Sull’isola di Bergman di Mia Hansen-Løve

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Chiunque conosca un poco il cinema e in particolare quello del grande Ingmar Bergman, ricorderà che l’Isola di Fårö è stato uno dei luoghi prediletti del massimo regista del cinema svedese (ed è del tutto riduttivo definirlo solo così) dove ha vissuto e dove ha girato diversi suoi film. Se non ci sbagliamo, sono perlomeno sei e non certo secondari anche in una filmografia ricchissima: Come in uno specchio (1961), Persona (1966), L’ora del lupo (1968), La vergogna (1968), Passione (1969) e Scene da un matrimonio (1972) oltre a due documentari tv entrambi dal titolo Fårö Document rispettivamente del 1970 e 1979. E proprio lì, in quel fazzoletto selvaggio di terra a nord di Gotland in Svezia, è morto nel 2007, incredibile ma vero, lo stesso giorno, il 30 luglio, di un altro grande cineasta, Michelangelo Antonioni, un autore a lui non molto distante.

Fårö e il regista di Uppsala – che a quanto pare era stato ed è ancora molto poco amato dalla popolazione dell’isola che lo vedeva come un corpo estraneo e poco apprezza l’attuale  turismo/pellegrinaggio cinefilo – hanno costituito l’idea di partenza, lo spunto originale dell’ultima opera, della francese Mia Hansen-Løve che ricordiamo aver vinto a Berlino nel 2016 l’Orso d’argento per regia con il controverso Le cose che verranno (cfr. https://www.closeup-archivio.it/l-avenir-conorso e https://www.closeup-archivio.it/le-cose-che-verranno-perche-si).

Passato al Concorso del Festival di Cannes di quest’anno, Sull’isola di Bergman – così il titolo italiano – parte da un dato autobiografico della Hansen-Løve (e cioè la sua relazione con Olivier Assayas di un quarto di secolo più grande di lei) nel raccontare l’incipit da cui parte il film.  Una coppia di registi – lui un imbronciato (tanto per cambiare) Tim Roth, lei la molto più giovane e vivace Vicky Krieps – si trasferiscono l’estate sull’isola in questione per lavorare sui loro nuovi progetti e addirittura dormono nello stesso letto in cui era stato girato Scene da un matrimonio.

A contatto con i suggestivi paesaggi marini e con le vestigia ancora tangibili del grande maestro del cinema, la storia procede prima lineare poi sempre più doppia e affascinante in un amalgama curioso e poroso tra finzione e realtà, tra vita del cinema e quella delle casualità. Insomma, per citare un titolo bergmaniano “come in uno specchio”: da una storia nasce un doppio speculare – e qui ci fermiamo. Visto che seguire le vicende narrate risulta abbastanza emozionante – o almeno così a noi ci è parso – preferiamo non raccontare i salti, i detour magari anche le incongruenze o le falle del film che sempre mantiene un tocco leggiadro dall’inizio alla fine. Viceversa, ci sembra più interessante riportare alcune dichiarazioni della regista a mo’ di accompagnamento ad un testo la cui ispirazione molto deve alla vecchia Nouvelle Vague o alle opere di Éric Rohmer (o addirittura Truffaut) di anni lontani: “Si tratta di un film sull’amore per il cinema, e in particolare per Bergman, ma anche sulla storia d’amore di due coppie. Non è il risultato di una decisione razionale, in qualche modo questa idea si è imposta da sola. Ho avuto la sensazione che si aprissero in me delle porte rimaste chiuse fino ad allora, proprio grazie all’isola, e per la prima volta mi sono sentita libera di muovermi quasi per gioco attraverso varie dimensioni: passato e presente, realtà e finzione, il sogno […] Appartato nel mezzo del Mar Baltico, Fårö è un luogo che incarna un ideale che è insieme spaventoso e seducente, austero e esaltante, un posto di assoluta integrità artistica a cui associo Bergman. La sua presenza non mi risultava opprimente, ma rasserenante e stimolante al tempo stesso. Forse ha a che fare con il fatto che non sono un genio capace di fare sessanta film e nove bambini? In nessun modo ci si può sentire rivali di Bergman”.

Anche se non si può fare più un film alla Bergman né tantomeno competere con il suo magistero, Mia Hansen-Løve che per la prima volta ha girato in inglese, ci sembra sia riuscita a realizzare la sua opera migliore, un po’ nostalgica, simpatica e cinefila al tempo stesso ma senza strafare. E ciò grazie soprattutto ad un uso accorto delle locations e della solare, mediterranea (se non fosse un ossimoro) fotografia di Denis Lenoir. Certo Tim Roth in modalità “pilota automatico” ormai passa da un’interpretazione ad un’altra non cambiando più neanche di un’oncia il suo personaggio o la sua espressività, ma per fortuna alla fine non lo si nota né ci infastidisce più di tanto. Pur con questo neo, compensato, però, dall’ottima resa del resto del cast – in particolare della simpatica Vicky Krieps – ci sentiamo di consigliare questo film demodé e inusuale quanto basta.

In sala dal 07 dicembre.


Cast & Credits

Sull’isola di Bergman/Bergman Island  Regia e sceneggiatura: Mia Hansen-Løve;  fotografia: Denis Lenoir; montaggio: Marion Monnier; musica: Raphaël Hamburger; scenografia: Mikael Varhelyi; interpreti: Vicky Krieps (Chris), Tim Roth (Tony), Mia Wasikowska  (Amy), Anders Danielsen Lie (Joseph); produzione: Charles Gillibert, Rodrigo Teixeira per CG Cinéma, Neue Bioskop Film, Scope Pictures, Plattform Produktion, Piano, Arte France Cinéma; origine: Francia, Germania, Belgio, Svezia, Messico, 2021; durata: 105′; distribuzione: Teodora Film.

 

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