Per amore di una donna di Guido Chiesa

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Ormai da molti anni a questa parte il torinese Guido Chiesa è considerato e di fatto diventato un regista di commedia, tanto è vero che nella passata settimana di Pasqua è uscito l’ultimo suo lavoro intitolato 30 Notti con il mio Ex , una più che discreta hit di pubblico. Ma chi conosce la sua filmografia da più tempo, sa bene che è stato anche uno degli autori più interessanti ed engagé della generazione di mezzo, quella a cavallo del cambio di millennio, quando ha realizzato film come, ad esempio, Il caso Martello (1991), Materiale resistente (1995, doc. in co-regia con Davide Ferrario), Il partigiano Johnny (2000) o Lavorare con lentezza (2004). Con Per amore di una donna, presentato a febbraio in Concorso al Festival di Bari, co-sceneggiato insieme alla sua compagna Nicoletta Micheli e girato nel 2023, ha ripreso il filo di una poetica autoriale che sembrava essersi conclusa nel 2010 con Io sono con te. Anche perché proprio di quel film – anch’esso scritto insieme a Micheli – questa sua opera sembra essere una sorta di continuazione, dato che è contraddistinta, come la precedente, dalla presenza di una donna forte e fuori dagli schemi (allora era addirittura Maria di Nazareth riletta in una chiave tutta particolare) oltre che da una location simile, anche se molto storicamente distante, quella della Palestina.

Tratto ma solo parzialmente come si vedrà, dal romanzo omonimo (pubblicato in Italia nel 1999 da Sperling & Kupfer) del noto scrittore israeliano, recentemente deceduto, Meir Shalev (1948 – 2023), Per amore di una donna inizia nel 1978 per seguire le vicende di una inquieta, infelice hostess americana quarantenne, Esther Horwitz (Mili Avital). La donna ha da poco perso la madre e da cui ha ricevuto una ultima misteriosa lettera, scritta molti anni prima, in cui le viene chiesto di rintracciare una persona vissuta in Palestina negli anni Trenta, territorio all’epoca sotto mandato britannico, quando ancora gli arabi e gli emigrati ebrei coabitavano in pace anche se la vita da coloni di Kibbuz era parecchio dura. E, a quanto apprendiamo, quella misteriosa figura lontana nel tempo potrebbe custodire un segreto legato al passato di Esther che con la madre non ha avuto mai dei rapporti particolarmente buoni. Giunta allora in Israele, la donna incontra e si avvale dell’aiuto di un professore universitario, Zayde Rabinovich (Ori Pfeffer), anche lui segnato oltre che da problemi di salute (è malato di leucemia) da pesanti traumi d’infanzia e di famiglia. Le indagini di questi due personaggi, tra cui piano piano comincia ad emergere un sentimento di affetto se non qualcosa di più, si alternano in flash-back ad una storia parallela ambientata negli anni Trenta-Quaranta dove si narra, invece, una vicenda svoltasi in un villaggio di coloni ebrei. Morta tragicamente la moglie, Moshe Rabinovich (Alban Ukaj), un contadino con due bambini piccoli, accoglie in casa Yehudit Salomon (Ana Ularu), una giovane donna molto forte e volitiva che da quel momento cambia profondamente la vita dell’uomo e quella di altri due vicini: il bizzarro sognatore Yaakov (Marc Rissmann) ornitologo dilettante e il concreto, ricco commerciante Globerman (Serhii Kysil). Tutti e tre sono innamorati della ragazza, tutti e tre la vorrebbero sposare – e poi nasce un bambino … oltre a ulteriori complicazioni sino alla fine della Seconda guerra mondiale e ancora altro.

Mili Avital e Ori Pfeffer

Sullo schermo passano dunque gli eventi che riguardano i due distinti momenti storici e che si intrecciano sempre più velocemente con il progredire dell’indagine e del rapporto tra Esther e Zayde, fin quando non andranno a scoprire una verità sconvolgente che ha ovviamente a che fare con loro.

Come ha dichiarato Guido Chiesa, i due livelli su cui si muove il film, hanno avuto origini diverse: “La vicenda degli anni ’30 è tratta dal romanzo di Meir Shalev [], l’indagine di Esther, liberamente ispirata dal libro, è invece frutto della nostra invenzione e rappresenta, per certi aspetti, il nostro punto di vista di italiani, lontani dalla cultura e dall’esperienza di quegli ebrei che all’inizio del ‘900 lasciarono l’Europa per sfuggire alle persecuzioni, con il progetto di costruire una nuova società, egualitaria e solidale”.

Ana Ularu (al centro)

Girato in inglese e in ebraico con un cast internazionale e con una notevole attenzione visiva (fotografia di Emanuele Pasquet) alla resa dei due momenti storici diversi, Per amore di una donna segna, come si accennava, il come-back del regista torinese ad un modello di cinema con cui ritornare alle proprie origini più ambiziose e autoriali per rappresentare la resilienza e la determinazione femminile in un contesto storico e sociale dominato dagli uomini. Se il film, talvolta, non si aggrovigliasse troppo nei dettagli del racconto, soprattutto in quello ambientato negli anni Trenta, oppure negli incastri e scambi alternati tra presente storico e passato, il risultato sarebbe stato, forse, pienamente riuscito. Ma anche così Guido Chiesa ci ha consegnato un’opera di livello, grazie soprattutto allo stagliarsi delle contrapposte figure delle due donne, ben rese nelle loro personalità dall’israeliana Mili Avital e soprattutto dalla rumena Ana Ularu nel ruolo dell’affascinante ma tosta Edith. Un ulteriore piccolo tocco di italianità è quello che aggiunge Vincenzo Nemolato nel personaggio buffo, un po’ caricaturale, di Salvatore, un soldato scappato alla prigionia inglese durante la guerra e rifugiatosi nella casa di Yaakov a insegnarli l’arte della cucina (e dello zabaione) oltre a quella della seduzione per aiutarlo a cercare di sposare l’adorata Yehudit.

Premiato al Festival di Bari quale miglior film del Concorso “Per il Cinema Italiano”, l’opera di Chiesa ora arriva in sala. C’è da sperare che con i chiari di luna che offuscano oggi le tristissime vicende della Palestina – ogni giorno sembra peggio -, ci sia, al di là di ogni pregiudizio, un pubblico colto e interessato a seguire questa storia d’amore salvifico e di grandi passioni – insomma che non faccia la stessa fine anonima di Shoshana, il bel film di Michael Winterbottom, uscito diversi mese fa, che raccontava un’altra storia d’amore, questa volta agli albori della nascita dello Stato d’Israele.

In sala dal 29 maggio 2025.


Per amore di una donna – Regia: Guido Chiesa; sceneggiatura: Guido Chiesa, Nicoletta Micheli; fotografia: Emanuele Pasquet; montaggio: Luca Gasparini; musica: Zoë Keating; scenografia: Alessandro Vannucci; interpreti: Mili Avital (Esther Horwitz), Ana Ularu (Yehudit Salomon), Ori Pfeffer (Zayde Rabinovich), Alban Ukaj (Moshe Rabinovich), Marc Rissmann (Yaakov Scheinfeld), Serhii Kysil (Globerman), Anastasia Doaga (Tonia), Sira Topic (Rivka), Limor Goldstein (Naomi), Vincenzo Nemolato (Salvatore); produzione: Iginio Straffi, Alessandro Usai, Marta Donzelli, Gregorio Paonessa per Colorado Film Production e Vivo film con Rai Cinema; origine: Italia, 2025; durata: 117 minuti; distribuzione: Fandango.

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