Libri: MannHunters-Michael Mann a 360 voci di Alessandro Borri

Nel momento in cui si decide di confrontarsi con l’opera omnia di un cineasta, è come se ci trovasse di fronte alla traslazione di una vita esperita dentro la sua rappresentazione visibile, il riflesso espressivo e creativo, il simulacro dell’immagine in dialettica con la digressione frangibile della realtà, una lunga scia di (auto) biografie per interposta persona : forse è proprio per questo motivo che per Alessandro Borri, autore di MannHunters-Michael Mann a 360 voci, i film del regista statunitense sono dei film-organismo in toto, nei quali non è avvertibile l’emanazione o la riconduzione ad un unico aspetto generante e controllante dell’umano ( i film cervello di Stanley Kubrick ) o, appunto, della sua manifestazione intellettuale (i film meccanismo di Christopher Nolan), restando all’interno di un confronto che Borri non pone però in una paternalistica modalità generazionale di padri e figli, quanto in un rimando genealogico di ispirazioni e direzioni che si incontrano e che vanno poi in una direzione diversa, singolare, unica.

Dunque, se di organismo si tratta, questo secondo volume dedicato dallo studioso e critico cinematografico ( una prima monografia l’aveva realizzata nel 2000), segue l’ andamento nel solco sempre aperto di un’organicità pronta ad esplodere in duplicazione, triplicazione, moltiplicazione di tematiche, interpretazioni, aspetti tecnici e artistici, e soprattutto di soggetti, concepiti non solo come argomenti da affrontare ma come effettive soggettività che pensano e scrivono sul cinema di Mann.  È come se ci approssimassimo alla parafrasi scritta  della struttura della filmografia manniana, la cui natura binaria, nel suo ricomporre la complessità cerebrale con  l’emisfero destro e quello sinistro, espande il tempo dell’elaborazione e del sentimento in varie fasi: la linea guida di fondo è un abecedario delle 360 voci, citate nel titolo e scritte da diversi autori, che possiede la consequenzialità delle lettere dell’alfabeto e la non continuità di un vocabolario che fa del sostantivo la sostanzialità di una poetica e del nominale  la ricerca di corrispondenze non verticali, suggerite bensì per ispirazione, riverbero, ricerca (Melville, Tarkovskii, Resnais, ma pure Cameron, Lelouch, Ridley e Tony Scott tra i possibili altri).

Ma è un linguaggio, questo a cui ci viene dato accesso per provare a comprendere e penetrare un caleidoscopico cosmo audio e visivo, contestualizzato e assoluto, materiale e smagnetizzabile; a ogni nome e definizione, anche se di fatto nessuna voce definisce in maniera esaustiva ma anzi esplica come ci sia perennemente un margine non riducibile ma piuttosto agganciabile a un’ alterita’ di senso, corrisponde di conseguenza anche l’identificazione di elementi che sono astratti e poi immanenti (il fantasmatico del Mélo e del Noir immerso nelle esplosioni e nei mitragliamenti dei personaggi  ordinari ed epici, accomunati dal fatto di essere fatti di sangue e carne) e poi reali e trasfigurati  (Chicago, Los Angeles, Las Vegas, le città di una vecchia-nuova frontiera tra reale e immaginario); e inoltre di veri e propri cognomi e nomi/ volti e corpi, tra collaboratori, attori, perfino spettatori e commentatori eccellenti, seppur dispensatori di giudizi discutibili (il Nanni Moretti che in Aprile seccò Strange Days di Bigelow e banalizzò  la portata etica ed estetica di Heat-la sfida).

La scelta dei contribuiti segue indiscutibilmente un criterio con il quale Borri mette insieme l’attrazione per le forme, le superfici, le luci e le ombre che si compongono e scompongono in ogni immagine di Mann, con l’ affondo tra significanti e significati in continuità, tornando spesso sulla statura etica, esistenziale, trascendentale o quantomeno tentata dal trascendente , tra morte e mortalità, ossessività di questo mondo e tensione verso un altrove identificato non come fede imprescindibile e cieca; al contrario, legata ad un culto della visione, della luce, della composizione, che lo avvicinano ad un altro autore americano con formazione, cultura e sensibilità affini come Terrence Malick.

