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Malgrado due figli nati negli anni ’90, malgrado ricordi risalenti al fatidico 2001, quando sulla Quinta Strada a New York, tre settimane prima del famigerato 11 settembre (di cui fra pochi giorni ricorrerà il ventennale), andammo in cerca, in un negozio apposito, di una carta “fondamentale” che mancava alla loro collezione e che pagammo qualcosa come 25$, chi scrive non ha mai davvero preso dimestichezza con i Pokémon. Per cui: ancor prima di iniziare a vedere la pellicola, trovandosi di fronte il titolo del notevole film argentino intitolato Piedra Noche, titolo internazionale Dusk Stone, ci siamo chiesti che cosa significasse e quale potesse essere, quale fosse il titolo italiano. Il figlio maggiore, ormai trentenne, non è stato in grado di aiutare – e si capisce il motivo, perché il termine risale alla quarta generazione dei Pokémon, creata in un periodo che va dal 2006 al 2009, in una fase quindi nella quale i figli erano passati oltre. In ogni caso la piedra noche equivale in italiano a Neropietra, un oggetto magico tramite cui ad alcuni singoli Pokémon viene data la possibilità di evolversi. Questo dettaglio, oltre al device di cui si serve il bambino protagonista, un sorta di game boy, probabilmente della Nintendo, fanno datare la vicenda del film a una quindicina d’anni fa.
Anche se poi, questa estrema acribia filologica potrebbe sembrare del tutto fine a sé stessa, trattandosi nel presente film di fatto di un’opera ascrivibile al genere fantastico, se non addirittura al fantasy, seppur nient’affatto privo di dati realistici.
Il film inizia in modo un po’ vintage: in un’epoca in cui i titoli di testa sono per lo più spariti, qui durano quattro minuti mentre dall’alto la macchina da presa compie una lunga e a un certo punto anche un po’ inquietante carrellata su una spiaggia oceanica mentre sulla sabbia si stagliano le tracce di un automezzo cingolato. Sarà quello il luogo dove si svolgerà l’intera vicenda, un Kammerspiel con soli quattro protagonisti (cinque, se contiamo anche il figlio, che però ben presto esce di scena e rimane solo nel ricordo dei genitori).
Il bambino, nelle poche scene iniziali che lo vedono protagonista insieme al padre, gioca per l’appunto con il suo game boy e spiega al padre che ha creato un mostro rudimentale, con delle gambe lunghe lunghe e secche secche (le zampette di una zanzara) che ha come “missione” quella di distruggere le città. Il padre segue le spiegazioni del figlio con autentica curiosità. Dopodiché una mattina (la mattina dopo?) il bambino è sparito. Cominciano a circolare le voci che sia stato portato via proprio da quel mostro che lui stesso ha creato, improvvisamente uscito dallo schermo e materializzatosi, anche se in riva al mare ce n’è un altro di mostri, quello sì concreto, un ecomostro, una piattaforma (petrolifera?) che deturpa il paesaggio, malgrado poi si sia fatto di tutto per trarre un paradossale profitto turistico proprio da questa attrazione, creandole intorno una specie di residence con case vacanze, gestite da un personaggio interpretato dal sempre eccellente Alfredo Castro che organizza visite guidate. Il quarto personaggio, oltre ai due genitori (Greta e Bruno) depressi per la perdita del figlio e che adesso vogliono vendere la casa che continua a ricordare loro il lutto subito, è un’amica della madre Sina, che vive in città e lavora nella profumeria di uno shopping mall e che li ha raggiunti per aiutarli a fare il trasloco.
Il film è tutto fatto di primi piani e di silenzi, oltreché di numerose inquadrature della spiaggia e del mare in un colore lattiginoso. Fin quando, d’improvviso, tutto sembra capovolgersi perché il padre, stupefatto e a suo modo felice, è convinto che il mostro, proprio il mostro ideato dal figlio e che forse se lo è portato via, sia tornato, tanto da mettere in discussione la decisione di andarsene, tanto che i genitori, a loro volta, sembrano subire una qualche evoluzione, come fossero Pokémon. Nella sua esitazione fra dramma familiare e fantasy il film è convincente, gli attori sono tutti molto bravi, forse l’attore un po’ più debole è quello che interpreta il padre (e il regista lo sa, perché è il personaggio dei quattro che inquadra meno spesso). Iván Fund, il regista trentasettenne, ha alle spalle già tredici film, fra cui diversi cortometraggi. Il suo momento più promettente risale a una decina di anni fa, quando il suo film intitolato Los Labios riscosse a Cannes un discreto successo nella sezione “Un Certain Regard”. Non lo conosciamo, né conosciamo altre sue opere, ma questo film almeno lascia capire una cifra autoriale decisamente interessante.
Cast & Credits
Piedra Noche; Regia: Iván Fund; sceneggiatura: Iván Fund, Santiago Loza, Martin Felipe Castagnet; fotografia: Gustavo Schiaffino; montaggio: Iván Fund, Lorena Moriconi; interpreti : Maricel Álvarez (Sina), Alfredo Castro (Genaro), Marcelo Subiotto (Bruno), Mara Bestelli (Greta); produzione: Rita Cine, Insomnia Films; origine: 2021 Argentina, Cile, Spagna; durata: 87′.
