituale e cognitivo che la guida. Nemmeno davanti ad un plotone d’esecuzione, consiglieremmo Memoria ad un talebano dei film d’azione (anche quelli ben fatti) o delle produzioni di cine fumetti. Non si vive, però, di solo Tom Cruise Maverick o del Dottor Strange. A costo di sembrare il solito intellettuale aristocratico e snob, sono convinto che il cinema attuale avrebbe altamente bisogno di più Apichatpong.
In sala dal 16 giugno
Su Mubi dal 5 agosto
Cast & Credits
Memoria – Regia e sceneggiatura: Apichatpong Weerasethakul; fotografia: Sayombhu Mukdeeprom; montaggio: Lee Chatametikool; musica: César López; interpreti: Tilda Swinton, Elkin Díaz, Jeanne Balibar, Juan Pablo Urrego, Daniel Gimenez Cacho, Agnes Brekke, Jerónimo Barón, Constanza Gutierrez; produzione: Anna Sanders Films, Burning Blue, Illuminations Films, Kick the Machine, Centre national du cinéma et de l’image animée, Eficine, L’Aide aux Cinémas du Monde, Ministère des Affaires étrangères et du Développement International, Piano, Proimágenes Colombia, The Match Factory; origine: Colombia, Thailandia, Gran Bretagna, Messico, Francia, 2021; durata: 136′; distribuzione: Academy Two e Mubi (video).
