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Voto
Recensendo esattamente due anni fa un documentario su Giorgio Gaber (Io, noi e Gaber) lamentavo la pressoché totale assenza di intervistati di giovane età, al fine di stabilire la consentaneità, l’eredità presso le giovani generazioni del modello di artista e di intellettuale di Giorgio Gaber.
La cosa vale anche per Siamo in un film di Alberto Sordi? il documentario dedicato a uno dei più celebri attori italiani, nato nel 1920 e morto nel 2003. Gli intervistati, in questo caso, sono (in ordine alfabetico): Ascanio Celestini (1972), Steve Della Casa (1953, uno dei due registi), Vincenzo Mollica (1953), Giuliano Montaldo (1930-2023), Nicola Piovani (1946) e Riccardo Rossi (1962). Il più giovane, Celestini, ha dunque 53 anni. E invece sarebbe stato divertente capire, fra i tanti e diversi attori comici più giovani, che cosa resta di Alberto Sordi oggi. Ma forse quello sarebbe stato un altro film.
Invece, questo – arricchito da un numero impressionante di spezzoni di film (se ho contato bene sono 26), cui vanno ad aggiungersene altri senza Alberto Sordi – ha tutta un’altra intenzione, cioè rievocare alcuni momenti, tratti salienti, conosciuti ma forse nel frattempo dimenticati, della persona ma ovviamente soprattutto dei personaggi, del personaggio di volta in volta interpretato dall’attore romano.
I tratti salienti, mi pare di poter dire (il film non è diviso in capitoli che esplicitano la partizione), sono sostanzialmente cinque, in ordine sparso (quindi né in ordine di apparizione, né in ordine di importanza), tratti che non sono da attribuire, singolarmente, ai sei testimoni convocati (come a dire: tutti contribuiscono a sottolineare più o meno le stesse cose).
Il primo tratto è forse quello più conosciuto: Sordi come rappresentante dell’italiano medio, con le sue debolezze, la sua capacità di barcamenarsi, senza talora disdegnare la mascalzonaggine, ma senza mai dimenticare la sua natura di maschera, specchio, certo, dell’Italia affluente del miracolo economico ma anche – come dire – costante antropologica.
Il secondo tratto è la sua versatilità non tanto o non soprattutto attoriale, trattasi in fin dei conti, con pochissime eccezioni, di un attore comico, a tratti malinconicamente comico, ma comunque comico. Le incursioni nel dramma o ancor più nella tragedia si contano sulle dita di una mano: di primo acchito me ne vengono in mente soprattutto quattro (ma ce ne sono sicuramente molti altri): Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini, Il maestro di Vigevano (1963) di Elio Petri, Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy, e Un borghese piccolo piccolo (1976) di Mario Monicelli (di questo tratto Della Casa e Taricano si occupano purtroppo solo a margine). Dicevo non è tanto la – peraltro celeberrima – capacità attoriale di Sordi che gli autori sottolineano ma la versatilità in altri campi artistici: la musica, come nota soprattutto Piovani, secondo il quale Sordi se non avesse fatto l’attore avrebbe potuto comodamente sfondare nel canto, data la sua educatissima voce di basso, e poi anche nella danza.

Il terzo tratto è la parabola della sua carriera: gli inizi nell’avanspettacolo e nel doppiaggio. Tutti sanno che fra gli altri Sordi ha doppiato Oliver Hardy, ma Sordi doppia anche attori italiani, persino in Domenica d’agosto (1950) Marcello Mastroianni, ma lo troviamo in Ladri di biciclette (1948) e Cronaca di un amore.(1950), qui doppia Franco Fabrizi. Ma tornando all’estero Sordi ha doppiato, fra gli altri, Anthony Quinn e Robert Mitchum. Fin quando la sua attività sarà tutta concentrata sul suo ruolo di attore, sempre e comunque, attore principale, mai confinato in ruoli minori.
Il quarto tratto è il suo rapporto con le donne, sia al cinema che nella vita privata. Notoriamente Sordi non si è mai sposato, non c’è andato neanche lontanamente vicino (salvo forse una volta, con l’attrice austriaca Uta Franz, all’epoca il nostro aveva 34 anni). E più in generale, a differenza, di quanto è accaduto a Marcello Mastroianni, a Vittorio Gassman, a Ugo Tognazzi, intorno alla sua vita sentimentale vi è sempre stato il massimo riserbo (sarebbe interessante scoprire quante volte Sordi è stato al centro di copertine o gossip in qualche misura correlate con la sua vita sentimentale, io credo pochissime). Quanto alla relazione cinematografica con attrici particolare attenzione viene riservata, in una prima fase, al rapporto con Giovanna Ralli (1935), e successivamente con Monica Vitti (1931-2022), con la quale Sordi realizzò tre film (il più celebre, diretto dallo stesso Sordi, s’intitola Amore mio aiutami del 1969, in cui la moglie lo tradisce e in una scena celeberrima lui la riempie di schiaffi sulla spiaggia di Sabaudia, la controfigura apprendiamo, o quanto meno apprendo era “interpretata” niente meno che da Fiorella Mannoia, all’epoca quindicenne, impensabile oggi…)
Il quinto e ultimo tratto è il suo rapporto con Roma. Anche su questo aspetto i due registi si soffermano con particolare interesse, naturalmente attingendo soprattutto ai film “storici” di Luigi Magni e Mario Monicelli: Nell’anno del Signore (1969), Il Marchese del Grillo (1981), In nome del popolo sovrano, (1990) ma non solo.
Insomma si tratta nell’insieme di un film gradevole, forse non particolare innovativo ma comunque capace di tenere viva la memoria di un grande, di un grandissimo attore.
In sala il 3-4-5 novembre.
Siamo in un film di Alberto Sordi? Regia, sceneggiatura: Steve Della Casa, Caterina Taricano; montaggio: Gaetano Filzone; interpreti: Ascanio Celestini, Steve Della Casa, Vincenzo Mollica, Giuliano Montaldo, Nicola Piovani, Riccardo Rossi; produzione: Compass Film, Minerva Productions; origine: Italia 2020-25; durata: 83 minuti; distribuzione: Altre Storie.
