Quando si parla del cinema di Paul Schrader non si può giustamente non parlare della motivazione principale, l’ossessione di una vita intera, che da sempre l’ha spinto a fare cinema. Possiamo leggere molti dei suoi film, già a partire dalla sceneggiatura scritta per Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese, come degli studi caratteriali su emblematici protagonisti alle prese con interni conflitti morali e sulla loro tragica, smaniosa ricerca di una qualche forma di redenzione. Schrader stesso ha più volte narrato come la visione di Pickpocket (1959) di Robert Bresson lo abbia sconvolto nel profondo e abbia segnato la sua iniziazione alla regia. Sulla stessa linea, anche se in forma diversa, possiamo leggere il recente dramma Oh, Canada – I tradimenti presentato allo scorso Festival di Cannes e che, come molti film del regista americano, è un adattamento letterario. Per la seconda volta il regista americano porta sullo schermo un romanzo (in questo caso si tratta di Foregone (2021, I tradimenti, Einaudi, 2022), del suo amico e scrittore preferito, Russel Banks (1940-2023). La prima volta era stata con il molto premiato Affliction (1997), una delle sue opere migliori. E per l’occasione torna a lavorare con l’attore Richard Gere, con il quale non aveva più girato un film dai tempi di American Gigolo (1980).
Leonard Fife (Richard Gere), il protagonista – nient’altro che l’alter ego di Schrader stesso –, è un famoso documentarista canadese che ha costruito la sua carriera di regista secondo le regole della presa diretta del cinéma vérité, mostrando nei suoi film nient’altro che la realtà consegnata dalle immagini, e diventando famoso proprio pretendendo di svelare nei suoi documentari quella verità. Ora che è malato terminale di cancro decide, dopo aver passato un’intera vita ingannando sé stesso e gli altri, che è arrivato anche per lui il momento di confessarsi. Quello che gli pesa è soprattutto il suo giovanile passato americano, a cui quasi nessuno ormai sembra essere interessato da quando si è stabilito a vivere in Canada. La sua ferma decisione di rivelare la verità la deve soprattutto alla sua amata moglie Emma (Uma Thurman), a cui è legato ormai da molti anni. Perché Fife, che potrebbe benissimo passare alla storia come eroe e attivista che si è sempre battuto per la causa giusta, in verità, nasconde da sempre un segreto: come altri sessantamila americani disertori, anche lui, si rifugiò in Canada per evitare di partire soldato per il Vietnam.
Il film inizia con la scena dell’arrivo della troupe incaricata di girare un film sulla vita del rinomato regista Leonard Fife, e i preparativi per le riprese di questa, probabilmente ultima e finale, intervista. La macchina da presa posizionata, Fife – un Gere pallido ed emaciato, come forse non lo abbiamo mai visto sullo schermo – grazie alla sua infermiera e alle amorevoli attenzioni della moglie, viene sistemato sulla sedia a rotelle. La stanza dove si svolgono le riprese è buia, Fife è al centro del cerchio luminoso: la scena ricorda il palcoscenico di un teatro. Inizia il racconto. Si torna indietro nel tempo, precisamente agli anni Sessanta. In teoria Fife dovrebbe rispondere alle domande dei suoi ex studenti Malcolm (Michael Imperioli) e Diana (Victoria Hill), ora registi del film, ma infine è lui che, guardando in faccia la moglie dal volto preoccupato, le confida del suo passato, le rivela quello che lei aveva sempre pensato di conoscere bene, senza però in verità sapere. Non è l’onestà dell’artista che Fife difende nella sua ultima confessione, ma l’onesta dell’uomo che ama e vuole farsi amare per quello che è, ed è stato nel passato. Non per l’immagine che si è costruito.

Schrader è molto attento a riconsegnare nel film i dialoghi e la frammentazione cronologica già presente nell’opera di Banks: da brevi squarci in flashback, le immagini della vita del protagonista si allungano via via che procede il racconto, iniziato con il ricordo della prima moglie nella ricca casa dei suoceri in Virginia. Qui il giovane Fife viene impersonato in alternanza dal più giovane attore Jacob Elordi o da Richard Gere senza un vero e proprio riconoscibile criterio. Uno stratagemma metalinguistico che consente a Schrader di mantenere un legame diretto fra le due diverse temporalità filmiche, costruendo un ponte visuale fra passato e presente. L’intervista-confessione prosegue con il ricordo dell’allettante offerta di lavoro del suocero, la visita medica per il servizio militare, la fuga verso il Canada e le tante relazioni amorose. Proseguendo nella narrazione, proprio quando sembra che lentamente il mosaico della vita (a colori e in bianco e nero, con scene girate in vari formati e in diversi gradi di tonalità) prenda forma, Fife/Gere comincia a confondersi, la mente zoppica, ritorna indietro, e il susseguirsi degli eventi comincia a perdere in chiarezza logica e temporale. Malcolm ed Emma cominciano a mettere in dubbio che i fatti raccontati siano effettivamente avvenuti, quasi a proteggere l’uomo dalla scomoda verità dei suoi ricordi.
Come accennavamo, in questo film, Paul Schrader riprende temi dei suoi film precedenti: il protagonista si confronta con un ingombrante passato come anche, per citare solo i più recenti, in Il collezionista di carte (2021) o in Il maestro giardiniere) e cerca, in un atto di finale ‘autodistruzione’ – che qui acquista la forma di una demolizione della fama e del merito – la propria redenzione. Per di più, sembra quasi che in Oh, Canada – I tradimenti il regista voglia spingersi ancora più all’estremo, realizzando il film più personale e più intimo della sua carriera. Il tema della vecchiaia e della morte vengono affrontati con estrema sensibilità senza mai mancare però di realismo. Filmando un Fife morente, Paul Schrader si confronta e si libera delle sue stesse paure sulla morte, arrivando se non all’apoteosi, al limite, oltre il quale non si va, della sua scrittura filmica.
Per quanto quest’ultima opera, insolitamente per un film del regista americano, sia priva di violenza (se non consideriamo la morte un atto violento) o di colpi di scena ad effetto, ma anzi scorra fluida come il racconto da cui è tratta, ci ritroviamo a guardare un film impeccabile, magnifico, altamente convincente; e Schrader si riafferma essere con pochi e semplici accorgimenti, come sempre, un grande, sommo maestro della messa in scena.
In sala dal 16 gennaio 2025.
Oh, Canada – I tradimenti (Oh, Canada) – regia e sceneggiatura: Paul Schrader; fotografia: Andrew Wonder; montaggio: Benjamin Rodriguez Jr.; scenografia: Deborah Jensen; musica: Phosphorescent; interpreti: Richard Gere, Jacob Elordi, Uma Thurman, Victoria Hill, Michael Imperioli, Penelope Mitchell, Kristine Froseth; produzione: Foregone Film PSC; origine: Usa, 2024; durata: 91 minuti; distribuzione: Be Water e Medusa.
