-
Voto

Forse solo chi ha seguito i suoi reportage dalla Libia su testate nazionali e internazionali sa chi è Nancy Porsia, la giornalista freelance al centro del buon documentario girato da Ilaria Jovine e da Roberto Mariotti dal titolo Telling My Son’s Land. In realtà Nancy Porsia ha ricevuto un tardivo ma meritatissimo rilievo mediatico all’incirca un anno fa, allorché parlò di lei Roberto Saviano in una puntata di “Che tempo che fa”, trasmissione che in seguito la ospitò direttamente, come del resto fece anche “Propaganda Live”, la trasmissione de La7 – tutti materiali facilmente reperibili in rete.
Perché Nancy Porsia rappresenta un caso interessante tale da girarci sopra un documentario che, passato al Biografilm Festival di Bologna nel 2021, adesso arriva in alcune proiezioni in sala? Perché è un’occasione, mai abbastanza benvenuta, per parlare di un settore del giornalismo non certo sotto la luce dei riflettori che è il giornalismo freelance, professionisti animati da una autentica vocazione che si muovono in condizioni di disagio e di pericolo senza alle spalle una grande testata a fornire logistica e copertura anche simbolica, un giornalismo che anche in questi tempi grami sta dando prova di sé, spesso prendendo distanza dalle comode verità della stampa – cartacea e audiovisiva – main stream. E poi perché, nella fattispecie, permette di parlare, di tornare a parlare di quella che è stata la principale inchiesta condotta da Nancy Porsia, ovvero l’inchiesta che ha visto protagonista il sordido personaggio di Al Bija, capo della guardia costiera a Ovest di Tripoli e quindi incaricato (dal governo libico, ma anche in completo accordo con l’Italia) di disciplinare il passaggio dei migranti. Peccato che il suddetto, lungi dal disciplinare abbia finito per organizzare un autentico business, un immondo traffico di esseri umani.
Pubblicata sui giornali italiani e soprattutto stranieri, l’inchiesta di Nancy Porsia fa di lei una delle pochissime persone informate dei fatti, punto di riferimento di procure e organizzazioni come l’ONU. L’Italia, invece, lungi dal far proprie quelle informazioni, volle ricevere con i più alti onori Al Bija come membro di una delegazione ufficiale. Dopodiché, come se non bastasse, pur non conducendo alcuna indagine sul conto della giornalista, le autorità della procura di Trapani che indagavano su presunti crimini delle ONG si permisero di intercettare le telefonate della giornalista, mettendo altresì a repentaglio i suoi informatori – di qui, appunto, la comparsa in televisione da Fazio e da Bianchi. Insomma, tanto per cambiare, un gran bell’esempio di storia patria, in un periodo che attraversa cinque-sei anni e governi dei più diversi colori con, di volta in volta, Alfano, Minniti, Salvini e Lamorgese nelle funzioni di Ministri/e dell’Interno.

Il film di Jovine e Mariotti riporta solo in parte queste vicende (lo scandalo delle intercettazioni è emerso a valle della realizzazione del film) decidendo di abbracciare uno spettro più ampio della vita della protagonista, sia all’indietro, recuperando la sua attività giornalistica in Libia prima della “grande scoperta”, sia in avanti, concentrandosi sul suo ritorno in Italia, anche in conseguenza del concepimento di un bambino avuto con un partner originario della Libia, con molta attenzione alla gravidanza e ai primi mesi di vita, con tutti gli interrogativi che ne derivano circa la possibilità di tenere in equilibrio un mestiere – il giornalista d’inchiesta specializzato in scenari bellici – con il suo ruolo di compagna e di madre.

Il film si avvale di molto materiale autentico girato da chi, di volta in volta, accompagnava Nancy nei suoi reportage in Libia, ora sul fronte dei combattimenti (negli anni della guerra civile e durante la fondazione dello stato islamico) ora nelle retrovie. Molto spazio è altresì dedicato alla sua città di origine, Matera (come dire: un altro Sud, arcaico e silenzioso), dove la donna partorirà e da dove sempre si rimetterà in cammino verso altre mete, anche allorché la Libia cesserà di darle il visto di ingresso. Non a caso l’ultima inquadratura è riservata a bagagli pronti per ripartire, in attesa che il figlio – ed è questo l’auspicio utopico cui viene dato sfogo sul finire – possa un giorno vivere il paese del padre, come un paese “normale” e possa passare l’estate non solo con la nonna di Matera ma anche con la nonna che vive sull’altra sponda del Mediterraneo.
Evento il 3 giugno alle ore 21:30 al Cinema Orione di Bologna alla presenza alla presenza dei registi e con la protagonista in collegamento video.
Cast & Credits
Telling My Son’s Land – Regia, sceneggiatura: Ilaria Jovine; fotografia: Roberto Mariotti; montaggio: Francesca Sofia Allegra, Roberto Mariotti, Ilaria Jovine; interpreti: Nancy Porsia, Sergio Nazzaro, Ugo Lucio Borga; musica: Silvia Leonetti; produzione: Ilja’ Film; origine: Italia 2021; durata: 84′.
