-
Voto
Già nel 2012 si diceva che il DC Extended Universe (DCEU) fosse in grande ritardo rispetto all’universo cinematografico condiviso della Marvel e la decisione di affidare le redini creative dei vari franchise a Zack Snyder, col senno di poi, non si è rivelata certo la scelta più azzeccata. I risultati raggiunti con la pregevole trasposizione di Watchmen (nel quale però la visione di un cinema “fracassone” portata avanti da Snyder era ingabbiata dalla potenza e dal rigore formale del fumetto di Moore e Gibbons), come forse prevedibile, non si sono minimamente ripetuti nelle varie pellicole del DCEU.
Ora che l’esperienza del concorrente Marvel Cinematic Universe, sembra volgere in direzione di un lento ma inesorabile declino, anche il neonato DC Universe di Safran e Gunn, pur partendo con i migliori auspici, ancora una volta pare essere fuori tempo massimo.
Ma ora il nostro film: giunto trent’anni fa sul nostro pianeta ed entrato in azione nelle sue vesti di supereroe solo da tre, Superman (David Corenswet) sta vivendo il suo momento più difficile. Dopo aver gravemente interferito in fatti di politica estera, Kal-el è ora inviso e temuto dalla comunità internazionale e, in primo luogo, dagli Stati Uniti, sua patria adottiva. La sua popolarità va rapidamente scemando, divenendo oggetto di vere e proprie campagne d’odio tese a metterne in luce la sua natura aliena, la sua diversità. In questo clima incerto, persino il suo rapporto con Lois Laine (Rachel Brosnahan) pare avvitarsi verso una crisi profonda. A peggiorare le cose c’è, naturalmente, Lex Luthor (Nicholas Hoult), suo storico e acerrimo nemico, animato da un fortissimo risentimento nei suoi confronti, da un odio e un’invidia viscerale che travalicano qualsiasi motivazione razionale. Luthor, facendo leva sulle paure della gente comune e della comunità internazionale, riesce a convincere il Governo USA a far gestire alla sua azienda il “problema” Superman. La sua Luthor Corporation si è infatti da tempo dotata di un gruppo di meta umani, di cui fanno parte The Engineer (María Gabriela de Faría) e il misterioso Ultraman, oltre che di un esercito munito di esoscheletri progettati apposta per il contenimento di forze meta umane. Dopo essere arrivato a scoprire i più reconditi segreti dell’ultimo figlio di Krypton e averlo fatto prigioniero in un “universo tasca”, Luthor è pronto per sferrare il colpo decisivo contro il supereroe di Metropolis, che pare non poter contare sull’aiuto di nessuno, nemmeno del gruppo meta umano conosciuto come Justice Gang.
Nella prefazione di uno dei tanti volumi che raccolgono le prime storie di Superman, lo scrittore Roy Thomas (uno dei più influenti sceneggiatori della Silver Age dei Comics) scrive che il suo ruolo durante i primi anni di attività era ‘quello di “campione degli oppressi” in un momento in cui questo significava oppressi dalla grande depressione’. Se oggi sia ancora possibile che il primo supereroe della storia, creato da Jerry Siegel e Joe Shuster nel lontano 1938, possa risultare ancora credibile e attuale è la difficile domanda a cui prova a rispondere la pellicola diretta James Gunn.

A ben guardare, in effetti, tale risposta pare implicita nella sua lunga storia fatta di trasposizioni cinematografiche e televisive e ci dice che questa icona fumettistica, attraverso le sue molteplici interpretazioni, nella sua veste di mito e icona della cultura popolare, è riuscita in qualche modo a intercettare lo spirito dei tempi, indossandolo in maniera aderente al suo come fa con il proprio costume. E’ così che la prima trasposizione di successo, Adventures of Superman, con protagonista George Reeves ci restituisce un personaggio rassicurante, totalmente allineato con l’American Way of life, del benessere e dei consumi, portatore di un concetto di educazione eterodiretta, venendo trasmesso, non a caso, su di una ancora giovane televisione. Il Superman degli anni ’80 invece, quello di Richard Donner e Christopher Reeve, anticipa e abbraccia il reaganismo e la Reaganomics, la volontà di potenza di una nazione che stava per vincere definitivamente la propria battaglia ideologica contro il comunismo, mentre il Superman Return di metà anni duemila, quello diretto da Bryan Singer, incarna un’America entrata in crisi, priva di coordinate, ancora smarrita e ferita dopo i fatti del 09/11, che guarda con nostalgia al (cinema del) passato, ma è incapace di scegliersi una forma autonoma, di andare avanti: un Superman, in definitiva, postideologico e postmoderno.
