Paul a Mayerling – Un ritratto di Antonio Pettinelli

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Paul a Mayerling- Un ritratto il documentario che Antonio Pettinelli ha dedicato a Paul Vecchiali, il grande cineasta francese scomparso il 18 gennaio del 2023 a quasi 93 anni, si presenta come un frammento di memoria raccolta ed elaborata nel corso di un tempo lungo, sedici anni tra l’inizio delle riprese e la sua presentazione come Evento speciale al Festival del cinema di Pesaro appena concluso; un ritratto in divenire composto dalle immagini dei backstage girati dal regista italiano per i film Les gens d’en-bas (2010) e Retour a Mayerling (2011) e da riprese realizzate successivamente, a ridosso della morte dell’autore d Encore-Once More.

E probabilmente non poteva essere altrimenti, visto che lunga e prolifica è stata la produzione artistica di Vecchiali, sempre interconnessa con l’esperienza vissuta e attraversata nella forma espansa di una rete di incontri, relazioni, luoghi. Questi ultimi tre termini coniugati al plurale  sembrano essere le possibili chiavi d’accesso che Pettinelli mette in risalto lungo l’arco del racconto, a cominciare dal titolo: si potrebbe dire quasi Paul avant Vecchiali, il bambino cinefilo prima del cineasta, colui che si innamorò del cinema vedendo una foto pubblicitaria di Danielle Darrieux nel film Mayerling di Anatole Litvak e che  eleggerà quel titolo, dopo averlo visto in una duplice proiezione consecutiva,  a sua magnifica ossessione cinefila, tanto da volerne dare il nome, molti anni dopo, alla sua casa nel Sud della Francia, divenuta nel frattempo anche il set delle sue ultime opere. Il modo in cui lo sguardo di Pettinelli è arrivato ad essere accolto nella vita e nei set di Vecchiali passa attraverso uno scambio diretto via chat di confidenze e riflessioni proprio sul cinema, con il passaggio dalla dimensione virtuale di un carteggio digitale alla concretezza fisica e materica immersa nelle luce e nello spazio tra un ciak e l’altro. Fuori dalle loro prestazioni performative e professionali parlano anche i collaboratori, i tecnici, gli attori che hanno ruotato intorno alla personalità “mondo” di Vecchiali, al suo incarnare egli stesso la necessità e la manifestazione, sempre più urgente e stringente, di una poetica, di un nucleo affettivo, di una pratica di condivisione sul piano lavorativo e su quello personale.

La scelta di un materiale dinamico e in corso d’opera come quello del backstage, che nel frattempo è divento archivio nella prospettiva non di uno, ma di due registi, è poi ulteriormente messo in discussione, anzi sotto osservazione, dall’ulteriore sguardo in campo di Vecchiali, che viene filmato, più anziano e segnato, mentre guarda se stesso sullo schermo di un computer. Quella che vede scorrere non è però semplicemente la testimonianza extradiegetica del suo cinema giunto all’essenzialità degli strumenti espressivi e dei mezzi economici ( questi ultimi limitati da una posizione sempre più indipendente, fino al  vero e proprio autofinanziamento di ogni progetto); si tratta al vero di una tranche de vie straripante di primi e primissimi piani, considerazioni, azioni e reazioni ravvicinante nell’istante immediatamente dopo aver girato una scena e distanziate dallo spazio e dal tempo di un’altra età.

Pensieri e parole che riguardano le prime esperienze amorose e sessuali, la formazione di un immaginario sbocciato e coltivato nel buio di una sala ( mentre non ci sono particolari riferimenti ad altri cineasti a lui antecedenti o contemporanei), la frenesia di un piacere non solo sublimato, ma esperito in quella casa che è il riflesso della visione e lo specchio della vita. Nel dispiegarsi di un tono tutto sommato sommesso, sussurrato, che sta più nelle intercapedini delle albe e dei tramonti-  commentate senza forzature o sottolineature dalle musiche di mood jazzistico composte da Ersilia Prosperi– a prevalere e restare impressi, nel senso letterale di qualcosa che resta impresso nell’impronta digitale della mdp- sono i momenti contemplativi, le pause, le sospensioni. I silenzi che si stagliano sul contro campo del Paul più anziano, de-saturato nel bianco e nero fantasmatico di un uomo che ricorda, sono spesso accompagnati solo da un (rin)pianto di fronte alla questione del manipolare gli altri o da un apparentemente sentenzioso, ma in realtà semplicemente constatato, “è stato detto tutto”. Con accezioni e sfumature diverse, però. La testimonianza più penetrante e intima è dunque quella di Hélène Surgère, alla  quale viene dedicato un blocco della sistematica suddivisione in piccoli capitoli ( strutturati prevalentemente per aree tematiche, e che scandiscono l’andatura diaristica ): è lei, la protagonista di alcuni dei suoi film più significativi e celebrati, come Femmes Femmes e Corpo a cuore, del quale appare un liminale fotogramma a esplicare la necessità di Vecchiali di cogliere in flagranza l’istante cinematografico, a dire le cose più toccanti. Perché in fondo è stata la musa perduta e ritrovata, il doppio della sua Danielle Darrieux dell’ infanzia, il rimpianto di un amore maturo rimasto nella zona post mélo di una non possibilità.

Il modo in cui porta alla luce gli aspetti problematici e contraddittori di un personaggio cosi strabordante e onnivoro ( acquistano una valenza simbolica le molte e frequenti riprese di conviviali tavolate con troupe e interpreti) è però pieno di una grazia, di una leggerezza, di una misura dove si incontrano la spontaneità della bambina e la pacatezza della vecchiaia. Se ci sono rimorso o struggimento, questi sentimenti sono da un’altra parte, perché Hélène, che dichiara di non avere  le propensione melodrammatica ed eccessiva del suo amico e mentore, non è rimasta attaccata al passato, né tantomeno al volerne scandagliare lo stato compiaciuto di malinconia e di nostalgia. Vecchiali, che tra l’altro le è sopravvissuto, sembra nutrirsi di ciò che è stato in quanto uomo e artista, nel costante esercizio di riscriverlo e di rimetterlo in scena. E il dinamismo compulsivo e accelerato delle riprese, fino ad arrivare a concepire e realizzare un film in un solo giorno, fa il palio con la durata espansa dell’esistenza.

Il fantasmatico dello straordinario cinematografico e il concreto dell’ordinario quotidiano si inseguono in continuazione in questo film documentario, che vuole arrivare, e far arrivare chi lo guarda, al cinema di Paul Vecchiali non per mezzo dell’enunciazione cronologica e didascalica  di una filmografia, ma tramite il contatto, in presa diretta e in differita, con il corpo/cuore psichico ed emotivo dell’uomo cineasta, in un ritratto mosso tra trasparenti aperture e sfuggenti opacità.


Paul a Mayerling – Un ritratto – Regia, sceneggiatura, fotografia e montaggio: Antonio Pettinelli; musiche: Ersilia Prosperi; interpreti: Paul Vecchiali, Hélène Surgère, Malik Saad, Mariane Basler, Philippe Bottiglione, Roland Vincent; produzione: Antonio Pettinelli; origine: Italia, 2025; durata: 78 minuti.

 

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