Emblematico da questo punto di vista secondo Borri è proprio l’equivoco che si è creato intorno al progetto Miami Vice, la serie televisiva degli anni’80 e il suo tardivo, già collocato in epoca post, adattamento cinematografico del 2006:  la non comprensione di una parte della critica e, nel caso del film, anche del pubblico, della necessità di stare attaccati alla superficie, all’epidermide, all’involucro degli oggetti di design, delle location della architetture suadenti e lussuose, delle auto rombanti e ruggenti, delle pelli abbronzate e sensuali, con quello sguardo affacciato su una destinazione terminale, uno strapiombo, un abisso declinato, nei finali in “freeze frame”  per quanto riguarda la serialità, e in un alternarsi sospeso di albe e tramonti  nella versione per il cinema.

Proprio il rapporto con l’oscurità è al centro di una piccola digressione jazzistica,  off limits dallo schema del  dizionario, scritto da Marco De Angelis e che, pur intitolandosi Outro, non segna tanto prosasticamente la fine di questa partecipata escursione tra le lande e gli oceani di Mann, quanto una performance in pensieri e parole sulla tendenza liminale e terminale di alcune sue opere. E il sottotitolo, Rapsodia noir, accanto al quale sarebbe stato pertinente, ma forse un po’ ridondante , anche posizionare  il ricorrente  termine Mélo, annuncia la traiettoria notturna eppure illuminata dalla luce artificiale come dall’imperituro affacciarsi del sole che sorge, mettendo in evidenza la dimensione chiaroscurale dell’amore come possibilità di riscatto, accensione, scintilla e poi sfumatura di un trauma, un addio, una non corrispondenza  tra desiderio e agito , tra quello che vorremmo vedere e quello che ci scorre sotto gli occhi ( bellissima l’immagine riproposta da De Angelis dello sguardo rivolto da Amy Brenneman a Robert De Niro nel pre-finale di Heat-La sfida, cosi come quella di Gong Li  in Miami Vice, spogliata dalla sua patina di cinica e spietata dark lady e sciolta nello struggimento sentimentale di un volto tornato adolescente, riapparso come sogno d’amore).

E il collegamento con il successivo saggio, scritto da Borri assieme a Fabio Pirovano, nel quale ci si addentra tecnicamente nel passaggio dall’analogico al digitale attraversato dagli inseguimenti fino all’ultimo respiro e (in) oltre di Collateral, immediatamente focalizzato su come mettere al servizio le possibilità del mezzo alle esigenze espressive di una rappresentazione della realtà, mantiene la presa dell’indagine questa volta  più razionale su chi e cosa illumina la grande notte, parafrasando il titolo di un progetto mai realizzato di Elio Petri. Un concetto sul quale si torna proprio per mettere in evidenza la lungimiranza di una visione che cerca di filmare le derive dell’ esistente, del dato, del percepibile nell’ innesto di una tecnologia che può impressionare con una velocità in presa diretta il mondo davanti ai nostri occhi e con la stessa velocità renderlo evanescente, farlo scomparire. Michael Mann ha compreso appieno le potenzialità del digitale nel compiere un passo avanti e uno indietro sull’afferabilita’ e la sfuggevolezza della realtà e ne ha fatto la metafora dei propri personaggi e della proprie storie su sperduti sognatori, tra skyline dai fuochi  quantomai fatui e landscapes che hanno ancora il sentore di terra e di cemento ( e lo spazio urbano e suburbano di Collateral è proprio il più significativo crocevia non solo di una filmografia ma di un’ epoca estetica lanciata lungo le strade perdute lynchane quanto verso gli “after sunset” boulevards manniani).

Così, scorrendo l’ accurata e puntuale lista dei brani soundtrack compilata da Fabio Pirovano salta agli occhi il commento di David Ehrlich sul pezzo di chiusura di Heat-La sfida, God Moving Over the Face of the Waters di Moby: “con le sue note di pianoforte analogico e digitale che turbinano l’ una intorno all’ altra in una doppia elica”.  Andata e ritorno, e viceversa, da un doppio sogno/viaggio che attiene a una prescritta verità e alla continua messa in discussione del suo statuto e del suo primato. Perché, come dice Ferrari, le macchina da corsa muoiono anche quando vincono.


MannHunters-Michael Mann a 360 voci; Autore: Alessandro Borri, 256 pagine; editore: Cuepress, 2024.

 

 

 

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