Perugia Social Film Festival XI° – Edizione (26 settembre- 8 ottobre 2025): Io sono la storia delle altre di Giovanni Cioni (“Altri sguardi”)

  • Voto

Non si fa fatica a entrare dalla porta che Giovanni Cioni apre – con gesto performativo, cioè teso a produrre in flagrante un cambiamento rispetto alla norma – fin dall’inizio in Io sono la storia delle altre, titolo potente in quanto al contempo messa in atto di una potenza latente, sovversiva e destabilizzante, implicita sia nella relazione che nel raccontare – l’alterità come incontro e non come pretesto per scorribande predatorie o annientamento.

In anteprima al PerSo nella sezione “Altri sguardi”, dedicata al mondo della salute mentale e della detenzione, il film di Cioni stimola, in assonanza con la vocazione del festival di cinema documentario di Perugia, una riflessione, ma ancora una prima una esperienza relazionale radicale, sulla condizione detentiva di alcune donne che stanno scontando la pena nel carcere femminile umbro di Capanne.

Al centro del documentario, realizzato all’interno di un laboratorio portato avanti nell’ambito del Festival, c’è infatti un gesto semplice e al tempo stesso incisivamente destrutturante -nella sua portata enunciativa, simbolica e immaginaria. Nei primi secondi del documentario, il regista si toglie da dietro la mdp proponendo alle detenute di filmarsi l’un l’altra. In questo modo vengono costruiti, davanti i nostri occhi, due contesti significativi: da una parte la riflessione documentaria sul posizionamento, sul come porsi con la mdp -osservando? partecipando? e in che misura? da quale parte?; dall’altra, e qui ci si riferisce alle detenute, l’uscita dall’invisibilità di chi non ha mai avuto la possibilità di avere un proprio sguardo o di chi è sempre stata vista come carnefice oppure, più spesso, come vittima, quindi oggetto di un filmare strumentale.

A prevalere, e felicemente, nel documentario, e andando anche oltre la dicotomia classificante, è la spontaneità dell’incontro in gioco tra le mura di Capanne, la fluidità con cui la complessità degli elementi in campo riescono a trovare il modo di mettersi in relazione.

Risuonano, in questo senso, le voci delle protagoniste che svicolano e poi si intrecciano, si perdono e poi si rincorrono, allorché anche quando esitano (pensiamo alla stasi della detenuta nell’ultima storia) sembrano mosse da una recidiva vitalità -bagnata, a seconda, da rabbia, angoscia o desiderio. In primo piano ci sono figure quali la pluralità e l’eterogeneità, ma prima ancora, a stracciare il velo dell’indifferenza o la stolida certezza del giudizio imperativo, a emergere con forza c’è la fiducia. Cioni si mette nei panni dei soggetti che filma in modo, diremmo, radicante. Andando, cioè, sia alla base dei possibili traumi personali, che stando in rapporto con la situazione e il contesto attuali, laddove anch’essi sembrano comunque ripresi lungo un cammino rivolto verso un orizzonte, un fuori campo, forse un futuro (su questa attesa, le parole o il silenzio delle detenute aprono mondi di senso): a volte è il caso di una biografia che vede dei genitori indifferenti; quasi sempre è l’indifferenza di una società che prima crea il vuoto nelle persone, che possono quindi perdersi, e poi edifica il distacco fabbricando il mondo degli “invisibili”.

Nei lavori del regista non c’è mai scetticismo, mai disperazione che si fa cinica convinzione che siccome esiste l’incomprensione, l’ingiustizia e il male, e che di conseguenza tutte le relazioni siano lotte di potere, allora si è legittimati a tirarsi fuori, rimanendo impassibili a osservare presunte verità. I suoi documentari sono infatti in costante transito, aperti a una realtà che si fa nella processualità e nell’ascolto dell’incontro e della differenza -a partire anche dal linguaggio (pensiamo alla splendida poesia visiva e all’uso di footage in Dalla parte degli umani, 2021). In questo modo la stessa immobilità dei volti, che a tratti cadenza quest’ultimo lavoro, non si fa mai mera posa davanti alla mdp, quanto piuttosto figura che emerge da un paesaggio in continuo movimento, impossibile da rinchiudere, presa nell’anarchia di un incontro possibile, anzi già virtuale, nella sua attualità, con cui smarginare la cornice dell’immagine e fare spazio alla storia di ogni altra.

Il carcere, o come in Dalla parte degli umani le gabbie, la frontiera, gli esodi forzati e il rapporto con la vita postuma delle immagini e con i fantasmi (sporgenti dalle immagini d’archivio) -“che io guardo e che non mi vedono, non mi vedono, io non esisto per loro”, accento di un poema struggente e ininterrotto-, ecco che allora possono diventare finalmente altro, un fuori (dal dominio di qualcuno) che risuona di altre vite, altri tempi e altre stazioni, oltreconfine (nome di uno dei laboratori di Cinema del reale realizzato da Cioni), e in cui, come suggerisce il regista, l’incontro può finalmente diventare un canto corale.


Io sono la storia delle altre – Regia e montaggio: Giovanni Cioni; origine: Italia, 2025; durata: 32 minuti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *