Fugge la povera campagnola Lilian, stringe un fucile, poi un cannocchiale. Attraverso le sue lenti, appare una visione distorta: montagne di seni femminili, una donzella mossa dal vento spicca il volo con un ombrello. La scena è un buon esempio dell’immaginazione disinibita di The Sweet East. Disinibita non perché il film sia riempito di sesso, ma perché ogni promessa di realismo ci riporta a una versione “animata” della vita. In realtà il film suggerisce solo una svestizione ma senza mai raggiungere l’atto sessuale. Un destino d’impotenza che è forse quello di un’America che non sa più fantasticare su sé stessa, che sa solo esporsi ma mai concedersi. Un’America fatta di logge clandestine, linguaggi occulti, cunicoli sotterranei e, ovviamente, fucili a profusione.
In gita scolastica a Washington D.C., Lilian si perde per quest’America, capitando prima in una manifestazione alt-right, poi in un set cinematografico a New York, infine nell’ovile di una setta musulmana del Vermont, sballonzolata per quella dolce costa atlantica culla del patriottismo e dell’epica narrativa.
Un ritorno al grande romanzo americano esplicitato dai molteplici riferimenti a Griffith – la divisione in capitoli con intertitoli da cinema muto, ma anche solo il nome Lilian rimanda all’attrice protagonista Lilian Gish di Way Down East (Agonia sui ghiacci, 1920) – da un’impostazione melodrammatica che elide qualsiasi coesione narrativa per rincorrere le imprevedibili ed improbabili traiettorie emotive della protagonista. Scappata dal set in abiti vittoriani, Lilian è un animo aristocratico che osserva i costumi di questa perversa America lasciandosi qua e là sedurre, ma mai conquistare, e stoicamente inseguendo ogni volta una nuova avventura, sempre più a est.
Il volto irrequieto di Lilian è colto nervosamente dalla camera a mano che subisce la costante pressione di un fuori campo, di un ambiente circostante sempre sul punto di divampare improvvisamente, di implodere in sé stesso, di scatenarsi in un massacro. Un reggiseno, un fucile, stimolano brusche ed eccitanti deviazioni, attimi d’ebbrezza, susseguiti, con uno spiazzante stacco, da tranquille escursioni fluviali, scampagnate per boschi. La pellicola 16mm magnifica questo tempo sospeso, valorizzando la pittoricità del volto di Talia Ryder e del panorama americano. Ecco Lilian e Mohammed apparire come da una nuvoletta su un tipico quadro paesaggistico. Accompagnato dalla protagonista, il film si lascia trasportare in questo ottovolante di sensazioni alla riscoperta della barbarie e della bellezza dell’America.
Ogni tentativo di fuga campestre conduce questa principessa a un castello sempre più isolato, a un principe sempre più orientale, incomprensibile, introverso. Uomini avvezzi al proprio mondo privato che godono molto più della loro dialettica che dell’intima compagnia della bella Lilian. Uomini dagli occhi “Wide Shut” che, come Tom Cruise, non si rendono conto che la via per l’estasi è molto più familiare e facile da raggiungere di quanto credano. Proprio nei suoi alti e nei suoi bassi, nei suoi vertici eccitatori e nelle sue stasi naturalistiche, si rivela il progetto estetico-politico del film: ritrovare la possibilità di romanticizzare l’America e il suo paesaggio, immaginare un’idea di patria dopo il MAGA (Make America Great Again) di Trump e un’idea di cinema dopo Griffith.
Audience Award – Biografilm Beyond Fiction al “Biografilm” XX° Edizione (Bologna, 7-17 giugno 2023)
In sala dal 12 dicembre 2024.
The Sweet East – Regia e fotografia: Sean Price Williams; sceneggiatura: Nick Pinkerton; montaggio: Stephen Gurewitz; interpreti: Talia Ryder, Simon Rex, Earl Cave, Jacob Elordi, Jeremy O. Harris, Ayo Edebiri, Rish Shah; produzione: Jimmy Kaltreider per Marathon Street, Craig Butta, Alex Coco e Alex Ross Perry per Base 12; origine: Stati Uniti, 2023; durata: 104 minuti; distribuzione: I Wonder Pictures.