Photophobia di Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarčík (Giornate – Premio Europa Cinemas Label)

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Non so se sia proprio la stessa stazione al centro del film o se sia un’altra, fatto sta che proprio ieri i giornali internazionali raccontavano che in una stazione della metropolitana di Charkiv (la seconda città più grande dell’Ucraina, dopo Kiev) è stata installata una scuola. In Photophobia dei due registi slovacchi Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarčík si torna invece indietro di un anno abbondante, ma la location è appunto la stessa…

Ci vuole poco, molto poco, iniziando a vedere Photophobia per capire dove siamo. Basta vedere la scritta che campeggia su una specie di baracchino, intorno al quale armeggiano operai edili. La parola scritta in cirillico è valyut ossia valuta, quel che resta di un’insegna che se fosse stata intera sarebbe stata “cambio valuta”. Sulla fiancata invece si legge zwetyi, ovvero fiori. Su questa prima inquadratura così perentoria, accompagnata dai rumori inquietanti che vengono dall’alto (bombe e missili) e da quello di automobili che sfrecciano sull’asfalto sperando di farla franca,  i due registi (nonché sceneggiatori, direttori della fotografia e montatori) restano la bellezza di quattro minuti e cinquantasei secondi, dopodiché arrivano i titoli di testa. E quel brandello di strada e di realtà, da quel momento, non lo vediamo più. Perché da quel momento la macchina da presa si sposta, appunto, nella stazione di metropolitana denominata Heroiv Pratsi (Eroi del lavoro) nella città di Charkiv per non uscirne mai più, fatta salva la scena finale. Ché nella stazione distante solo 700 metri dalla linea del fronte hanno preso posto più di mille sfollati nei giorni immediatamente successivi allo scoppio della guerra in fuga dai bombardamenti.

L’attenzione della regia è duplice: c’è un’attenzione eminentemente documentaria, in cui la macchina da presa si sofferma, quasi spiando, sulle conversazioni per lo più angosciate fra le persone, conversazioni sulla loro vita precedente, sui bombardamenti, su parenti e amici di cui si sono perse le tracce etc. (verso la fine di questo breve film i registi decidono anche di mostrare agli spettatori le origini di quelle immagini, inquadrando con effetto straniante le macchine da presa, appunto); e c’è un’attenzione che verrebbe più da definire fictional che vede protagonisti due ragazzini, lui, dodici anni di nome Niki (Nikita Tyshchenko) e lei Vika (Viktoriia Mats), due fra i molti bambini e ragazzini che vagano nell’enorme ma claustrofobica stazione della metropolitana. La ragazzina è più sfrontata e spavalda e, forse anche perché meno controllata dai genitori, cede alla potente attrazione della vita e della luce; Niki invece, di suo più timido e sottoposto a un controllo assai più capillare e attento da parte della madre, ha ricevuto l’ordine perentorio di non azzardarsi a uscire, perché fuori il rischio di essere presi in pieno da una bomba o da un missile è fortissimo. Niki è un ragazzino obbediente e si attiene alle prescrizioni materne, anche perché, quando ha voglia di vedere qualcosa che provenga da fuori ricorre a una sorta di diapositive animate, di fatto molto simili a un Super8 che mostrano brandelli di immagini della città e della campagna prima e dopo lo scoppio della guerra, scene di straziante bellezza che sembrano disegni a carboncino. Ma la voglia di seguire Vika di cui Niki, lo si capisce, si innamora a prima vista, lo spingerà oltre le colonne d’Ercole, nella scena finale, semplicemente meravigliosa.

È in film molto molto bello (correttamente premiato a Venezia dagli Europa Cinemas Label, della giusta lunghezza (7o minuti), capace di momenti altamente poetici (il ruolo del cantastorie/cowboy è splendido, tutte le cose che i due ragazzini fanno insieme sono di una delicatezza estrema, eppure il film non è mai patetico), molto elaborato dal punto di vista formale, che gioca anche con il genere della distopia in uno scenario che a tratti pare davvero post-post-post, ma che invece descrive con un perfetto equilibrio di obbiettività e poesia una cruda realtà attuale.  Quanto al titolo, clamorosamente antifrastico, esso esprime in realtà l’inesausto desiderio di vita, di luce, di riveder le stelle.


Photophobia  – Regia, sceneggiatura, fotografia: Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarčík; montaggio: Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarčík,Martin Piga; interpreti: Nikita Tyshchenko (Niki);  Viktoriia Mats (Vika) Yana Yevdokymova (madre di Niki), Yevhenii Borshch (patrigno di Niki), Anna Tyshchenko, (Anya, sorella di Niki), Vitaly Pavlovitch (Cowboy), Tetiana Volodymyrivna Syrbu (dottore); produzione: Ivan Ostrochovský, Albert Malinovský, Katarína Tomková, Tomáš Michálek, Kristýna Michálek Květová; origine: Slovacchia/ Repubblica Ceca/ Ucraina, 2023; durata: 71 minuti.

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