Paradiso in vendita di Luca Barbareschi

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Trova finalmente la sala, in una delle più torride estati degli ultimi già torridi anni (e solo per questa temerarietà da samurai verrebbe voglia di augurargli ogni fortuna), Paradiso in vendita diretto da Luca Barbareschi; che era passato in concorso all’ultima Festa del cinema di Roma assieme, tra gli italiani, a Berlinguer. La grande ambizione. A quei tempi, ci apparve simile a un oggetto filmico non identificato, tanto che  faticammo a inquadrarlo in una qualsivoglia categoria estetica, dapprincipio. Al punto che ci acconciammo a farci solleticare da una certa vulgata, un po’ corriva, che pure si udiva però nei corridoi dell’Auditorium – Parco della musica, quella intesa ad accreditare la logica della “lottizzazione” partitica, che in Italia del resto è sempre in voga. Come dire: dopo aver destinato lo slot del “film d’apertura” al ritratto di un’icona del comunismo italiano, diamo ora spazio a uno dei più eminenti “intellettuali organici” del campo avverso (al tempo del “melonismo” imperante). Una logica piuttosto mediocre ma, come disse Giulio Andreotti, per rimanere in tema: “a pensar male si va all’inferno ma quasi sempre ci si azzecca”. Quel che è certo – concludevamo, e continuiamo a pensare – è che, se il film battente bandiera rossa ci era parsa un’opera sostanzialmente inerte, il film di cui ci occupiamo ora ci sembra persino modesto.
Intanto – dicevamo – c’è un problema di catalogazione di “genere”. Presentato nella cartella stampa della Festa di Roma come una “commedia all’italiana”, a noi è sembrata piuttosto una via di mezzo tra una favola edulcorata ed edificante (per lo meno nelle intenzioni) e una farsa zeppa di stereotipi, pure obsoleti.
Ma andiamo per ordine. Il film nasce da un fatto di cronaca politica (ai confini della fantapolitica, però): nel 2015, il governo greco, pressato dalle politiche di austerity dell’Unione europea, e sprofondato perciò in una profonda crisi economica, pensò di vendere alcune isole dell’Egeo. Da quel ricordo, il regista-produttore-attore nato a Montevideo, decide di ricavare una storia originale, ambientata sull’isola di Filicudi di cui è cittadino onorario. Ed è forse proprio questa la cifra più interessante del film di cui ci stiamo occupando, magari malgrado le intenzioni di chi lo ha concepito: un atto d’amore di un celeberrimo uomo di spettacolo e di cultura (Barbareschi, oltre a essere direttore artistico di uno dei più prestigiosi poli di cultura italiani, il Teatro Eliseo, è anche buon amico di due giganti come David Mamet e Roman Polansky, e loro “mecenate”) nei confronti del suo buen retiro siciliano, e alla veracità delle sue tradizioni culturali. Ce lo dice l’occhio da etnografo con cui osserva i barbutissimi pescatori locali, le panoramiche con le quali accarezza i suoi panorami, e i materiali di repertorio che narrano delle pagine indelebili di quel posto; segnatamente le “giornate di Filicudi” allorquando la popolazione isolana si ribellò nel maggio del 1971 all’invio in loco di 15 boss mafiosi in confino. Ciò nel film si vede – in un inserto per la verità un po’ incongruo rispetto al resto – come sono mostrate altre immagini di archivio che ritraggono le antiche cave di pietra pomice, che negli anni ’50 del secolo scorso provocò molti morti di silicosi sulla vicina isola di Lipari.

Donatella Finocchiaro e Bruno Tedeschini

La fabula del film narra invece di uno squalo della finanza, in odor di diventare persino ministro delle finanze francese, che viene spedito sull’isola di Filicudi (che per ragioni drammaturgiche viene qui ribattezzata Fenicusa) al fine di convincere, con le buone o con le cattive, i recalcitranti isolani a cedere le proprie case e i propri terreni agli speculatori transalpini, i quali l’avrebbero acquistata dal governo italiano in bancarotta. E fino a qui tutto bene: figuriamoci, il più noto sceneggiatore del Neorealismo non era giunto al punto di far volare i poveri milanesi sulle scope perché il suo apologo politico fosse più vero del vero? Il problema però è che la storia qui sopra descritta, serve a Barbareschi a imbastire una disfida Italia-Francia a colpi di cliché i più frusti e vieti: polpo crudo vs ostriche, olio di oliva vs burro, persino Odissea vs I tre moschettieri… Insomma una guerra di nazionalismi fuori tempo massimo, con una serie di anacronismi che fiaccano ancor di più le pretese di “sospensione dell’incredulità”: come si può pensare che nel 2024 in un’isola del mediterraneo si ignori il significato di Wi-Fi? Come pretendere di suscitare il riso traducendo Airbnb con “eir-bi-en-bi”? Chi può divertirsi davanti a una signora che pronuncia “depilant” la parola dépliant? E – infine – a che immaginario attinge il bambino che dice e ripete “Forza Schillaci?” in contrasto con il “novello Napoleone” che vorrebbe conquistare l’isoletta sicula costringendolo a indossare una maglietta di Zidane?

La protesta popolare contro l’invasione di quelli che vengono più volte definiti i “mangia-lumache” non solo non ha nulla di attuale (quanto sarebbe stato più pertinente, semmai, un umorismo sulle gabbie politico-economiche di Bruxelles e di Francoforte), e derapa qua e là in un’ironia dai toni che ci appaiono malcelatamente sciovinisti. La nostra valutazione di Paradiso in vendita non è quindi positiva. E la politica, in questo caso, non c’entra per nulla.

In Concorso alla Festa del Cinema di Roma 2024.
In sala dal 24 luglio 2025


Paradiso in vendita Regia: Luca Barbareschi; soggetto: Brando Cugia, Valerio Cugia, Damiano Bruè, Lisa Riccardi; sceneggiatura: Damiano Bruè, Lisa Riccardi; fotografia: Marco Pieroni; montaggio: Karolina Maciejewska; scenografia: Paolo Bonfini; costumi: Fabio Cicolani; musiche: Kaballà /Antonio Vasta / Armand Amar; interpreti: Bruno Todeschini, Donatella Finocchiaro, Domenico Centamore, Matteo Gulino, Martina Ziami, Ludovico Caldarera, Antonio Ribisi La Spina, Lollo Franco, Roberto Pizzo, Francesco Giulio Cerilli, Vito Ubaldini, Stefania Blandeburgo, Vincent Nemeth; produzione: Eliseo Entertainment con Rai Cinema in coproduzione con Leon Film; origine: Italia/Francia, 2024; durata: 107 minuti; distribuzione: Altre Storie.  

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