E la pellicola ora scritta e diretta da James Gunn, non poteva non muoversi in questo solco già tracciato da altri, ma non perché le intenzioni del regista e co-CEO dei DC Studios siano animate da chissà quali aspirazioni autoriali o di analisi sociopolitica (non lo erano nemmeno quelle dei suoi predecessori, e il cinema di Gunn è un cinema eminentemente popolare e spettacolare) ma perché, in certa misura, era inevitabile che ciò accadesse. Come detto, il personaggio creato da Siegel e Shuster è una sorta di specchio della realtà, e anche questa volta, in maniera magari didascalica, evidente, facile forse, nel mondo in cui vive Kal-El scorgiamo, evidenti, didascalici, i segni del nostro: Ucraina e Gaza, solo per dirne due.
Già in tempi non sospetti, quelli de I Guardiani della Galassia, per intenderci, Gunn, da produttore (sceneggiavano il fratello Brian e il cugino Mark), si era avvicinato al mito supermanniano, con traiettoria laterale, producendo il poco vedibile Brightburn – L’angelo del male (2019). Da questo film dimenticabilissimo, una variazione con superpoteri del protagonista di Il presagio (The Omen, 1976), Gunn però trae qualche spunto che, in buona sostanza, gira attorno a uno dei problemi ricorrenti che innervano alcune delle storie migliori di un personaggio che, pur privo di maschera, di doppiezze non è affatto privo. Prime tra tutte: il suo essere un alieno alla costante ricerca del proprio posto nel mondo, di dimostrare la propria umanità, anzitutto a se stesso. Di un dio che aspira a farsi uomo.
Il Superman interpretato in modo piuttosto convincente da David Corenswet è soprattutto questo: una persona che, nonostante le brutture del mondo, il pesante retaggio lasciatogli dai genitori biologici, la paura che suscita la sua diversità e il suo potere illimitato, alimentata dagli haters e dai manipolatori del consenso (cui Gunn dedica una scena piuttosto tagliente), sceglie, giorno dopo giorno, di non smarrire la propria umanità, con una purezza di intenti che rasenta l’ingenuità. Siamo lontani dunque dalle figure messianiche viste nelle precedenti pellicole. La razza umana, pare voler dire il regista, non è destinata ad essere salvata dall’avvento di un super-uomo, dell’uomo solo al comando, ma deve trovare in se stessa le forze e le soluzioni adeguate a compiere questo miracolo.
Ma la pellicola di James Gunn, possiede, inoltre, tutte le caratteristiche cui il regista ci ha abituati: un gran numero di comprimari e situazioni bislacche e grottesche (come per i membri della Justice Gang tra i quali spicca la Lanterna Verde, aka Guy Gardner, interpretata da Nathan Fillion) , una grande capacità nell’arte del world building, e una capacità fuori dal comune nel tenere assieme, in fase di scrittura, dramma e comicità.
Come noto, tuttavia, il valore di un eroe, si misura soprattutto in rapporto al proprio antagonista. Questa volta è toccato a Nicholas Hoult continuare la grande tradizione di attori che hanno vestito i panni della nemesi del Kryptoniano. Astioso e bramoso di un potere illimitato che lui non possiede, non si può non pensare al suo Lex Luthor senza confrontarlo con un altra figura di geniale e controverso magnate dell’industria, molto vicino al governo USA, che ha fatto molto parlare di sé negli ultimi anni.
Tirando le somme, però, per capire se con questo film la scommessa di Gunn possa ritenersi vinta, bisognerà attendere ancora un po’. Oltre a essere un divertito omaggio alla storia fumettistica di casa DC (vengono citate, oltre al nutrito cast di comprimari del Nostro, la Justice League International ideata da Keith Giffen e J.M. DeMatteis oltre che il best seller di inizio secolo The Autorithy), la pellicola, sul piano industriale, è anche (soprattutto) un entry point per un universo cinematografico che aspira a bissare il successo di quello della concorrente Marvel-Disney, in un momento del tutto particolare e di cui si è scritto all’inizio.
Solo il tempo ci dirà, citando una delle pellicole dedicate all’”azzurrone”, se “il mondo ha ancora bisogno di Superman”.
In sala dal 9 luglio 2025.
Superman – Regia: James Gunn; Sceneggiatura: James Gunn (dai personaggi creati da Michael Crichton) ; fotografia: Henry Braham; montaggio: William Hoy, Craig Alpert; musica: John Murphy, David Fleming; interpreti: David Corenswet, Rachel Brosnahan, Nicholas Hoult, Edi Gathegi, Anthony Carrigan, Nathan Fillion, Isabela Merced, María Gabriela de Faría, Wendell Pierce, Pruitt Taylor Vince, Neva Howell; produzione: Peter Safran, James Gunn; origine: USA, 2025; durata: 129 minuti; distribuzione: Warner Bros. Entertainment Italia.
Dedico questo articola a Laura, mia continua fonte di ispirazione.
