Viene dal teatro Celine Song, autrice e regista del suo primo film Past Lives, passato in Concorso, dopo esser stato presentato e aver raccolto buonissima stampa a Sundance. Nel modo di girare la regista non sembra affatto teatrale, se c’è traccia di teatro la troviamo nella struttura chiaramente tripartita, il film è più ancora di quanto pretendano i canoni della drammaturgia hollywoodiana classica chiaramente diviso in tre atti, separati l’uno dall’altro da dodici anni.
Ma prima che parta il primo atto, c’è un brevissimo prologo di folgorante bellezza: due uomini e una donna al bancone del bar, la macchina da presa zooma lentamente su di loro (due asiatici e un occidentale) e una voce fuori campo si domanda in che relazione questi personaggi siano fra di loro, vagliando tutte le possibilità, fin quando il campo si restringe sul volto della donna, seduta in mezzo fra i due uomini, che guarda in macchina. Sarà lei il fulcro della storia che ci accingiamo a vedere.
Il primo atto racconta della grande amicizia fra due dodicenni, una bambina e un bambino sono ancora piccoli perché questa relazione si possa chiamare amore, ma certo è una relazione decisamente esclusiva quella fra i due. Peccato che la conoscenza sia già nel segno del commiato perché la famiglia di lei, un regista e una pittrice, ha deciso di lasciare Seoul e di trasferirsi in Canada. Il commiato laconico fra i due ragazzini, in una strada in salita a un bivio è una scena che resterà nella memoria di entrambi, nella memoria degli spettatori. Un particolare di non poco conto: trasferendosi in Canada la ragazzina deve cambiare nome anche per facilitare l’accoglienza a scuola, via il nome scioglilingua coreano, d’ora innanzi si chiamerà Nora. E Nora chiunque ne sappia di teatro sa che non è un nome scelto a caso.
Dodici anni dopo: lui studia ingegneria, vive ancora in casa con i suoi, non sembra avere una vita particolarmente esaltante, sbevazza con gli amici. Lei è una drammaturga alle prime armi, ma piena di belle promesse, vive a New York in un appartamento bohemien, ma sta per trasferirsi a Montauk, in una residenza per giovani artisti. Tramite i miracoli di internet, riescono a ritrovarsi e danno inizio a una intensa relazione virtuale che lei a un certo punto decide di interrompere, con lo scorno e il dispiacere di lui. Perché Nora vuole chiudere? Perché capisce che la cosa la sta prendendo troppo, ma da donna consapevole ed emancipata qual è capisce che la relazione finirebbe per essere ostativa a una piena realizzazione del proprio sé, delle proprie ambizioni personali e professionali, che possono compiersi solo nell’hic et nunc, a NYC. Lui che è un po’ un salame non può fare altro che subire questa decisione, è troppo imbranato per mettersi su un aereo e andare da lei.
Il terzo atto: finalmente si rivedono, lui arriva a NYC, nel frattempo lei è sposata con un collega, Arthur, lui è semi-fidanzato. E qui potrebbe scoppiare un casino che farebbe saltare tutti gli equilibri, così prevedono, di solito, i melodrammi. Ma il film è sì un melodramma, un melodramma civile però (una specie di ossimoro) che testimonia un dato, se vogliamo, molto moderno: la capacità di autocontrollo e di rispetto di tutti e tre i personaggi – una civiltà assolutamente encomiabile ma a tratti irritante, lo spettatore vorrebbe vedere i personaggi, o almeno uno o due di loro un po’ più sanguigni, vivaddio.

Il film è scritto molto molto bene, la regista nel terzo atto si permette addirittura di raccontare New York in un’ottica che non possiamo non definire turistica, ma ce la fa senza scadere nel kitsch, nel déjà vu alla Woody Allen. Il film, a tratti, presenta anche dei pregevoli spunti filosofici sul ruolo della fortuna, del caso nel determinare la vita degli individui. I due soggetti di origine coreana lo chiamano in-yun, una specie di karma che stabilisce a livello quasi metafisico la compatibilità fra due diversi soggetti, ottomila strati di compatibilità, dicono i coreani, perché un rapporto funzioni. Detto fra noi: che grandissima palla, lo in-yun!
Il titolo, lo si sarà capito, si può leggere e tradurre in due sensi che non si escludono affatto. Vite passate e il passato vive. Comunque si mettano le cose si tratta della relazione che il passato istituisce con il presente, di quanto il passato pesa sul presente. Di questo tratta il film di Celine Song che potrebbe essere premiato proprio per la sceneggiatura.
Cast & Credits
Past Lives – Regia, sceneggiatura: Celine Song; fotografia: Shabier Kirchner; montaggio: Keith Fraase; interpreti: Greta Lee (Nora), Teo Hoo (Hae Sung), John Magaro (Arthur); produzione: 2AM, Killer Films; origine: USA, 2022; durata: 105’